The passenger: of Beneuento Italian, professour of his natiue tongue, for these nine yeeres in London. Diuided into two parts, containing seauen exquisite dialogues in Italian and English: the contents whereof you shall finde in the end of the booke. To the illustrious and renowmed Prince Henry ...

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The passenger: of Beneuento Italian, professour of his natiue tongue, for these nine yeeres in London. Diuided into two parts, containing seauen exquisite dialogues in Italian and English: the contents whereof you shall finde in the end of the booke. To the illustrious and renowmed Prince Henry ...
Author
Benvenuto, Italian.
Publication
London :: Printed by T[homas] S[nodham] for Iohn Stepneth, and are to be solde at his shop at the west-end of Paules Church,
1612.
Rights/Permissions

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Subject terms
Italian language -- Conversation and phrase books -- English.
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"The passenger: of Beneuento Italian, professour of his natiue tongue, for these nine yeeres in London. Diuided into two parts, containing seauen exquisite dialogues in Italian and English: the contents whereof you shall finde in the end of the booke. To the illustrious and renowmed Prince Henry ..." In the digital collection Early English Books Online. https://name.umdl.umich.edu/A08653.0001.001. University of Michigan Library Digital Collections. Accessed April 29, 2025.

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Del Passaggiere. Di Benuenuto Italiano, idiomista. PRIMA PARTE. Tra il Signore Andrea, Sigr. Pompilio, è Mignocco Seruidore. (Book 1)

DIALOGO I. In cui, con varij sententiosi, e piaceuoli motti, s'usan le Phrasi per entrar in casa, arredarsi nella Mane, e spetialmente si fauella del Veg∣liare, Dormire, Sogni, Otio, Otiosi, e col Petrarca si conchiude La Gola e'l Sonno, &c.

Pompilio.

ODi casa?

M.

Chi bussa alla porta?

P.

Amici.

M.

Amici non van di notte.

P.

Moccicone, e arzigogolo, che arzigogheleric vat tu arzigogo∣lando?

M.

Che dimandate cosi per tempo?

P.

Ʋoglio fauellar co'l tuo Padrone.

M.

Quattro giornisono, ch'egli ando a la villa.

Page 4

P.

Io lo viddi hiersera.

M.

Hor m'ammento, ei è ritornato, ma hora dorme.

P.

Dorma aguisa de Bombici, egli è di mestieri, che seco parli.

M.

A buon intenditore poche parolle bastano▪, per hora voi non potete.

P.

Non mi conosci? che boscareccie cerimonie son coteste?

M.

Sete voi padrone mio? iscusátèmi, hor v'nirometto.

P.

Bisogna diuentar Comico, ó Satirico per farti aprire.

M.

In vero non l'hauea conosciuto.

P.

Coteste son Aretinesche iscuse, come ben sai l'amaro condir co'l dolce, e di rozzo diuenir ciuile?

M.

Bisogna seruire a l'occasioni, e al tempo.

P.

Dir, e finger tu puoi, et io creder quanto mi piace, ma non essendo tu aliro, che froda, quanto piu dissimuli, via men ti credo.

M.

Io fauello di cuore.

P.

Ne'l uento delle parolle, mai fatti, & ancor le parolle osseruo.

M.

Credetemi signore, che l'hauea pigliato in fallo, e pareami di notte.

P.

Tu ti fai cugino d'uncerto, à cui dicendo il padrone, che vedesse, che tempo fosse, essendo egli, forsi come tu sei, addormentato, ò stordito da bacco, pensando di porre il capo fuori della fenestra, cacci-lo in vn grand'armaio, e riuersioss sopra la testa vn'orna d'oglio: ritornando also padrone, dissegli, signore dormire cheto, che tempo opportuno è di far bambolini, oscuro come le fauci d'un Lupo, e desperatamente pioue.

M.

O'che sciocco, pur alli piu sauij souente cadan le brache: ancor io dormeuo.

P.

Dormeui tu giornione, quando garreui ali'uscio?

M.

S'to non dormeua, almen non era ancor ben desto.

P.

Confessa il vro, voi seruidori nell'iscusar l'errori, sete aguisa d'un vcellaccio colto co'l veschio, ò preso alla rete, che quanto piu si scuote, via piu 'impania, e molto piu s'intrica.

Page 6

M.

Che altro farà vn seruidore non men diroba, che pouero di vertu, e d'ingegno?

P.

* 1.1Se tu ti conosci, badalone, ch'aspetti? la tarda penitenza mlti ha ingannata.

M.

Deh padrone mio, vero è'l prouerbio: Ch'alri cangian il pelo an∣zi ch'l vezzo:* 1.2 e'l Lupo il manto, ma non il vitio muta; noi serui∣dori, quali nasciamo, tali muoiamo ancora.

P.

Horsu 'ammenti? voglio ragiònar co'l tuo padrone:

M.

In vero non ardisco, di molestarlo.

P.

Tu mi diceui, ch'egli era ito nel contado.

M.

