L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English.

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Title
L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English.
Author
Tasso, Torquato, 1544-1595.
Publication
Oxford :: printed by L. Lichfield, for James Fletcher; and sold by J. Nourse bookseller, near Temple-Bar. London,
[1650?]
Rights/Permissions

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"L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English." In the digital collection Early English Books Online 2. https://name.umdl.umich.edu/A62822.0001.001. University of Michigan Library Digital Collections. Accessed May 26, 2024.

Pages

SCENA SECONDA.
Nunzio. Choro. Silvia. Dafne.
IO hò sì pieno il petto di pietate, E sì pieno d' horror, che non rimiro, Ne odo alcuna cosa, onde mi volga, La qual non mi spaventi, e non m' affanni.
Cho.
Hor, ch' apporta costui, Ch' è sè turbato in vista, & in favella

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Nun.
Porto l' aspra novella De la morte d' Aminta.
Sil.
Ohimè, che dice
Nun.
Il più nobil Pastor di queste selve, Che fù così gentil, così leggiadro, Così caro à le Ninfe, & à le Muse, Et è morto fanciullo, ahi, di che morte?
Cho.
Contane, prego, il tutto, acciò che teco Pianger possiam la sua sciagura, e nostra.
Sil.
Ohimè, ch' io non ardisco Appressarmi ad udire Quel, ch' è pur forza udire: empio mio core, Mio duro alpestre core, Di che, di che paventi? Vattena incontra pure A quei coltei pungenti, Che costui porta ne la lingua, e quivi Mostra la tua fierezza. Pastore, io vengo à parte Di quel dolor, che tú prometti altrui; Che à me ben si conviene Piú che forse non penfi, & io 'l ricevo Come dovuta cosa: hor tu di lui Non mi sii dunque scarso.
Nun.
Ninfa, io ti credo bene, Ch'io sentii quel meschino in sù la morte Finir la vita sua, Co'l chiamar il tuo nome.
Daf.
Hora comincia homai Questa dolente historia.
Nun.
Io era à mezzo 'l colle, ove havea teso Certe mie reti, quando assai vicino Vidi passar Aminta in volto, e in atti

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Troppo mutato da quel, ch' ei soleva, Troppo turbato, e scuro. Io corsi, e corsi Tanto, che 'l giunsi, e lo fermai: & egli Mi disse Ergasto, io vo', che tu mi faccia Un gran piacer. quest' è, che tu ne venga Meco per testimonio d' un mio fatto: Ma pria voglio da te, che tu mi leghi Di stretto giuramento la tua fede, Di startene in disparte, e non por mano Per impedirmi in quel, che son per fare. Io (chi pensato havria caso sì strano, Nè sì pazzo furor?) come egli volse, Feci scongiuri horribili, chiamando E Pane, e Palla, e Priapo, e Pomona, Et Hecate notturna: indi si mosse, E mi condusse, ov' è scosceso il colle, E giù per balze, e per dirupi incolti, Strada non già, che non v' è strada alcuna, Ma cala un precipitio in una valle. Qui ci fermammo: io, rimirando à basso, Tutto sentii raccapricciarmi, e 'n dietro Tosto mi trassi: & egli un cotal poce Parve ridesse, e serenossi il viso: Onde quell' atto più rassicurommi. Indi parlommi sì: Fà, che tu conti A le Ninfe, e à i Pastor, ciò che vedrai: Poi disse, in giù guardando: Se presti al mio volere Così haver io potessi La gola, e i denti de gli avidi lupi, Com' hò questi dirupi, Sol vorrei far la morte, Che fece la mia vita:

