Nella edizione del I libro della Poetica di Filodemo, Richard Janko elenca i papiri che compongono l'opera.[2] Alcuni di questi contengono la subscriptio e il numero del libro, mentre per altri l'appartenenza all'uno o all'altro libro è stata congetturata sulla base delle caratteristiche bibliologiche e del contenuto. Tra questi volumina, per i quali il numero del libro all'interno dell'opera è stato solo congetturato, un posto di primo ordine, a causa della considerevole estensione del testo, spetta a quelli che da Janko sono stati classificati, con buone motivazioni, come appartenenti al secondo libro. Di questo rotolo fanno parte i P.Herc. 1074b, 1677a, 1081b, 1676 mentre la parte finale, che è anche la più lunga, è custodita dal papiro ercolanese 994. A questi papiri bisogna aggiungere alcuni frammenti del P.Herc. 1419 scoperti recentemente.[3] Lo stesso Janko ha trovato altri frammenti del P.Herc. 1419 che fanno parte dello stesso volumen in alcuni disegni oxoniensi. Essi sono stati pubblicati nelle Cronache Ercolanesi.[4] G. Del Mastro,[5] nella tesi di dottorato, oltre al rilevamento e all'analisi dei numerosi segni presenti nel papiro, ha individuato nuovi frammenti dello stesso rotolo ed ha effettuato anche una prima, provvisoria ricostruzione del volumen sulla base del ritrovamento di alcune note sticometriche intermedie.[6] Sono state anche individuate ben tre mani di scrittura: due che hanno copiato il testo[7] e una che ha aggiunto alcune annotazioni nel margine inferiore.[8] I segni di interpunzione sono apposti con un inchiostro dal colore molto più chiaro e con un angolo di scrittura notevolmente diverso rispetto a quello dei due scribi del testo: essi sono stati probabilmente aggiunti in un secondo momento da un'altra persona o da uno dei tre scriventi in fase di revisione del testo. In una prima Appendice, sono state presentate una serie di nuove letture. In occasione di questo Congresso Internazionale abbiamo deciso di riprendere questi dati e di analizzarli, insieme ad altri successivamente emersi, alla luce di un nuovo controllo combinato del papiro e delle immagini multispettrali (MSI).[9] Presentiamo in questa sede solo alcune delle nuove letture. Di altre daremo conto in un lavoro successivo.

    Alcune di queste novità confermano quanto già edito da Janko 2000 nel commento all'edizione del I libro o da Costantina Romeo nel lavoro preliminare sul P.Herc. 1676 pubblicato nel numero 22 delle Cronache Ercolanesi.[10] In altri casi vengono confermate le letture di Gomperz pubblicate in Wiener Studien del 1880[11] e nella relazione tenuta alla Wiener Akademie der Wissenschaften nel 1890 e pubblicata nel 1891 negli Atti della stessa Accademia.[12] In altri casi vengono presentate alcune nuove letture che modificano, in modo più o meno significativo, quanto era stato edito da Sbordone nel 1976 o confermano, in alcuni casi, quanto lo studioso aveva detto nella sua edizione che resta, ancora oggi, un punto di partenza importante per chi voglia dedicarsi allo studio di questa parte della Poetica filodemea.

    P.Herc. 1676, Tr. C, col. XXI 15–21, p. 261 Sbordone 1976 (= p. 279 Del Mastro)[13]
    οὐκ᾽ ὀλ̣[ιγάκις]
    16δὲ τὸ μέν ἐστι πόημα [κα-]
    λ̣[ὸ]ν̣ καὶ μετ᾿ ἀκ̣[ριβείας]
    [πεποη]μένον εἰς ἔ[κ]βασ̣[ιν]
    τ̣[ῆς] σ̣υνήθους λαλιᾶς [κἂ]ν̣
    20ἕκαστον ῥῆμα σύνηθ̣[ε]ς̣
    ἢ ταὐτ̣ὸν ἦ<ι>· τὸ δὲ ̣ ̣ ̣

    Non di rado poi l'una è una composizione bella ed accuratamente elaborata, al punto da sollevarsi (il linguaggio) al di là del linguaggio usuale, se ogni parola provenga dal linguaggio quotidiano o pressappoco; l'altra invece ...

