Dei 37 libri dell'opera Sulla natura di Epicuro soltanto pochi ci sono noti, grazie ai papiri ercolanesi, e solo per una parte di essi è possibile ricostruire il contenuto.[1] Mi occuperò dell'unica attestazione esistente del IV libro, contenuta nel P.Herc. 807, praticamente inedito, che conserva, in condizioni frammentarie, sezioni di un libro anepigrafo, che, secondo un'ipotesi di Crönert, fino a oggi accettata, apparterrebbe al Περὶ θανάτου di Filodemo.[2] Il papiro, svolto nel 1805–6[3] da Giuseppe Paderni e disegnato nel 1807 da Antonio Lentari e nel 1840–41 da Carlo Malesci,[4] consta di 15 pezzi sistemati in sette cornici. I pezzi, sebbene danneggiati, in molti punti, per lacune e fratture, si presentano abbastanza compatti e di dimensioni particolarmente ampie; l'inchiostro risalta in maniera nitida sulla superficie e le lettere sono, generalmente, ben visibili.[5] L'esame della superficie papiracea, tuttavia, mette in luce una situazione stratigrafica estremamente complessa: sullo strato di base, che in alcuni punti è difficile da individuare, sono, infatti, presenti sovrapposti e sottoposti non facilmente ricollocabili nelle loro sedi originarie poiché, spesso, non è possibile stabilire con precisione quanti siano gli strati che li compongono. Probabilmente, proprio la particolare complessità stratigrafica del P.Herc. 807, che impedisce una chiara lettura delle porzioni di testo conservate, ne ha sempre scoraggiato uno studio approfondito.

    La citazione occupa le ultime linee di una colonna, la cui parte superiore è inquinata da un elevato numero di sovrapposti; di conseguenza il testo che, con un buon margine di certezza, si collega alla parte inferiore è estremamente esiguo.[6] La lacunosità del testo in questo punto del papiro e la mancanza di un contesto impediscono di ricostruire il discorso generale all'interno del quale si legge il riferimento a Epicuro. L'apografo napoletano (fr. 6 N), realizzato da Carlo Malesci,[7] non fornisce alcun aiuto nella ricostruzione del testo, perché è inattendibile e sommario in molti punti.[8] Attraverso l'autopsia del papiro e il confronto con le immagini multispettrali sono riuscita a recuperare alcune linee continue, anche se frammentarie, che permettono di acquisire qualche guadagno e di aprire nuove prospettive di analisi.

    Il frammento fu pubblicato per la prima volta nel 1875, nel X tomo della cosiddetta Collectio Altera.[9] Il testo della Collectio diverge, in alcuni punti, da quello dell'apografo; le varianti, indicate nel mio apparato con la sigla VH², sono frutto delle correzioni apposte dagli Accademici prima dell'incisione del disegno.[10]

    Usener, attribuendo il papiro a uno Scriptor incertus, pubblicò negli Epicurea le ultime tre linee:[11]

    οὔτ᾿ Ἐ[πίκο]υ[ρος λέ]γει μὲν [ἐ]ν [τῶι τ]ετάρτωι Περὶ φ[ύσεως]
    Né Epicuro dice nel quarto libro Sulla natura.

    Le congetture di Usener, per quanto affascinanti, non sono accettabili, perché si discostano da quanto si legge sul papiro.

    Il frammento fu poi pubblicato da Arrighetti, nella sua edizione delle opere di Epicuro,[12]

    ατην μν̣ή[μην] οὔτ᾿ εὐ[αρ]μ̣[ό-]
    [στως λέ]γοιμεν ἂν [κατὰ τὰ]
    [ἐν τ]ετάρτωι Περὶ φύ[σεως]

    e così tradotto: ... memoria, né in maniera appropriata potremmo dire, secondo quanto (si legge) nel quarto libro dell'opera Sulla natura ...

    Arrighetti, a differenza di Usener, controllò il papiro e la sua edizione è certamente più plausibile, perchè in parte compatibile con l'originale. In relazione al contenuto, a causa della lacunosità del papiro, lo studioso scriveva: "Nulla di più ci fa sapere l'unica testimonianza conservata del libro IV ... dove neanche una parola di per sé importante come μνήμη riesce a illuminare lo scarso contesto."[13] Una piccola variante al testo di Arrighetti è stata proposta da Gigante, in un intervento al XXII Congresso Internazionale di Papirologia;[14] preferendo la preposizione μετά a κατά di Arrighetti, Gigante citava il frammento come esempio paradigmatico del rinvio costante di Filodemo al suo maestro Epicuro:

    [ατην μνή[μην] οὔτ᾿ εὐ[αρ]μ[ό-]
    [στως λέ]γοιμεν ἂν [μετὰ τὰ]
    [ἐν τ]ετάρτωι Περὶ φύ[σεως]

    e traduceva: ... memoria né in modo appropriato potremmo dire dopo quanto (disse Epicuro) nel IV libro Della natura ...

    La rilettura del papiro mi ha permesso di modificare, in parte, il testo della porzione precedentemente edita:

