L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English.
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Title
L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English.
Author
Tasso, Torquato, 1544-1595.
Publication
Oxford :: printed by L. Lichfield, for James Fletcher; and sold by J. Nourse bookseller, near Temple-Bar. London,
[1650?]
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"L'Aminta, di Torquato Tasso, favola boscherecchia. Tasso's Aminta, a pastoral comedy, in Italian and English." In the digital collection Early English Books Online 2. https://name.umdl.umich.edu/A62822.0001.001. University of Michigan Library Digital Collections. Accessed May 26, 2024.
Pages
ATTO TERZO. SCENA PRIMA.
Tirsi. Choro.
Tir.
OCrudeltate estrema, ò in∣grato core,O' Donna ingrata, ò tre state, e quattroIngratissimo sesso! e tu Natura,Negligente Maestra, perche, soloA le Donne nel volto, e in quel di fuoriPonesti quanto in loro è di gentile,Di mansueto, e di cortese; e tutteL'altre parti obliasti? ahi, miserello,Forse ha se stesso ucciso: ei non appare:Io l'hò cerco, e ricerco homai tre horeNel loco, ov'io il lasciaì, e ne i contorni;Nè trovo lui, nè orme de' suoi passi.Ahi, che s' è certo ucciso. Io vò novellaChiederne à que' Pastor, che colà veggio.
descriptionPage 78
Amici, havete visto Aminta, ò intesoNovella di lui forse?
Cho.
Tu mi pariCosì turbato: e qual cagion t' affanna?Ond' è questo sudor, e questo ansare?Hauvi nulla di mal? fà, che'l sappiamo.
Tir.
Temo del mal d'Aminta; havetel visto?
Cho.
Noi visto non l'habbiam, dapoi che tecoBuona pezza partì; mà, che ne temi?
Tir.
Ch' egli non s'habbia ucciso di sua mano.
Cho.
Ucciso di sua mano! hor, perche questo?Che ne stimi cagione?
Tir.
Odio, & Amore.
Cho.
Duo potenti inimici, insieme aggiunti,Che far non ponno? mà parla più chiaro.
Tir.
L'amar troppo una Ninfa, e l'esser troppoOdiato da lei.
Ch.
Deh, narra il tutto:Questo è luogo di passo, e forse intantoAlcun verrà, che nova di lui rechi,Forse arrivar potrebbe anch' egli stesso.
Tir.
Dirollo volentier, che non è giusto,Che tanta ingratitudine, e sì stranaSenza l'infamia debita si resti:Presentito havea Aminta (ed io fui, lasso,Colui, che riferillo, che'l condussi,Hor mene pento) che Silvia doveaCon Dafne ire à lavarsi ad una fonte,Là dunque s'inviò dubbio, ed incerto,Messo, non dal suo cor, mà sol dal mioStimolar importuno, espesso in forse
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Fù di tornar indietro, ed io'l sospinsiPur mal suo grado inanzi. Hor, quando homaiC'era il fonte vicino, ecco sentiamoUn feminil lamento, e quasi à un tempoDafne veggiam, che battea palma à palma,La qual come ci vidde, alzò la voce:Ah correte, gridò: Silvia è sforzata:L'inamorato Aminta, che ciò intese,Si spiccò com' un Pardo, ed io seguillo,Ecco miriamo ad un' arbore legataLa Giovinetta ignuda come nacque,E à legarla fune era il suo crine:Il suo crine medesimo in mille nodiA la pianta era avuolto, e'l suo bel cinto,Che del sen virginal fù pria custode,Di quello stupro era ministro, ed ambeLe mani al duro tronco le stringea;E la pianta medesma havea prestatiLegami contra lei, ch' una ritortaD'un pieghevole ramo havea ciascunaDe le tenere gambe. A fronte, à fronteUn Satiro villan noi le vedemmo,Che di legarla pur allhor finia.Ella quanto potea, faceva schermo;Mà, che potuto havrebbe a lungo andare?Aminta con un dardo, che teneaNe la man destra, al Satiro auventossiCome un Leone, ed io frà tanto pienoM'havea di sassi il grembo, onde fugissi:Come la fuga de l'altro concesseSpatio à lui di mirare, egli rivolseI cupidi occhi in quelle membra belle,
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Che, come suole tremolare il latteNe' giunchi, si parean morbide, e bianche,E tutto'l vidi sfavillar nel viso;Poscia accostossi pianamente à leiTutto modesto, e disse: O bella Silvia,Perdona à questa man, se troppo ardireE l'appressarsi à le tue dolci membra,Perche necessità dura le sforza;Necessità di scioglier questi nodi;Nè questa gratia, che fortuna vuoleConceder loro, tuo mal grado sia.
Ch.
Parole d'ammollir un cor di sasso.Mà che rispose allhor?
Tir.
Nulla rispose,Mà disdegnosa, e vergognosa, à terraChinava il viso, e'l delicato seno,Quanto potea torcendosi, celava.Egli, fattosi inanzi, il biondo crineComminciò a sviluppare, e disse in tanto:Già di nodi sì bei non era degnoCosì ruvido tronco, hor, che vantaggioHanno i Servid' Amor, se lor communeE con le piante il pretioso laccio?Pianta crudel, potesti quel bel crineOffender tu, ch'a te feo tanto honore?Quinci con le sue man le man le sciolseIn modo tal, che parea, che temessePur di toccarle, e desiasse insieme,Si chinò poi, per islegarle i piedi.Mà come Silvia in libertà le maniSi vide, disse in atto dispettoso:Pastor, non mi toccar, son di Diana:Per me stessa saprò sciogliermi i piedi.
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Ch.
Hor tanto orgoglio alberga in cor di Ninfa?Ahi, d'opra gratiosa ingrato merto.
Tir.
Ei si trasse in disparte riverente,Non alzando pur gli occhi per mirarla,Negando à se medesmo il suo piacere,Per torre à lei fatica di negarlo.Io che m'era nascoso, e vedea il tutto,Ed udia il tutto, allhor fui per gridare,Pur mi ritenni. Hor odi strana cosa,Doppo molta fatica ella si sciolse,E sciolta à pena, senza dire Adio,A fuggir commincio com' una Cerva,E pur nulla cagione havea di tema,Che l' era noto il respetto d' Aminta.
Ch.
Perche dunque fuggissi?
Tir.
A la sua fugaVolse l' obligo haver, non à l'altruiModesto amore.
Ch.
Ed in quest' anco è ingrata.Mà che fe'l miserello allhor? che disse?
Tir.
No 'l sò, ch'io, pien di mal talento, corsiPer arrivarla, e ritenerla, e'n vano,Ch'io la smarrii, e poi tornando doveLasciai Aminta al fonte, no'l trovai:Mà presago è il mio cor di qualche male.Sò ch'egli era disposto di morire,Prima che ciò auvenisse.
Ch.
E uso, ed arteDi ciascun, ch' ama minacciarsi morte;Mà rade volte poi segue l'effetto.
Tir.
Dio faccia, ch'ei non sia trà questi rari.
Ch.
Non sarà no.
descriptionPage 86
Tir.
Io voglio irmene à l'antroDel saggio Elpino, ivi s'è vivo, forseSarà ridotto, ove sovente suoleRaddolcir gli amarissimi martiriAl dolce suon de la Sampogna chiara,Ch' ad udir trahe da gli alti monti i sassi,E correr fà di puro latte i fiumi,E stillar mele da le dure scorze.
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