    In questa colonna, oltre ad aver letto tracce di lettere che confermano alcune letture di Heidmann 1971 e Jensen 1923,[14] a l. 16 leggiamo ἐστι (non c'è traccia del ν aggiunto da Jensen 1923 e Sbordone 1976) mentre alla linea 19 vediamo chiare tracce del ny di [κἂ]ν̣ che era stato proposto da Jensen 1923 e accettato da Sbordone 1976. A l. 19 abbiamo anche letto τ̣[ῆς σ]υνήθους λαλιᾶς invece di τ̣[οῦ σ]υνήθους κάλ[λους di Jensen ripreso da Sbordone (che traduceva "onde sollevarsi dall'usuale forbitezza"). Il termine λαλιά, variamente usato da Filodemo,[15] lo ritroviamo anche nel primo libro della Poetica[16] in un'affermazione attribuita ad Eracleodoro, secondo il quale chi non proceda mai παρὰ τὴν ἰδιότητ᾿ [ἐν τῆι] | λαλιᾶι "nella parlata contraria alla specificità (del linguaggio poetico: contrary to particularity of poetry traduce Janko) rischia di cadere in "forme linguistiche" comuni εἰς τὸν ἰδιοτισμόν ἐμπίπτει.

    Nella col. XXI prosegue il ragionamento, avviato nella colonna precedente, relativo al rapporto naturale o tecnicamente attivato, tra lessemi e sintagmi che il nostro udito percepisce come idonei ad un genere letterario ma non ad un altro. Nella sezione finale della colonna XX, infatti, a partire dalla linea 18 e continuando nella colonna XXI fino alla linea 4, si dice che, attenendoci ai θέματα naturalmente esistenti in noi (πεφ[υσι]ωμένοι πρὸς τὰ θέματα), accettiamo sintagmi che ad essi si conformano, altri invece li respingiamo ([τὰ] | μὲν ἀκολούθως α[ὐτοῖς] | συγκείμενα προσιέμ[ε]|θα, τὰ | δ᾿ ἐναντίως ἀπορ<ρι>|πτοῦμεν). Si tratta di θέματα relativi ai suoni propri di lessemi e sintagmi specificamente idonei ai diversi generi letterari: ad esempio il ricorso a sincopi consecutive (τὸ "συνκε|κόφθαι" παρακειμένως) è avvertito come improprio (ἀνοί|κειον) nella tragedia, ma sta bene ([κα]λόν) nei giambi, ed i lunghi composti sono fuori luogo (ἄτ̣[οπο]ν) nella tragedia e nelle composizioni epiche e sono fastidiose (le tracce superstiti non consentono attualmente di accogliere la lettura εἰς τὸ οὖς proposta da Jensen 1923 e accettata da Sbordone 1976), ma non procurano alcuna sensazione di fastidio (ἄλυ[πο]ν) e sono sentite come congruenti nel ditirambo. In questo caso, a col. XX 28 possiamo, grazie all'utilizzo combinato dell'originale e delle immagini multispettrali, confermare, grazie alla lettura dell'alpha (che era anche negli apografi) la congettura di Romeo ἄτ̣[οπο]ν (oggi possiamo vedere anche parte del tau che da Romeo era stato messo in parentesi) in luogo di κ[ακό]ν di Jensen e Sbordone e, per motivi di spazio, di ἀ[νιᾶν] proposto da Gomperz.[17]

    P.Herc. 994, Tr. A, col. VI 18–26, p. 49 Sbordone 1976 (= p. 297 Del Mastro 2003)[18]
    ἀλλ̣᾿ [ἡ] ἄρθ̣[ρω]σ̣ις [τῆς]
    [ἀ]λλ̣οτριότη̣[τος α]ὐ̣τῆ[ς]
    20ο̣ὐ̣κ̣ [ἔ]σ̣τιν [αἰ]τία̣, κ̣αὶ
    σ̣υ̣μ̣φ̣ορὰν [ἐ]δ̣ει̣κνύ̣-
    ο̣μεν καὶ διὰ τὰς ἀρθρώ-
    [σ]ε̣ις λέγειν̣ παρακολου̣-
    24θ̣εῖν, καὶ ταύτηι δια̣φ̣έ-
    ρειν δι̣αλ̣έ̣κτους β̣[αρβά-]
    ρ̣ων ...