    φησὶν ἐν τω[  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣ ]
    ο̣[  ̣ ] ἐ̣λ̣η̣λ̣υθένα̣ι  ̣[  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣]
    πρ̣ο[  ̣  ̣  ̣  ̣ ]μ[  ̣ ]τ  ̣[  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣ ]
    [  ̣ ]  ̣ ρινησ̣[  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣ ]
    25 [  ̣  ̣ ]π̣ε̣ν, ο̣[  ̣ ]αρχ  ̣[  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣  ̣ ]
    [  ̣  ̣ ]  ̣ [  ̣ ]ν̣ως οὐχ ἕξει τὴν τ[οι-]
    [αύ]τ̣η̣ν̣ ὄρεξιν καθ᾿ αὑτ̣[ὴν]
    [  ̣  ̣  ̣  ̣ ]  ̣ ονοιτο. δι᾿ ἅ ποτε
    [γρ]άφει· τ̣οῦτο γὰρ ὅμοιον
    30 [εἶ]ν̣α[ι] μ̣νήμης̣ ὀρ̣έ̣ξ̣ει [τ]ι
    [  ̣  ̣  ̣  ̣ λ]έγοιμεν ἂν  ̣  ̣ [  ̣ ἐ]ν̣
    [τῶ]ι τετάρτωι Περὶ φύ[σε‖ως
    21 ]εντωνκαι N     22 σιν[ ]λυθεντοις N     23 ante μ, μ̣ fortasse in subposito legi; ]μαλλον[ N    23–24 post νης̣, υ|ιτο̣ in supraposito legi    25 initio, λ̣ in supraposito legi; post ν, spatium vacuum est; αρχο̣ vel αρχε̣ vel αρχω̣; αποδ[ ]παρα[ N    26 ]νωσουχεται[ N    27 ]σρεξονκαθαυτ̣[ N; ο exp. in VH²     28 ante  ̣ ον, α̣ρ̣ in subposito legi; post το, spatium vacuum est; ]ονοιτοδιαποτε N; ἄν] π̣ονοῖτο coniecerim     29 sub οι, ε in subposito legi; φεια[ ]ουτονα[ ]ομοιον N; φεια[ ]ουτο[ ]α[ ]ομοιον VH²    30 ατηνημη̣[ ]σ[ ]ου[ ]τει N; ατηνημη̣[ ]σ[ ]ουτει[ ]ι VH²     31 ]γοιμεν[ ]ν[ N    32 ]εταρτωντε[ N; ]εταρτωνπεριφ[ VH²

    Traduco: ... dice nel ... essere giunto ... non avrà siffatta brama di per sè ... Per queste ragioni qualche volta scrive: "Potremmo dire, infatti, che questo è qualcosa di simile alla brama di memoria ... nel quarto libro Sulla natura ..."

    Esaminiamo innanzi tutto le ultime tre linee, che sono le uniche edite finora. Alla l. 30 prima di alpha si distingue un tratto obliquo discendente da sinistra a destra che si unisce all'estremità inferiore a un tratto verticale, molto probabilmente un ny. La mia lettura μνήμης sostituisce il genitivo all'accusativo congetturato da Arrighetti. Quello che si vede nel papiro, inoltre, non conferma la congettura di Arrighetti, confluita nel testo di Gigante, οὐτ' εὐ[αρ]μ[ό]|[στως. Lo ypsilon di ουτε del disegno napoletano non è compatibile con le tracce superstiti che presuppongono, piuttosto, due lettere curve nella parte superiore, molto probabilmente rho e epsilon della mia lettura ορεξει. Cade così ουτ che tutti gli studiosi hanno ritenuto sicuro. L'ultima lettera di cui rimane traccia nel rigo, l'incerto my proposto da Arrighetti è quasi sicuramente iota e non c'è possibilità di supporre un'altra lettera caduta in lacuna, perché ci troviamo in fine linea, come dimostra l'esigua porzione di intercolumnio che si è conservata. Aggiungo che le dimensioni delle colonne, il layout e il numero di lettere per linea,[15] che ho potuto determinare, anche se in modo approssimativo, impongono di riconsiderare la ricostruzione delle tre linee. Tenendo conto che mediamente ci sono 19 lettere per linea e che il testo superstite è quasi integro all'estremità destra – in alcuni punti, è, infatti, rimasta traccia dell'intercolumnio –, il numero di lettere che è stato supposto nella lacuna che interessa la parte destra dei righi 31–32 è superiore a quello che lo spazio consenta. Alla linea 31 dopo αν la superficie papiracea è molto rovinata: sul rigo di base si distinguono esigue tracce di inchiostro, che potrebbero, tuttavia, anche appartenere a uno strato diverso. Si tratta di due tracce puntiformi e dell'estremità inferiore di un'asta obliqua discendente da sinistra a destra, compatibile con l'obliqua destra di alpha. Si potrebbe pensare a καί, come suggeritomi da Janko in sede di discussione e leggere λ]έγοιμεν ἂν κ̣α̣[ὶ ἐ]ν. All'inizio della linea 32 iota rende quasi certa la presenza dell'articolo τῶι dinanzi all'aggettivo τετάρτωι, confermando una congettura di Usener, accolta da Delattre, che, in uno studio sulle citazioni filodemee delle opere altrui, proponeva di integrare l'articolo τῶι davanti al numerale τετάρτωι.[16] Dall'analisi di Delattre emerge che Filodemo è coerente nelle modalità di citazione, in particolare quando menziona i libri di Epicuro, facendo precedere sempre l'aggettivo numerale al dativo dall'articolo.

    Undici citazioni del Περὶ φύσεως di Epicuro si leggono nei papiri ercolanesi, delle quali sette nel De pietate di Filodemo (si menzionano i libri sesto,[17] ottavo,[18] dodicesimo,[19] tredicesimo,[20] trentaduesimo[21] e trentacinquesimo[22]); due nel P.Herc. 998 (Scriptor Graecus incertus), relative ai libri trentaduesimo[23] e trentaquattresimo;[24] una nel P.Herc. 1111 (Scriptor Graecus incertus), in cui si menzionano i libri dodicesimo e tredicesimo[25] e, infine, quella che stiamo esaminando, relativa al quarto libro. La citazione del quarto libro, restituita dal P.Herc. 807, si presenta completa nella forma (numero del libro e titolo dell'opera), come in un solo luogo del De pietate[26] e, forse, nel P.Herc. 1111. In tutti gli altri luoghi in cui è menzionato, dell'opus magnum di Epicuro è indicato solo il numero del libro senza il titolo dell'opera. Obbink spiega la difformità delle modalità di citazione del Περὶ φύσεως nel De pietate, supponendo che Filodemo soltanto la prima volta abbia menzionato l'opera di Epicuro nella forma completa (numero del libro e titolo dell'opera); in tutte le citazioni successive, il filosofo di Gadara avrebbe fatto riferimento all'opera del Maestro indicando solo il numero dei singoli libri e ritenendo superfluo ripetere, di volta in volta, il titolo dell'opera.