Non mi credesti? e quante fiate ho dato fede à vostri fanti nell'u∣sarmi l'istesso tiro?

P.

Non sappeuo d'esser cotanto tuo famigliare: questo mi basta.

M.

Chi commesso ha maggior errore, ó VS. in non manifestarsi, ò io in non aprire à chi non vedeuo, ne conosceuo?

P.

Non piu parolle; andiansene, ma prima dimi; è egli solo, ò acco∣piato?

M.

Iddio ci perdoni, ei non puote patire, che nella camèra, non che nel letto, entri alcuna femina.

P.

Oh, oh; ne anco la Simia voleua cires; e l'Orso melle; ne men Madona Pipa, che'l drudo li m••••esse la man sopra la Ci∣tàra.

M.

Fin ch'alro non vedo, non mutero concetto.

P.

Ispeditione; dopo che tu non osi, lascia la cura à me, lo destaro ben io. O la Signor mio, che vna nobilissima creatura, qual è Phuomo, sol perle vertu creata, ancora dorme?

A.

Chi è costi? chi sete uoi?

P.

Chi son io? piu osto chisete voi, che fa chiara la notte; e oscuro il giorno?

A.

Che voce è cotesta?

P.

Dubitò, siate vno di sette dormacchioni, ó della spetie del Ghiro, ó sanacchioso Tasso.

A.

Parmi, piu tosto, che voi dormiate, dalla forma non discernendo la spetie.

P.

Dormir non si puo, è Logicarinsieme.

A.

I giorni sono assai longi, e spessi.

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P.

Nella presente vita siam passaggieri: ci conuien vegliare.

A.

Ache tanta veglia, solo di noia, e d'angoscia piena?

P.

* 1.3O misero colui, che i giorni conta, e par gli l'un mil' anni. E'n darno viue, e seco in terra mai si raffronta, molto piu il sonne, se non ponete in oblio voi stesso.

A.

* 1.4Trouo il riposo esser la meglior parte dell'huomo.

P.

* 1.5Hor ben vegg'io, che voi sete offeso da n graue, e mortifero Letargo.

A.

O sete voi Signore? che buon tempo hauete? Sete il benuenuto, sedete, e datemi licenza per vn popò di chiuder vn occhio.

P.

Talseruo, qual Padrone: concorrete con Endimione.

A.

Anzi vincer vorrei Epimenide.

P.

Auertite di non sàrusciolare in qualche infamia.

A.

In che nota, o'in qual infamia incorrer puote, chi niuno offende?

P.

Via piu, chi se stesso, che chi altro offende.

A.

Chete si sia, che à pena al fin si puol dipingere, che dopo vn mar d'affanni godian in questa vita, parmi esser il vestir, che ci diffende la carne dal nocumento de l'elementi, e di vanagloria ci pasce il spirito: il bere, e'l manucare, che ci nudrisce il corpo: il dormire, che corrobora, e ristora la Natura: il gioire, che allegra, e riconforta il cuore, gioconda i spiriti, e conserua la spetie: & li denari, che ci dano il tutto.

P.

Egli è vero, magia con l'Apostolo, io ui dissi, che qui siam passaggieri, circondati da mille nemici, e quel che e'peggio, souente priui di vertu, senza armi spesso da diffesa, e con molte d'offesa di noi stessi.

A.

Dunche impossibil è, di non esser vinto, il che pochi inten∣dendo, via men preuedano.

P.

Non restanpercio molte diuine voci di continuo destarci, & inuitarcial cielo. Iddio chiamandoci con la suavoce, che essendo egli sol buono, altresi

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marauigliosamente inuita la sua prole esser smile ad esso.

A.

La voce ancora delle separate menti con indissolubil nodo à noi congionte c'indrizza al commun padre.

P.

* 1.6Ma chisordo sarà al viuo suono delle celesti Trombe, quali narrandoi la gloria del sommo bene, à quello ci destan?

A.

Euui vn'ltra ancor non men, parmi, potente, che è della Natura, qual attissimi ci fece à ricercar, e mediante la diuina gratia, à ttener l'istesso fine.

P.

Efficace è parimente la voce della retta Ragine, che pen∣dendo il retto, e'l guisto dal vero, et essendo il vero l'istesso col bene, ci conduci al sommo bene.

A.

Ne tace la nostra volonta, quale se dprauata non è, sol brama il bene.

P.

Non guidicò men efficace la voce della promessa â quelli, che con viua fede lasciando la fece delle cose basse, aguisa d' Aquila, s'inalzanò alle diuine.

A.

Ahi, doue è hoggidi tra noi vn tale, che degno è d'esser incoronato di perpetua lode?

P.

Dubiò la maggior parte, non curandosi della risposta; esser sentacchij, e troppo orecchiare il detto de carnali: cioe, Molte cose si predican, e ci son promesse, Sed quis ostendit nobis bona?* 1.7 Ma doue paiano? caccia, il vaccillar, la fede, però essendo in tali spenta la fede, e co la fede ogni vertu si parte, se l'amore di esse vertù habile non è, almen l'horrida voce della rigorosa pena raffrenar li debbe.