    Ma l'articolazione non è causa di estraneità di per sé, e abbiamo mostrato che si tratta di un elemento accidentale, e che attraverso le articolazioni ha luogo il parlare, e che in ciò (scil. nel modo di articolare i suoni) differiscono le lingue dei non greci ...

    In questa colonna è trattato il tèma delle differerenze di cadenze e sonorità intercorrenti tra la lingua degli ἑλληνίζοντες e quella dei βαρβαρίζοντες. La col. VI costituirebbe, secondo l'acuta intuizione di Janko 2000,[19] il rebuttal di quanto espresso nella col. 100 Janko del primo libro (P.Herc. 460 fr. 15 superstite solo nell'apografo napoletano). In questo passo, Filodemo riporterebbe il pensiero dell'avversario Pausimaco.[20] Il Milesio utilizzava l'esempio dell'usignolo che Filodemo riporta sia nel sommario (I libro) che nella confutazione (II libro, dove Del Mastro 2003 rileva che l'esempio viene "inquadrato" tra due segni di interpunzione in forma di piccoli tratti diagonali): secondo questo personaggio, sebbene non abbia alcun senso, il suono articolato dell'usignolo produce nell'ascoltatore una sensazione piacevole, così come la produce la parlata greca contrariamente all'effetto sgradevole che genera in noi una parlata non greca (βαρβαριζόντων) ed aggiungeva poi che il suono produce ciò che gli è proprio in relazione al nostro piacere (scil. acustico), venendone stornato da alcuni elementi (nel tr. A col. VI 12–18 Sbordone, per quanto riguarda i parlanti non greci, sarebbe il loro modo di articolare i suoni a provocare la dissoluzione del senso di piacere). Sarebbe infatti terribile se il suono perdesse il proprio valore specifico (scil. il piacere che gli è connaturato) per il fatto di essere espresso in greco.[21]

    Alle ll. 24 s. Sbordone 1976, anche sulla base di alcune letture di Gomperz, scriveva: καὶ ταύτηι δυ̣σ̣χ̣ερ|[ὲ]ς εἶνα[ι] λαμ̣β̣ά̣ν̣[ειν τι ἡδο]|νῶν "e pertanto è difficile ricavarne qualche diletto."

    La nuova lettura καὶ ταύτηι δια̣φ̣έρειν δι̣αλ̣έ̣κτου̣ς β̣[αρβά]ρ̣ων, mostra che, proprio a causa della differente modalità di articolazione (ἄρθρωσις), le lingue non greche differiscono da quella greca generando una sensazione sgradevole. Questa lettura, inontre, si accorda con quanto Pausimaco aveva affermato nel primo libro[22] ⹄κα⹅[ὶ] δι᾿ [οὐ]⹄δὲν⹅ | ἕτερον δι[αφέρειν] ⹄ἢ διὰ⹅ | τὸν ἦχον ("and it differs for no other reason than the sound").[23]

    P.Herc. 994, Tr. A, col. XXVIII 21–26 – col. XXIX 1, p. 93 s. Sbordone 1976 (= p. 303 s. Del Mastro 2003)[24]
    πάντων μὲν οὐδὲν
    δεῖ̣ν̣ λέ[γ]ε̣[ι τῶν ἀφών]ων
    πέντε τῶν̣̣ π̣ρ̣[ο]ε̣[ι]ρ̣η̣μέ-
    24νω̣ν· τὸ γὰρ Ν̅ πρὸς τὸ   ̣̅
    κα[ὶ] τὸ̣   ̣̅ καὶ τὸ Δ̅ καὶ τὸ [   ̅ ] καὶ
    αὐ̣τ̣ὸ πρὸς ἑαυτ̣ὸ̣ μ̣ὴ̣ ‖ μέ[νει]ν̣

    Afferma che non c'è alcun bisogno di tutte le cinque suddette (consonanti): infatti il Ν non può restare davanti a ... e a ... e a delta e davanti a ... e a se stesso.