    Il passo del P.Herc. 807 è di non facile esegesi, non solo per il suo stato frammentario, ma anche per diversi punti problematici: l'impossibilità di stabilire il soggetto del periodo, la sequenza ̣ ονοιτο a l. 28 e, infine, l'assenza dell'articolo dinanzi a μ̣νήμης̣ e ὀρ̣έ̣ξ̣ει, usus non certo consueto. A ciò si aggiunga la lacunosità del contesto e il fatto che non possediamo l'inizio della colonna successiva in cui, presumibilmente, l'autore continuava le argomentazioni relative al quarto libro Sulla natura.[27]

    A chi si riferisca l'autore con l'espressione φησὶν ἐν τω[ (l. 21) è difficile dire; nella parte finale della colonna precedente è citato Aristotele (φη]σ̣ὶ̣ν̣ Ἀριστοτέ[λ]η̣[ς]),[28] e niente vieta di pensare che il soggetto possa essere Aristotele anche nella colonna in esame; ma la citazione del quarto libro dell'opera Sulla natura, che segue poco dopo, rende più allettante l'idea che il soggetto sia Epicuro, e si potrebbe, addirittura, pensare che l'espressione introducesse la menzione di un altro libro del trattato, come avviene, per esempio, nel De pietate, dove, a distanza di poche linee, Filodemo menziona i libri sesto e ottavo del Περὶ φύσεως.[29] Purtroppo, lo stato delle due colonne è molto compromesso e non ci consente di spiegare la presenza di Aristotele, né di inquadrare precisamente nel contesto il rimando al quarto libro di Epicuro.

    La ricorrenza della parola ὄρεξις (due volte nel giro di poche linee, ll. 27 e 30), è sicuramente l'elemento più interessante. In Filodemo, la parola[30] è attestata nel Περὶ μουσικῆς,[31] nel Περὶ οἰκονομίας[32] e nel terzo libro Περὶ θεῶν.[33]

    Nel De musica, ὄρεξις indica la "brama d'amore" e ha una connotazione negativa.[34] Nell'Economico Filodemo indica con ἀβλαβεῖς ὀρέξεις i desideri non dannosi che possono svilupparsi negli individui nei momenti di agio economico.[35] La parola, infine, ricorre due volte nel terzo libro Sugli dèi per indicare i desideri dai quali gli dèi sono alieni, in quanto estranei alla loro natura,[36] e ai quali bisogna sottrarsi.[37] Anche in Epicuro[38] il vocabolo indica, generalmente, un desiderio eccessivo, smodato, contro natura e, come tale, negativo.[39] È plausibile, allora, che anche nel nostro passo ὄρεξις[40] abbia una connotazione negativa; dal testo si desume soltanto che si sta parlando di "qualcosa di simile alla brama di memoria;" come interpretare questa espressione? Nelle porzioni di testo immediatamente precedenti e successive ricorre più volte la parola δόξα in forma completa o parziale[41] e si legge anche φιλόδοξ[ος,[42] ciò potrebbe far pensare che in questa parte dell'opera l'autore stesse parlando della fama, in particolare della φιλοδοξία.[43] L'espressione μ̣νήμης̣ ὀρ̣έ̣ξ̣ει (l. 30) potrebbe intendersi, allora, come "desiderio del ricordo di sé" ovvero "brama di gloria."[44] In quest'ottica, la frase οὐχ ἕξει τὴν τ[οι|αύ]τ̣η̣ν̣ ὄρεξιν καθ' αὑτ̣[ὴν] (ll. 26 s.) potrebbe riferirsi al sapiente epicureo che deve tenere lontana questa passione, al fine di raggiungere l'atarassia. Resta oscuro, tuttavia, il motivo per il quale, nell'ambito di questa tematica, venisse poi citato il IV libro Sulla natura.

    Considerando che nella colonna precedente è menzionato Aristotele, si potrebbe anche ipotizzare nel nostro testo un riferimento (probabilmente polemico) alla concezione aristotelica della μνήμη.[45]

    La sequenza ̣ονοιτο, all'inizio della linea 28, appare difficile da spiegare sul piano sintattico. Essa è seguita da uno spatium vacuum che presuppone una pausa più o meno forte nel discorso.[46] Della lettera che precede omicron rimangono un'estremità superiore, leggermente arcuata, e una traccia puntiforme sulla linea di base, tratti che potrebbero lasciar pensare, per esempio, a pi o a sigma. È molto probabile che questa sequenza appartenga a un ottativo; si potrebbe, allora, pensare a π̣ονοῖτο, preceduto da ἄν, e ritenere che il verbo si riferisca alla sofferenza o afflizione che può provocare la brama di cui si sta parlando. Le linee 26–29 allora significherebbero: "non avrà siffatta brama di per sè ... (a causa della quale ?) potrebbe soffrire. Per queste ragioni qualche volta scrive ...".

    La posizione di γάρ (l. 29) impone necessariamente un'interpunzione prima di τοῦτο,[47] dunque la frase che segue [γρ]άφει sarebbe la spiegazione di quanto esposto poco prima e γάρ avrebbe valore epesegetico.