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Vorrei, che queste mie membra meschine Sì fosser lacerate, Ohimè, come già furo Quelle sue delicate. Poiche non posso, e 'l Cielo Dinega al mio desire Gli animali voraci, Che ben verriano à tempo: io prender voglio Altra strada al morire: Prenderò quella via. Che se non la devuta, Almen fia la più breve. Silvia, io ti seguo, io vengo A farti compagnia, Se non la sdegnerai: E morirei contento, S' io fossi certo almeno, Che 'l mio venirti dietro Turbar non ti dovesse, E che fosse finita L' ira tua con la vita Silvia, io ti seguo; io vengo. Così detto, Precipitossi d' alto Co'l capo in giuso, & io restai di ghiaccio.
Daf.
Misero Aminta.
Sil.
Ohime.
Cho.
Perche non l' i mpedisti? Forse ti fù ritegno à ritenerlo Il fatto giuramento?
Nun.
Questo nò, che sprezzando i giuramenti Vani forse in tal caso, Quand' io m' accorsi del suo pazzo, & empio Proponimento, con la man vi corsi,

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E come volse la sua dura sorte, Lo presi in questa fascia di zendudo, Che lo cingeva; la qual non potendo L' impeto, e 'l peso sostener del corpo, Che s' era tutto abbandonato, in mano Spezzata mi rimase.
Cho.
E che divenne De l' infelice corpo?
Nun.
Io no 'l sò dire, Ch'era sì pien d' orrore, e di pietate, Che non mi diede il cor di rimirarvi, Per non vederlo in pezzi.
Cho.
O strano caso.
Sil.
Ohimè ben son di sasso, Poiche questa novella non m' uccide, Ahi, se la falsa morte Di chi tanto l' odiava, A lui tolse la vita: Ben sarebbe cagione, Che la verace morte Di chi tanto m' amava, Togliesse à me la vita: E vo', che la mi tolga, Se non potrà co 'l duol, almen co 'l ferro, O pur con questa fascia, Che non senza cagione Non seguì le ruine Del suo dolce Signore: Mà restò sol per far in me vendetta De l' empio mio rigore: E del suo amaro fine. Cinto infelice, cinto Di Signor più infelice, Non ti spiaccia restare In sì odioso albergo, Che tu vi resti sol per istromente

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Di vendetta, e di pena. Dovea certo, io dovea Esser compagna al mondo De l' infelice Aminta. Poscia, ch' allhor non volsi, Sarò per opra tua Sua compagna à l' Inferno.
Cho.
Consolati, meschina, Che questo è di fortuna, e non tua colpa.
Sil.
Pastor, di che piangete? Se piangete il mio affanno, Io non merto pietate, Che non la seppi vsare: Se piangete il morire Del misero Innocente, Questo è picciolo segno A sì alta cagione; e tu rasciuga, Dafne queste tue lagrime, per Dio, Se cagion ne son' io: Ben ti voglio pregare, Non per pietà di me, mà per pietate Di chi degno ne fue, Che m' aiuti à cercare, L' infelici sue membra, e à sepelirle: Questo sol mi ritiene, C' hor hora non m' uccida: Pagar vo' questo vfficio, Poich' altro non m' avvanza, A l' amor, ch' ei portommi: E, se bene quest' empia Mano contaminare Potesse la pietà de l' opra, pure

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Sò, che gli sarà cara L' opra di questa mano: Che sò certo, ch' ei m' ama, Come mostrò morendo.
Daf.
Son contenta aiutarti in quest' ufficio: Ma tù non già pensare D' haver poscia à morire.
Sil.
Sin quì vissi à me stessa; A la mia feritate: hor: quel' ch' avvanza, Viver voglio ad Aminta: E, se non posso à lui, Viverò al freddo suo Cadavero infelice. Tanto, e non più mi lice Restar al mondo, e poi finir à un punto E l' essequie, e la vita. Pastor: mà, quale strada Ci conduce à la valle ove il dirupo Và à terminare?
Nun.
Questa vi conduce; E quinci poco spatio ella è lontana.
Daf.
Andiam, che verrò teco, e guiderotti, Che ben rammento il luogo.
Sil.
A Dio, Pastori; Piagge A Dio; A Dio selve; e fiumi, A Dio.
Nun.
Costei parla di modo, che dimostra D' esser disposta à l' ultima partita.
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