    Nella col. XXVII del papiro 994 l'interlocutore di Filodemo aveva sviluppato un discorso che verteva sul tèma della qualità eufonica o disfonica della λέξις, ponendo l'effetto sonoro in relazione sia all'efficacia qualitiva della σύνθεσις – come rivela la ripetuta presenza del verbo συναρμόττειν (ll. 9 s.; 12 s.) e la presenza del verbo συντίθεσθαι (l. 15) – nonché alla fisica dell'emissione sonora (l. 4 θλίψιν).[25] Nelle ultime linee della colonna l'Epicureo, riportando le tèsi dell'avversario, ricordava che costui aveva indicato, tra l'altro, le combinazioni di lettere che a suo avviso avrebbero generato un buon suono e di altre che avrebbero dato luogo ad un suono di natura opposta; eccellente, a suo avviso, sarebbe stata la combinazione tra le vocali tutte e le mute (ll. 22 ss. dell'edizione Sbordone 1976).

    Il tema della categorizzazione delle lettere era stato toccato, quasi certamente da un κριτικός, già nella col. XXII (l. 4) dove, nella prima linea, si legge con certezza il lessema ἄφωνα in relazione all'acustica dei suoni, mettendo il piacere derivante dalle sequenze sonore in rapporto con l'efficacia sonora delle diverse tipologie di lettere impiegate e la faciltà o difficoltà di pronunzia, e, soprattutto, con i diversi stili della λέξις, in questo caso la λέξις ἁπλῆ e la λέξις ταπεινή. L'attenzione di Filodemo a questa tipo di problematica, al di là degli spazi ad essa dedicati in quanto ci rimane del P.Herc. 994, è sottolineata dall'Epicureo stesso, che ricorda ai suoi lettori di aver trattato il tema delle lettere, delle loro combinazioni e della loro eufonia nel I libro dello stesso trattato.[26] Come è noto, il medesimo tèma è discusso da Dionigi di Alicarnasso[27] ed era stato trattato da Crisippo e negli studi Περὶ φωνῆς di Diogene di Babilonia.

    Nella colonna in esame, in cui il ragionamento su questa tematica prosegue, l'avversario (il "dice" alla l. 4, dato per sottinteso già dall'editore è motivato dall'infinito συναρμόττειν della l. 7 s. e dagli infiniti λ̣έγε̣σ̣[θ]αι, nuova lettura alla l. 4 in luogo di λέγο[μεν] di Sbordone 1976, παραφυλ[ά]τ̣|τ̣ειν alle ll. 5 s. della colonna successiva e dagli altri infiniti che troviamo in quest'ultima, in cui è chiara la continuità con la col. XXVIII) aveva ricordato che l'incontro tra vocali poteva produrre un effetto sgradevole(ll. 8–11). Al contrario, gradevole risultava l'incontro di una vocale con una muta (φω̣|νῆεν e ἄφωνον, ll. 5–7)

    Una nuova lettura alle ll. 24 s., modifica decisamente il senso della parte finale della colonna.