    I pochissimi indizi ricavabili dalla citazione nel P.Herc. 807 non ci danno un'idea chiara della tematica affrontata nel IV libro Sulla natura, ma la chiusa del II libro (P.Herc. 1149/993 e 1010) può essere d'aiuto; Epicuro, infatti, dopo aver riassunto gli argomenti in esso affrontati, allude genericamente a quello che avrebbe trattato nei libri successivi:

    [24] [50] 17–22, [51] 1–8 Arrighetti (Epicuro, Περὶ φύσεως, II)

    Il testo che riporto, pur seguendo la numerazione dell'edizione di Arrighetti, mi è stato gentilmente messo a disposizione da Giuliana Leone, che ringrazio, che sta curando l'edizione del II libro Περὶ φύσεως di Epicuro. In apparato sono segnalate le varianti dell'edizione di Arrighetti.

    [50]ἀποδ[έ-]
    δεικται οὖν ἡμῖν
    διότι ἔστι[ν ε]ἴδω-
    20λα, καὶ ὅτι τὴν γέ-
    νεσιν αὐτῶν ἅμα
    νοήματι συμβέ-
    [51]βηκεν ἀποτελεῖσ-
    θαι καὶ ἔτι τὰς φορὰς
    ἀνυπερβλήτους τοῖς
    τάχεσιν κεκτῆσθα[ι].
    5τὰ δ᾿ ἁρμόττοντα [ἑ-]
    ξῆς τούτοις ῥηθῆ-
    ναι ἐν ταῖς μετὰ
    ταῦτα διέξιμεν.

    17 s. ἀ[ποδέ]|δεικται Arrighetti     18 [ο]ὖν ἡμ[ῖ]ν Arrighetti     19 s. [δ]ὴ ὅτι ἔ[σ]τι[ν εἴδω]|λα Arrighetti     4 paragraphon despexit Leone     6 s. ῥηθῆ̣|ναι Arrighetti

    Abbiamo, dunque, mostrato che esistono i simulacri e che la loro formazione avviene con la rapidità del pensiero e inoltre che il loro movimento è velocissimo. Quello che conviene dire in conseguenza di queste cose lo esamineremo nei libri seguenti.[48]

    Già Steckel[49] identificava τὰ ἁρμόττοντα ἑξῆς τούτοις nelle attività sensoriali. Sedley, che ha esaminato questo passo nel tentativo di ricostruire il contenuto dei libri del Περὶ φύσεως di Epicuro,[50] ritiene che le tematiche relative alle attività sensoriali fossero il contenuto dei libri terzo e quarto, cioè che, dopo il libro secondo, Epicuro affrontasse il tema delle sensazioni e trattasse, nell'ordine, la vista,[51] gli altri sensi[52] e il pensiero.[53] Sedley porta la citazione di P.Herc. 807 a sostegno della sua ipotesi:[54] la presenza della parola μνήμη lo induce, infatti, a credere che il ricordo poteva essere incluso nella trattazione del pensiero. Nel De rerum natura di Lucrezio c'è un parallelo interessante: nella sezione relativa al pensiero,[55] precisamente nella parte in cui l'origine dei sogni è spiegata con la teoria dei simulacri,[56] Lucrezio afferma che le immagini che ci appaiono in sogno generalmente riflettono i nostri desideri e le nostre aspettative, non certo perché "il nostro volere i simulacri stanno a guardare e non appena lo vogliamo, ce ne viene incontro l'immagine" (anne uoluntatem nostram simulacra tuentur ∕ et simul ac uolumus nobis occurrit imago?),[57] ma perché accade che, per la mobilità dei simulacri e l'abbondanza delle cose immaginate, "in un istante qualunque, qualsivoglia simulacro sia pronto e in ogni luogo disposto" (propterea fit uti quouis in tempore quaequae ∕ praesto sint simulacra locis in quisque parata. ∕ tantast mobilitas et rerum copia tanta);[58] per questa ragione, conclude Lucrezio, "l'animo alle altre cose non è attento, se non a quelle nelle quali proprio si è rivolto" (cur igitur mirumst, animus si cetera perdit ∕ praeterquam quibus est in rebus deditus ipse?).[59] Il passo lucreziano mi suggerisce l'ipotesi che il riferimento a Epicuro nel P.Herc. 807 fosse fatto in relazione non alla memoria e all'origine di questo processo mentale, tematica affrontata nel XXV libro del trattato,[60] ma piuttosto al modo in cui il desiderio del ricordo poteva generarsi nell'individuo, in analogia a quello che avveniva per le immagini dei sogni. Gli elementi in nostro possesso, tuttavia, sono esigui, e il fatto che non sempre sia possibile stabilire una puntuale corrispondenza delle tematiche tra il Περὶ φύσεως di Epicuro e il De rerum natura di Lucrezio rende ogni proposta fortemente ipotetica.

    Considerando la presenza di Aristotele nella colonna precedente, è molto plausibile che il contesto dell'argomentazione fosse polemico; in quest'ottica, il rimando a Epicuro risulta ancora più interessante, perché conferma la tendenza dell'autore, certamente epicureo, a richiamarsi ai principi del Maestro che rappresentano, in ogni fase della sua esposizione, la "retta via" da contrapporre alle teorie degli avversari.

    Notes

      1. I papiri ercolanesi hanno restituito parti cospicue dei libri II (relativo alla cosmogonia e ai simulacri), XI (sui problemi astronomici, in polemica contro i Ciziceni), XIV (contro le dottrine degli elementi di filosofi monisti e pluralisti, tra cui Platone), XV (contro la dottrina delle omeomerie di Anassagora), XXV (sulla costituzione psichica dell'individuo e sulla libertà del volere, in opposizione al determinismo democriteo), XXVIII (sul linguaggio e sui criteri che ne determinano la correttezza, in polemica con i filosofi megarici), XXXIV (sulle false paure la cui origine è determinata da un errato approccio conoscitivo alla realtà impercettibile e dall'ignoranza della natura atomica dei sogni, in polemica con lo scetticismo). Ad essi si aggiungono i libri di incerta collocazione e citazioni e riferimenti ad altri libri presenti nei testi filodemei. Per un quadro completo sulla figura del fondatore del Giardino e sulla sua produzione si veda Leone 2006. return to text

      2. Prima di Crönert, già Comparetti 1883, 78, aveva ipotizzato che questo papiro potesse essere riconducibile all'opera Περὶ θανάτου. L'attribuzione di Crönert 1906, 114 n. 515, fatta propria dal Philippson 1938, 2474, e condivisa da tutti gli studiosi che si sono occupati, seppur in maniera cursoria, di questo testo, si fonda sulla presenza di alcune parole e espressioni riconducibili al campo semantico della morte. Abbastanza sicura sembra la paternità filodemea per caratteristiche grafiche (la mano che ha trascritto questo testo è simile a quelle che hanno vergato altri papiri filodemei), stilistiche (sono attestate parole e espressioni tipiche di altre opere filodemee; c'è, inoltre, una tendenza evidente a evitare lo iato) e contenutistiche (le tematiche affrontate sembrano ricondurre a opere filodemee di argomento etico).return to text

      3. Nel Catalogo de' papiri ercolanesi dati per isvolgersi e restituiti, con la indicazione di quelli donati da S. M. a personaggi esteri, si legge: "Dato per isvolgersi a' 5 Novembre 1805)" (cf. Blank e Longo 2004, 143); non è indicata la data di restituzione, ma Bassi 1913, 448, afferma che l'operazione di svolgimento del P.Herc. 807 non era ancora terminata quando Hayter lasciò Napoli. Da CatPErc risulta che Giuseppe Paderni svolse papiri non oltre il 1806 e l'unico papiro da lui svolto in quest'anno fu il P.Herc. 1587. return to text

      4. L'indicazione, fornita da Bassi 1913, 448, è apposta sulla cartellina contenente i disegni del P.Herc. 807 da lui compilata ed è ripresa in CatPErc, 185. Questa datazione è formulata tenendo conto di un'annotazione presente sul disegno 21 ("Visto per Marzo 1841"). Non è chiaro a che tipo di approvazione questo visto faccia riferimento; in ogni caso, la data costituisce per Bassi il terminus ante quem per la datazione degli apografi di Malesci (cf. Giuliano 2007, 94 s. e n. 20). Lo studioso, infatti, si limitava a fornire informazioni approssimative nei casi in cui non era riuscito a stabilire con certezza la data precisa dei disegni presi in esame (cf. Bassi 1913, 435).return to text

      5. Il papiro è scritto in una grafia che Cavallo include nel gruppo L (Cavallo 1983, 37), la cui datazione è posteriore alla metà del I secolo a. C. (Cavallo 1983, 53). È una scrittura calligrafica, dal ductus molto posato, fortemente bilineare e caratterizzata da trattini che delimitano le aste in basso, peculiarità più marcata nelle lettere iniziali di linea, che presentano anche un modulo più ampio rispetto a quelle interne. Sembra che non ci siano errori né correzioni, e anche l'impiego di segni critici appare ridotto. La lettura del papiro mi ha permesso di individuare paragraphoi e vacua; non ho rilevato altri σημεῖα, tuttavia il fatto che non sempre sono conservati l'intercolumnio e il margine sinistro delle colonne non esclude che potessero essere stati impiegati altri segni.return to text

      6. Della parte superiore della colonna si conservano sequenze di lettere poste in corrispondenza del margine sinistro, dalle quali, tuttavia, non è possibile ricavare parole intere.return to text

      7. Il disegno fu inciso da Carlo Orazi nel luglio del 1850 (cf. Giuliano 2007, 95).return to text

      8. In esso si riscontrano sequenze di lettere inesistenti nell'originale, peculiarità ricorrente in quasi tutti i disegni del P.Herc. 807 di Malesci. Già Crönert 1898 (Fälschungen, 594 = Studi Ercolanesi, 25) annoverava Carlo Malesci tra i disegnatori poco accurati, rilevando che nei suoi disegni (tra cui anche quelli del P.Herc. 807) ricorrevano frequentemente μᾶλλον, ἄνθρωπον, καθάπερ, oltre alle forme dell'articolo e alla congiunzione καί. La conclusione dello studioso, secondo la quale "per evitare la fatica di una lettura seria" il Malesci si sarebbe aiutato, nelle parti in cui il papiro era più compromesso, con "riempitivi scelti non troppo intelligentemente" è stata pienamente confermata da un recentissimo studio da me effettuato sugli apografi del P.Herc. 807 (cf. Giuliano 2007, 99–101).return to text

      9. P. 47. return to text

      10. Le correzioni sono apposte sul disegno e sulla prima prova di stampa corrispondente. Antonio Ottaviano diede il V(isto) B(uono) e Giuseppe Genovesi autorizzò l'incisione; questa trascrizione fu revisionata, inoltre, da Bernando Quaranta, la cui firma compare sull'apografo e da Felice Barnabei che lavorò alla pubblicazione del X tomo della Collectio Altera, in cui fu edito il P.Herc. 807. return to text

      11. Fr. 80, 126. return to text

      12. Fr. [25], 219.return to text

      13. Arrighetti 1971, 41; 1973², 706 s.return to text

      14. Gigante 2001, 551 s.return to text

      15. È probabile che la colonna avesse un'altezza di circa 18 cm e una larghezza di 5.5 cm; l'intercolumnio ha un'ampiezza di circa 1.2 cm. Il numero di lettere per linea oscilla tra 17 e 21; il numero delle linee in una colonna doveva essere particolarmente elevato (circa 40), anche se la mancanza del margine superiore non mi permette di esserne certa (questi dati rientrano negli standard ipotizzati da Cavallo per il formato e la mise en page dei rotoli ercolanesi).return to text