    Nell'edizione di Sbordone1976 il parlante, dopo aver asserito che non era necessario esemplificare gli effetti relativi ai possibili incontri delle vocali tra loro, addurrebbe l'esempio dell'effetto sonoro di α davanti a ω, ad η, ad ο e ad ε. Ma, laddove il papiro è leggibile, si leggono le lettere ν e δ e non α ed ο, mentre, purtroppo, non vi è traccia delle altre lettere dell'alfabeto incriminate, quali che fossero. Chi parla, dunque, sta ora discutendo non dell'incontro tra vocali, bensì dell'incontro tra consonanti; dunque, innanzi tutto a l. 22 possiamo integrare δεῖ̣ν̣ λέ[γ]ε̣[ι τῶν ἀφών]ων vedendo chiare tracce del ν e la sequenza ων in fine linea (laddove Sbordone integrava δεῖ̣̣ λέ[γ]ε̣[ιν τὴν φύσιν, ἀλλά]). D'altra parte la lezione τῶμ πα̣[σῶν φω]|νῶ̣ν̣ già di Gomperz) a l. 23 s. non è più sostenibile, mentre sembra più plausibile τῶν̣ π̣ρ̣[ο]ε̣[ι]ρ̣η̣μέ|νω̣ν dal momento che tutte le lettere di questo participio sono ben leggibili. Nella classificazione delle lettere conservataci da Dionigi di Alicarnasso (Comp. 14, 1–26 ) il grande studioso di stilistica greca, dopo aver distinto le lettere, secondo la divisione che incontriamo più volte in questi nostri papiri in φωνήεντα, ἡμίφωνα e ἄφωνα come, del resto, usuale nella tradizione grammaticale greca, nell'elencare quelle assegnate alle differenti categorie ne segnalava anche la gerarchia discendente dalla loro diversa qualità, sonorità e potenziale efficacia rappresentativa.[28]

    Questa gerarchizzazione viene pressocché capovolta nel momento in cui Dionigi affronta l'analisi dei caratteri propri dell'armonia austera; essa infatti, al contrario dell'armonia γλαφυρά e di quella da lui definita intermedia (μέση), richiede il ricorso deliberato ad una λέξις caratterizzata da un linguaggio in cui sia ben visibile la separazione degli elementi che lo compongono – lettere, sillabe, parole – e una διάστασις sottolineata dall'interposizione di intervalli di tempo ben percettibili, dando luogo ad una σύνθεσις ἀντίτυπος e τραχεῖα, dura ed aspra, connotata non più dall' εὐφωνία ma dalla δυσφωνία.[29]

    Nel proporre alcuni esempi di questo tipo di σύνθεσις,[30] Dionigi segnala, in un ditirambo pindarico (Dith. 4, Agli Ateniesi)[31] il deliberato effetto urtante determinato dalla scelta di far seguire ad una parola terminante con l' ἡμίφωνον Ν una parola che ha inizio con l' ἄφωνον Χ; poco più avanti Dionigi dichiara l'impossibilità di far seguire ad un ν un π (22, 21) e l'effetto di rottura che nasce se ad una parola terminate con ν se ne fa seguire un'altra che ha inizio con θ (22, 26). L'assenza di legami naturali è segnalata per il ν seguito dal λ (22, 31), ed ancora l'effetto di rottura con conseguente prolungamento di sonorità prodotto da un ν seguito da un δ nella sequenza ἀοιδᾶν Διόθεν che si sussegue nei versi pindarici (v. 7 s.) del ditirambo di cui si è già detto.[32]

    Tornando alla nostra colonna, l'abbinamento peggiore (attenendoci alla classificazione offerta poche linee più sopra da Dionigi) risulterebbe dalla sequenza di uno dei più fastidiosi ἡμίφωνα (le consonanti semplici più brevi in pronunzia, λ, μ, ν, ρ, σ) e di uno dei peggiori ἄφωνα (cioè τ, γ, δ). Non a caso l'esempio sopravvissuto segnala la pessima qualità acustica dell'abbinamento del ν con δ.[33]

    P.Herc. 994, Tr. A, col. XXXIII 22 - col. XXXIV 1 = p. 102 ss. Sbordone 1976 (= p. 304 s. Del Mastro 2003)[34]
    δ᾿ ἐ̣κ τῶ̣ν̣ φωνη̣έν-
    των πως φ[ώ]νη̣μ̣ά τ[ι]
    24κεχηνότι ⟦το⟧ σ̣τόμ̣ατι
    τὴν τοῦ̣ σ̣υμπεφ̣υκότο[ς]
    καὶ συνη̣ρμένου φα̣ν̣τα̣‖σίαν δυνατὸν γί̣νε̣σ̣θαι·

    Il suono poi che risulti in qualche modo dal succedersi di vocali per uno che pronunzia a bocca aperta ha la capacità di produrre la sensazione di naturale e ben connesso.