      16. Delattre 1996, 148.return to text

      17. Obbink 1996, col. 38, 1078: ἐν τῶι] ἕκτω[ι. return to text

      18. Obbink 1996, col. 38, 1088 s.: ἐν τῶι ὀγ|δόωι. return to text

      19. Obbink 1996, col. 8, 225–27: κἀ̣ν̣ τῶι δω|δεκάτ[ω]ι Περὶ φ[ύ]|σ[ε]ω[ς; col. 19, 523 s.: ὡς κἀ[ν τῶι] | δωδεκάτω[ι. return to text

      20. Obbink 1996, col. 37, 1050 s.: ἐν τε τῶι̣ τρε[ισκαι]|δεκάτωι.return to text

      21. Obbink 1996, col. 66A, 1888–1890: κἀν̣ [τῶι δευ]|τέρωι καὶ [τριακοσ]|τῶι.return to text

      22. Obbink 1996, col. 37, 1055 s.: ἐν δὲ τῶι π̣έ[μπτωι καὶ] | τριακ[οσ]τῶ[ι. return to text

      23. Fr. 11 [32] Arrighetti 1973², 321: ἐν τῶι β̅ καὶ λ̅.return to text

      24. Fr. 12, cf. Tepedino 1987: ἐ[ν] | τῆι λ̅ καὶ δ̅.return to text

      25. Fr. 44 [19] [5] Arrighetti 1973², 175: κἀν τῶι] | δωδεκά[τωι καὶ τῶι] | τρεισκα[ιδεκάτωι] | περὶ 〈φ〉ύ〈σε〉[ως.return to text

      26. Obbink 1996, col. 8, 225–27: κἀ̣ν̣ τῶι δω|δεκάτ[ω]ι Περὶ φ[ύ]|σ[ε]ω[ς.return to text

      27. Nei papiri ercolanesi gli argomenti dei libri Περὶ φύσεως citati vengono di solito esposti, anche se sinteticamente, dopo le citazioni; fanno eccezione le due citazioni nel P.Herc. 998 (Scriptor Graecus incertus), dove gli argomenti sono preannunciati immediatamente prima che vengano menzionati i libri di Epicuro. return to text

      28. P.Herc. 807, Fr. 5 N, l. 25.return to text

      29. Obbink 1996, col. 38, 1078, 1088 s.return to text

      30. Ho analizzato anche i luoghi in cui ricorre il verbo ὀρέγομαι, il cui significato, "desiderare intensamente," non ha una connotazione espressamente positiva o negativa; a parte un caso nel De bono rege (sul quale vedi infra), non mi sembra che ci siano paralleli interessanti. Il verbo è utilizzato due volte anche nel quarto libro De morte (coll. XIII 6; XIV 5 Kuiper 1925), quando l'autore affronta il tema della morte in età giovanile; nel primo caso il verbo si riferisce alla brama dei giovani di vivere più a lungo, nel secondo caso esprime, invece, il desiderio intenso di vivere il tempo necessario per soddisfare i desideri naturali e congeniti, in piena consonanza con il pensiero epicureo.return to text

      31. Neubecker 1986, col. XIII 13.return to text

      32. Jensen 1907, col. XXVI 3 s.return to text

      33. Diels 1916, col. VII 7, 14.return to text

      34. Esaminando l'incidenza della musica sul sentimento amoroso, il filosofo di Gadara definisce la "brama d'amore" un grosso male; Neubecker 1986, col. XIII 10–16: πρῶ̣[τον] μὲν δὴ τὸ κακοῦ | καὶ [με]γάλου τῆς ἐρωτικῆ[ς] | ὀρέξ[εω]ς οὔσης, ἥν γε [δ]ὴ νο|οῦσι[ν οἱ Π]ανέλληνες, ἀρε]τὴ̣ν [ἐρ]ωτικὴν εἶναι νο|μί[ζει]ν [καταγ]έλαστον οὐ | μετ[ρί]ως ("prima di tutto, poiché la brama d'amore è un male, e davvero un grosso male, così come la intendono in generale i Greci, è oltremodo ridicolo credere che esista una virtù amorosa"; trad. di Romano 2007, 74). return to text

      35. Il vocabolo ricorre nella sezione in cui Filodemo espone l'importanza di una buona amministrazione delle ricchezze in ambito familiare e sottolinea la necessità di sacrificare i propri beni e il proprio tempo per avvantaggiare gli amici. Jensen 1907, col. XXVI 1–18: χρὴ δέ, καθάπερ πλειό|νων προσπεσόντων χαρίζε|σθαι ταῖς ἀβλαβέσι τῶν ὀρέ|ξεων αὑτοῖς καὶ φίλοις, οὕτω | συμβάσης ἁδρᾶς κοιλότητος | ἀναμάχεσθα̣ι ταῖς μὴ ἀνελευ|θέροις συστολαῖς, καὶ μᾶλλόν | γε ταῖς εἰς αὑτοὺς ἢ ταῖς εἰς | φίλους̣, καὶ πρὸς ἐπισκέψεις | καὶ παρεδρείας ἐνίοις καὶ | συλλογισμῶν συνθέσεις | κατατίθεσθαί τινας χρόνους | μήτε αἰσχύ[ν]εσθαι μήτε | φιλοσοφίας δοκεῖν ἀφαιρεῖν· ("in realtà, come bisogna indulgere a se stessi e agli amici nei desideri innocui quando c'è abbondanza di cose, così, quando capita un periodo di gravi strettezze, bisogna rimediarvi con una parsimonia non illiberale e più nei confronti di se stessi che degli amici, e non vergognarsi di destinare qualche tempo alle salutazioni, alle visite, allo scambio dei pareri con qualcuno, senza peraltro pensare di togliere qualcosa alla filosofia"; trad. di Laurenti 1973, 175). return to text

      36. Diels 1916, col. VII 6 s.: διότ[ι τῶν τῆ]ι φύσει μαχομένων οὐ|δενὸς οὔ̣[τε βο]ύλησιν ο[ὔ]τ᾿ ὄρεξιν ἔχει ("perciò non vuole, né brama nessuna delle cose che sono contro natura"). return to text

      37. Diels 1916, col. VII 14: τῆς δ᾿ ὀρέξε[ως αὐ]τῶν ἀφιστάμε[θα] ("ci sottraiamo dalla brama di queste cose").return to text

      38. Il termine non è attestato nell'opera capitale di Epicuro, ma nelle testimonianze che del filosofo del Giardino ci sono giunte; cf. Glossarium Epicureum, 479.return to text

      39. Un'interessante testimonianza è nella Rata Sententia XXVI: Τῶν ἐπιθυμιῶν ὅσαι μὴ ἐπ᾿ ἀλγοῦν ἐπανάγουσιν ἐὰν μὴ συμπληρωθῶσιν, οὐκ εἰσὶν ἀναγκαῖαι, ἀλλ᾿ εὐδιάχυτον τὴν ὄρεξιν ἔχουσιν, ὅταν δυσπορίστων ἢ βλάβης ἀπεργαστικαὶ δόξωσιν εἶναι ("Dei desideri quanti, se non soddisfatti, non conducono al dolore, non sono necessari, ma è facile dissipare lo stimolo quando appaiono rivolti a cose difficili a ottenersi o tali da procurare danno"; trad. Arrighetti 1973²).

        Nella Lettera a Marcella di Porfirio (27, p. 207, 31 Nauck = fr. 202 Usener 1887) viene riportata questa massima attribuita a Epicuro: ὁ οὖν τῇ φύσει παρακολουθῶν καὶ μὴ ταῖς κεναῖς δόξαις ἐν πᾶσιν αὐτάρκης· πρὸς γὰρ τὸ τῇ φύσει ἀρκοῦν πᾶσα κτῆσίς ἐστι πλοῦτος, πρὸς δὲ τὰς ἀορίστους ὀρέξεις καὶ ὁ μέγιστος πλοῦτός ἐστι πενία ("Colui, dunque, che segue la natura e non le vane opinioni è autosufficiente in tutto: infatti, in rapporto a ciò che basta alla natura, ogni possesso acquisito è ricchezza; in rapporto, invece, alle brame smodate, anche la ricchezza più grande è povertà").

        Il vocabolo ὄρεξις compare anche in una citazione di Epicuro riportata da Giovanni Stobeo (Anth., XVII 35 = fr. 422 Usener 1887): τότε χρείαν ἔχομεν τῆς ἡδονῆς, ὅταν ἐκ τοῦ μὴ παρεῖναι αὐτὴν ἀλγῶμεν· ὅταν δὲ τοῦτο μὴ πάσχωμεν ἐν αἰσθήσει καθεστῶτες, τότε οὐδεμία χρεία τῆς ἡδονῆς· οὐ γὰρ ἡ τῆς φύσεως ἔνδεια τὴν ἀδικίαν ποιεῖ ἔξωθεν, ἀλλ᾿ ἡ περὶ τὰς κενὰς δόξας ὄρεξις ("Allora abbiamo bisogno del piacere, ogni volta che proviamo dolore per la sua assenza; invece, ogni volta che non avvertiamo questa affezione, pur trovandoci in buono stato quanto alle percezioni sensoriali, allora non vi è alcun bisogno di piacere; non è, infatti, lo stato di bisogno della natura a produrre, dall'esterno, l'ingiustizia, ma l'impulso che accompagna le vane opinioni").return to text

      40. La parola ricorre anche in una colonna successiva (P.Herc. 807, fr. 8 N, l. 5), il cui stato, notevolmente frammentario, impedisce di ricavare ulteriori informazioni.return to text

      41. P.Herc. 807, fr. 1 N, ll. 13,18; fr. 5 N, l. 27.return to text

      42. P.Herc. 807, fr. 7 N, l. 13.return to text

      43. Che il P.Herc. 807 svolgesse un tema relativo alla φιλοδοξία era stato suggerito, seppur ipoteticamente, già da Comparetti 1883, 78. Il tema della φιλοδοξία è ricorrente nei testi filodemei; nella Rhetorica (I 139,6 e II 290,5 Sudhaus) è attestata la parola φιλοδοξία; nel De libertate dicendi ricorre sia l'aggettivo φιλόδοξος (Olivieri 1914, col. XXII 10), che il verbo φιλοδοξέω (Olivieri 1914, col. XXIII 7); nel decimo libro De vitiis è usato φιλοδοξέω (Jensen 1911, col. IV 28) e nel De ira l'aggettivo φιλόδοξος (Indelli 1988, col. XV 32) e il verbo φιλοδοξέω (Indelli 1988, col. XLIX 7). Che la brama di gloria avesse una connotazione negativa è chiaramente palesato da un luogo dell'Ira (Indelli 1988, col. XV 30–XVI 2): κἄπειτα δῆλον | ὡς ἑαυτὸν καὶ φίλαρχον | ἢ φιλόδοξον, οὕτω [καὶ ‖ φιλοχρήματον ὄντα | βλάπτειν τὰ μέγιστα ... ("e allora è chiaro che, come chi è ambizioso o amante della gloria, così anche chi è avido di denaro si danneggia moltissimo ...".; trad. Indelli 1988; per il commento al passo cf. Indelli 1988, 174 s.).return to text

      44. Un interessante parallelo è nel De bono rege, Dorandi 1982, col. XLI 7 s.: τ[οῖ]ς μάλισ[τα] | δόξ[ης ὀ]ρεγομένοις, in cui sembra che Filodemo stia parlando del desiderio eccessivo di gloria; per il commento di questo passo lacunoso, cf. Dorandi 1982, 205.return to text