    In questa colonna Sbordone 1976 leggeva 25 linee mentre oggi possiamo recuperare tracce di un'altra linea. Diversamente da Sbordone, che tra la linea 21 e la linea 22 integrava [ἂν φθά]|νοι, possiamo leggere [ἂν γέ|νοιτο. Lo studioso leggeva alla linea 23 (ora 24) l'articolo τῶ<ι> mentre oggi osserviamo che le due lettere dell'originale το sono state cancellate e a linea 24 (ora 25) σ̣υμ<π>επεδ̣η̣κ(ότ)ο̣ς̣ affidandosi soprattutto al disegno oxoniense che riporta la sequenza ΣΥΜΟΠΕΔΥΚΟΤΟΣ mentre oggi possiamo leggere συμπεφυκότο[ς]. Non abbiamo quindi una voce del verbo συμπεδάω che vale "impacciare, tenere legato" ma piuttosto un verbo, συμφύω, dal significato contrario: il suono risultante dalla produzione di vocali per chi pronunzia a bocca aperta non produce la sensazione di "ciò che impaccia ed è tenuto legato" (σ̣υμ<π>επεδ̣η̣κ(ότ)ο̣ς̣ καὶ συνη̣ρμένου) ma piuttosto la sensazione di naturale e ben connesso. Nei testi a noi pervenuti di Filodemo non troviamo il verbo συμφύω mentre esso è usato da Epicuro, nella Epistola a Meneceo,[35] per designare le virtù che "sono connaturate (συμπεφύκασι) alla vita soave." Il parlante, probabilmente Filodemo,[36] dopo aver ampiamente richiamato all'inizio della colonna le caratteristiche cacofoniche dell'incontro di alcune consonanti,[37] ricorda che una λέξις caratterizzata dalla successione di numerose vocali può dare la sensazione di un discorso ben costruito e naturale.[38]

    Notes

      1. Abbiamo redatto il presente lavoro di comune accordo. Tuttavia Gianluca Del Mastro è respnsabile della introduzione e delle letture 1–2; Gioia Maria Rispoli delle letture 3–4.return to text

      2. Cf. Janko 2000, 12 s. return to text

      3. G. Del Mastro 2004, 87–94.return to text

      4. Janko 2008, 89 s.return to text

      5. Cf. Janko 2008, 89 s.return to text

      6. Già Janko 2000, 124 aveva visto uno Z nel margine sinistro della col. XXXI 5 Sbordone 1976 del P.Herc. 994. L'interpretazione di questa nota è stata messa in discussione (da J. Porter nel volume di Janko). G. Del Mastro ha letto più di venti punti e lettere con valore sticometrico: P.Herc. 1419, fr. 14 l. 26 Del Mastro 2003, un punto; P.Herc. 1676, col. XII 16 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 1676, col. XIV 9–10 Sbordone 1976, una traccia di lettera; P.Herc. 1676, col. XVI 18 Sbordone 1976, tracce di lettera; P.Herc. 1676, col. XVIII 7 Sbordone 1976, tracce di segno o lettera; P.Herc. 1676, col. XXI 4 Sbordone 1976, un punto e una barra obliqua; P.Herc. 994, fr. 4–4 inf l. 25 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, fr. 8 l. 26 Sbordone 1976, un kappa; P.Herc. 994 fr. 8a–8b l. 15–16 Sbordone 1976, tracce di inchiostro; P.Herc. 994 col. w l. 18 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. y l. 15 Sbordone 1976, tracce di lettera, (un kappa o un eta); P.Herc. 994, col. c l. 25–26 Sbordone 1976, tracce di lettera; P.Herc. 994, col. IV 1–2 Sbordone 1976, tracce di inchiostro; P.Herc. 994, col. IV 8 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. V 22 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. VIII 4 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. XIII 9 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. XV 17 Sbordone 1976, una lettera, forse un theta; P.Herc. 994, col. XXI 22–23 Sbordone 1976, punti; P.Herc. 994, col. XXIII 11–12 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. XXV 4 Sbordone 1976, tracce di inchiostro; P.Herc. 994, col. XXVI 7 Sbordone 1976, tracce di inchiostro; P.Herc. 994, col. XXXI 5 Sbordone 1976, tracce di lettera (cf. Janko 2000, p. 124); P.Herc. 994, col. XXXIV 8–9 Sbordone 1976, un punto; P.Herc. 994, col. XXXV 2 Sbordone 1976, tracce di inchiostro; P.Herc. 994, col. XXXV 8 Sbordone 1976, tracce di lettera, forse un ny. Cf. Del Mastro 2003, 88–91.return to text

      7. La seconda mano già subentra nel frammento inedito che Del Mastro 2003, 95 ss. ha numerato 4 dex che si trova nella cornice 4 del P.Herc. 994 (in realtà si tratta di un sovrapposto che va spostato nella cornice 6). Molto più chiaramente il passaggio tra le due mani si osserva nel fr. 6 Sbordone 1976 tra le linee 25 e 26.return to text

      8. Cf. Del Mastro 2003, 99 e G. Del Mastro, "Osservazioni bibliologiche e paleografiche su alcuni papiri ercolanesi," CronErc 39 (2009) 283–299, part. 283–291.return to text

      9. Il numero si riferisce al codice del file secondo il sistema creato da S. Booras.return to text

      10. Romeo 1992, 163–167. return to text

      11. Gomperz 1880, 139–142.return to text

      12. Gomperz 1891.return to text

      13. MSI 16428.return to text

      14. A l. 15 la traccia di lambda di ὀλ̣[ιγάκις; a l. 17 parte del kappa di ἀκ[ριβείας; a l. 20 parti del theta e del sigma di σύνηθ̣[ε]ς̣. Sulla base delle tracce visibili nel papiro resta problematica la lettura di καλόν alle ll. 16 s. All'inizio della l. 17, prima di καί, infatti, sembrerebbero esserci almeno sei lettere.return to text

      15. Per le ricorrenze cf. Vooys e Krevelen 1941.return to text

      16. Janko 2000, col. 203, 19. return to text

      17. Gomperz 1891, 66 = 230 Dorandi.return to text

      18. MSI 16310.return to text

      19. P. 306 n. 1.return to text

      20. Cf. Janko 2000, 171 s. e il commento alle coll. 100 s. del I libro (306–309). return to text

      21. Esso sarebbe distratto/distracted da qualche altro fattore come ad esempio avviene per il lessema ἰσχάς, che nel contesto sofocleo designa l'àncora, ma può essere inteso come fico per uno sbagliato intervento della nostra mente (col. 100, 6–8 Janko 2000 = tr. B fr. 23 col. II 6–8 Sbordone 1976) (Opinione di Pausimaco).return to text

      22. Col. 100 ll. 2 ss. Janko 2000 = tr. B fr. 23 col. II 4 ss. Sbordone 1976.return to text

      23. Trad. Janko 2000.return to text

      24. MSI 16357.return to text

      25. La lettura del lessema non è chiara.return to text

      26. P.Herc. 994, col. XXXI, 31 s. Sbordone 1976. Cf. in particolare le col. 21 e 120 ss. Janko 2000 del I libro.return to text

      27. D.H. Comp. 14, 1 ss. return to text

      28. In particolare gli ἄφωνα venivano a loro volta suddivisi in tre gruppi (κπτ, φχθ, γβδ); di questa categoria i migliori – naturalmente rispetto al parametro dell'eufonia – sarebbero quelli pronunziati avvalendosi maggiormente del soffio, i peggiori quelli che rigettano il soffio all'indietro, e cioè le dentali τ, γ, δ. Anche gli ἡμίφωνα venivano a loro volta suddivisi in 2 gruppi (gli ἡμίφωνα semplici λ, μ, ν, ρ, σ, e gli ἡμίφωνα doppi, ζ, ξ, ψ). Di questi ἡμίφωνα sono considerati migliori le lettere doppie (perché più lunghe e pertanto più vicine alla perfezione), peggiori le semplici perché più brevi in pronunzia.return to text

      29. D. H. Comp. 22, 1. Questo particolare tipo di "armonia", che ama in generale l'ampiezza e pertanto preferisce le parole e le sillabe lunghe, viene immaginificamente paragonata dal retore all'uso di pietre di taglia diversa, malamente sgrossate, dalle facce non ancora squadrate ammucchiate in un cantiere (ibid., 22, 2 s.). return to text