      45. Per Aristotele, autore di un Περὶ μνήμης καὶ ἀναμνήσεως (449 b – 453 b), la memoria è il possesso della sensazione o dell'immagine di qualcosa di esistente o esistito in precedenza, che, però, non si identifica né con la sensazione né con l'immagine. La memoria permette di avere la conoscenza e la sensazione di oggetti, anche quando essi sono assenti. La μνήμη è originata da un movimento che va dai sensi all'anima. La reminiscenza è, invece, prodotta dal movimento inverso, quello che va dall'anima ai sensi; pertanto, la reminiscenza è diretta dalla volontà ed è associazione di idee e movimenti. Cf. Santoro 2000, 125. Come ha affermato Diano 1974, il sistema di Epicuro "non sarebbe stato quel che è se non ci fosse stato Aristotele" (p. 280); lo studioso sostiene, inoltre, che anche la dottrina epicurea della memoria sia "ricalcata su Aristotele" (p. 284) e che sia ravvisabile non solo una concordanza teorica, ma addirittura una coincidenza verbale (p. 286). Non è senza significato quanto si legge in un luogo del De sensu (436 a), dove Aristotele menziona sia la μνήμη che la ὄρεξις tra le cose che sono comuni all'anima e al corpo: ... κοινὰ τῆς ψυχῆς ὄντα καὶ τοῦ σώματος, οἷον αἴσθησις καὶ μνήμη καὶ θυμὸς καὶ ἐπιθυμία καὶ ὅλως ὄρεξις, καὶ πρὸς τούτοις ἡδονή τε καὶ λύπη ("... cose che sono comuni all'anima e al corpo, come sensazione, memoria, animosità, desiderio e, in una parola, l'appetito e oltre a queste piacere e dolore"). return to text

      46. Non possiamo stabilire se il vacuum fosse accompagnato da una paragraphos a inizio linea, a causa di una lacuna.return to text

      47. Nel papiro non vi è vacuum, ma la mancanza del margine sinistro non esclude che l'interpunzione fosse segnalata da una paragraphos.return to text

      48. L'articolo ταῖς presuppone un sostantivo femminile sottinteso; considerando che il femminile βίβλος è usato solo al singolare e che al plurale è attestata la variante neutra βιβλία, è molto probabile che il sostantivo sottinteso, in questo passo, sia γραφαῖς, che è usato con il significato di "libri" sia in Epicuro (per es. nel XXXIV libro del Περὶ φύσεως, Leone 2002, col. XXIII 5) che in Filodemo (Indelli 1988, Ira, XXXV 34). return to text

      49. Steckel 1968, coll. 603 s. return to text

      50. Sedley 1998, 109–33.return to text

      51. Ep., Hdt. 49–52 e Lucr., DRN IV 239–468.return to text

      52. Ep., Hdt. 52–53 e Lucr., DRN IV 522–721.return to text

      53. Lucr., DRN IV 722–822, edizione a cura di Flores 2004.return to text

      54. Sedley 1998, 115.return to text

      55. Secondo l'ipotesi di Sedley, questo argomento era trattato nel terzo o nel quarto libro Sulla natura di Epicuro.return to text

      56. Lucr., DRN IV 780–815.return to text

      57. Lucr., DRN IV 781 s. (trad. Flores 2004).return to text

      58. Lucr., DRN IV 797 s. (trad. Flores 2004).return to text

      59. Lucr., DRN IV 814 s. (trad. Flores 2004).return to text

      60. Epicuro parla della memoria e del processo psichico del ricordare nel XXV libro Sulla natura (ultimo editore è S. Laursen 1995,1997), in cui si tratta diffusamente delle attività della mente, della loro origine ed evoluzione. Una recente rilettura di alcuni passi del XXV libro è stata proposta da Masi 2006;: in relazione al ricordo la studiosa mette in luce che, per Epicuro, nell'atto del ricordare, la mente non è in alcun modo influenzata dall'azione dei singoli atomi che la compongono (Masi 2006, 21); la Masi, inoltre, descrive come la memoria si componga di due aspetti: uno innato, determinato dalla costituzione atomica iniziale della mente, da cui si origina la facoltà del ricordare (μνήμη), e un altro che è il risultato di una costituzione atomica accresciuta e produce un'affezione simile al ricordo ([μνή]μηι ἀνάλογον), che per la studiosa rappresenterebbe un processo che sta alla base del ricordo e di cui non si ha consapevolezza (Masi 2006, 15, 41 s.). Un'ampia sezione sulla μνήμη è anche in un testo di Demetrio Lacone relativo alla teologia, restituito dal P.Herc. 1055. di cui è ultima editrice Santoro 2000. Nelle coll. IX–XIII Santoro 2000 è esposta la teoria epicurea relativa ai ricordi, alla loro durata e alla loro conservazione all'interno dell'anima umana, dall'infanzia fino all'età adulta. Per la Santoro l'immagine di alcuni corpi, dopo aver colpito la mente, si conserva viva e presente in essa, anche in assenza delle sensazioni che hanno determinato le percezioni specifiche di quei corpi. Questo processo si connette alla πρόληψις: quando, infatti, le sensazioni particolari sono terminate, permangono nella mente le prenozioni che si identificano con i ricordi. Dal ripetersi delle sensazioni si origina la memoria; i ricordi sono, dunque, sensazioni memorizzate (cf. Santoro 2000, 34 s. e 123–41). Anche Diogene di Enoanda (fr. 9,3,3–14 Smith 1993) descrive il meccanismo della memoria: l'anima riceve le immagini degli oggetti visti dagli occhi e anche quando questi oggetti che abbiamo visto non sono più presenti, la nostra mente, dotata di pori, accoglie cose simili alle immagini originali (τὰ πρῶτα εἴδωλα).return to text

      Abbreviazioni Bibliografiche

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