      30. D. H. Comp 22, 14.return to text

      31. Pind. Dith. 4 Puech.return to text

      32. Altri esempi sono addotti nell'analisi di un passo tucidideo (I, 1, 1 – I, 2, 2).return to text

      33. Del primo ἡμίφωνον che si incontra con Ν possiamo solo osservare la barra superiore. Del secondo (alla linea 25) osserviamo una piccola traccia di inchiostro del corpo della lettera che non permette un'identificazione certa.return to text

      34. MSI 16366.return to text

      35. Ep. III 132: συμπεφύκασι γὰρ αἱ ἀρεταὶ τῶι ζῆν ἡδέως.return to text

      36. Come sembrano indicarci i riferimenti alla col. XXXVI Sbordone 1976.return to text

      37. Sono le consonanti ἡμίφωνα secondo la classificazione di Dionigi di Alicarnasso (Comp 14, 14).return to text

      38. Del resto è stato osservato che in autori come lo pseudo-Demetrio o Dionigi di Alicarnasso (nel De Demosthenis dictione) sono rivalutati gli effetti di alcune tipologie di δυσφωνία e "più in generale di tutte quelle tipologie di sonorità tradizionalmente escluse dalla ricerca eufonica". Cf. Rispoli 1999, 119–132 (part. 130). Inoltre sappiamo, sempre da Dionigi, (Comp. 14, 2 = fr. 88 Wehrli) che anche Aristosseno di Taranto studiò i tratti distintivi delle vocali e delle consonanti ricercando per ciascuna categoria, le combinazioni idonee a produrre effetti armoniosi.return to text

      Abbreviazioni Bibliografiche
      Del Mastro 2003    G. Del Mastro, I segni nel cosiddetto II libro della Poetica di Filodemo (Diss. Napoli 2003).
      Del Mastro 2004    G. Del Mastro, "Il PHerc. 1419," in Mathesis e Mneme. Studi in memoria di Marcello Gigante (Napoli 2004) 87–94.
      Gomperz 1880    T. Gomperz, "Herculanische Notizen," WS 2 (1880) 139–142 = T. Dorandi, Theodor Gomperz: Eine Auswahl herkulanischer kleiner Schriften, 1864–1909 (Leida 1993) 107–110.
      Gomperz 1891    T. Gomperz, "Philodem und die ästhetischen Schriften der herculanischen Bibliothek," SAWW 123 (1891) 1–88 = Dorandi, op.cit. 163–252.
      Janko 2000    R. Janko, Philodemus, On Poems. Book One (Oxford 2000).
      Janko 2008    R. Janko, "New Fragments of Epicurus, Metrodorus, Demetrius Laco, Philodemus, the Carmen de Bello Actiaco and other Texts in Oxonian Disegni of 1788–1792," CronErc 38 (2008) 5–95.
      Jensen 1923    C. Jensen, Philodemos über die Gedichte fünftes Buch (Berlino 1923).
      Heidmann 1971    J. Heidmann, "Der Papyrus 1676 der herculanensischen Bibliothek, Philodemos Über die Gedichte," CronErc 1 (1971) 90–111.
      Rispoli 1999    G.M. Rispoli, "L'errore necessario per una poetica della ΔΥΣΦΩΝΙΑ," CronErc 28 (1998) 119–132.
      Romeo 1992    C. Romeo, "Per una nuova edizione del PHerc. 1676," CronErc 22 (1992) 163–167.
      Sbordone 1976    F. Sbordone, [ΦΙΛΟΔΗΜΟΥ ΠΕΡΙ ΠΟΙΗΜΑΤΩΝ] Tractatus tres. Ricerche sui Papiri Ercolanesi, II (Napoli 1976).
      Vooys e Krevelen 1941    C. J. Vooys e D. A. van Krevelen, Lexicon Philodemeum. Pars Altera (Amsterdam 1941).
      Χάρτης    G. Del Mastro, Χάρτης. Catalogo Multimediale dei Papiri Ercolanesi (Napoli 2005).