A.
* 1.8Non piaccia à Dio che le sue voci senza fiutto verun mi destinò, Tolga Dio, che mai faccia Cosa, che gli dispiaccia: Ma spiri al petto mio celeste ardore, * 1.9Accio a l'egro mondo porgiamo aspersi. Di soaue licor gli orli deluaso: Succhi amari, ingannato in tanto ei beua, E da l'inganno suo vita riceua.
P.

Farete honoratamente.

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A.

O la? Mignocco, ti sei nel tonello dell'oglio forse sommerso, ch'non apparisci, ne io ti vedo? Oh, ho, hor a'l putor ti sento: fa fuoco.

M.

Di fàscij, ò di Carboni?

A.

Costui è' l capo di sguadra dell'ignoranti, pur come vn Piero Lombardo, sempre fauella perdistintione, ma al fine ei è vn capocchio.

M.

Faccio per non errare.

A.

Ma sempre erri: tutto è buono, se fai bene, e presto, ne tu badalocco ballocando vaddi.

M.

Non ritrouo il mantice, ne vedo le molette, ma soffiarò cola bocca.

A.

Auertisce che essendo tu cosi secco, il fumo portandoti sopra il camino, non ti sublimi.

M.

Faremmo spalancar di risa tutta la brigata.

A.

Fa, odi, e sta cheto linguacciuto che sei.

M.

Ispedisco hotta catotta.

A.

Asciuga, scalda, e recàmi la mia camiscia, co la camisciola.

M.

Eccòla conforme al vostro desio: che vestimenti hoggi volete hauere?

A.

Ancor non ci ho pensato, qual credi, che sarà meglio? quel di panno alto, di rascia Fiorentina, o Venetiana, Taffeta, Raso, grosso Grano, Ʋelutto tagliato, o riccio, o figurato, di tella d'oro, o d'argento, o'l ricamato, o l'aliro semplice senza alcun freggio, o'l mio colletto pro∣fumato, o'l mio giuppone, e calcie, bianche, di tane, pauo∣nazzo, rancio, giallo, biggio, verde, torchino, rosso, cremesino, ouero, per putir di malincónico, e per parer piu sauio, il nero? O che cornacchi, ò che nulla dici, ô che agogni: Che ne dici tu testa d'Alocco.

M.

Per parer apresso il volgo, e l'aliri, che spesse fiate hanno poco senno, non mediocre sciochezza non seguir l'humor commune, meglio sarà, che V.S. si metti le calcie all'itali∣ana, freggiate d'oro alla bizzara, il giupone co'l busto alla Franciosa, le maniche alla Spagnuola, co'l falso colare alla polacha.

A.

Tu sai piu che non pensauo, per questa mane voglio prouare

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il tùo consiglio.

M.

Hauerete il tutto.

A.

Troua le mie pianelle, ch'io non le vedo: Fa presto.

M.

Son presto.

A.

Presto ah sentacchione? sei, penso della schiata delle stelle fisse, che si muonano in termine di sessanta, ô secondo To∣lomeo,* 1.10 di cento anni.

M.

Dio volessi ch'io fosse stella.

A.

Sempre vaneggi. Recamì le mie calcete di seta Napoli∣tane, o le Milanese, o piu tosto l'Inglese, co quelle di stame per porle sotto ali'altre.

M.

Eccòle.

A.

Penso sarà meglio, che mi metta gli miei stiudi o bolzacchini: le strade son asciute, ô fangose?

M.

Fangose, li volete Sig.?

A.

Si, porgimi le mie sotto calcete lauorate à ago, co li speroni.

M.

Sete presto per cacciar Simie, ô Babuini.

A.

Parti cornacchione tempo di calciar seta, e ogni giorni cousu∣mare vn paio?

M.

Non in vero.

A.

Doue sono le mie cintolè, o (come le dimandi tu vanaglorioso della pedantaria, in cui nascesti) poste? mai hai nulla presto.

M.

Son io forsi Profeta? ô capiromante?

A.

Non hai tu per ventura ceruello in capo?

M.

Si, ma non indouino.

A.
Che ti parrebbe, l'indouiner miracolo? Se fosti stato fermo alla spelonca, * 1.11La, doue Apollo diuento Profeta; non così diresti.
M.

In villa io nacqui, mio Padre era villano.

A.

* 1.12Se fosti alla scola, non ti souiene ciò, che riferisce Cicerone, di Cassandra Troiana, d'un certo Publio Vate, e di Ʋati Martij?

M.

Il tutto mi son dimenticato.

A.

Penso, che sij il quinto genito della razza di Metello.

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M.

Son di carne, e non di metallo.

A.

Non sai, che Scipione â Numantia contra Metello, quarto figliuol macedonico, qual n'hehbe quatro, quali secondo l'età minore andauan mancando di giuditio, diceua, che se la madre partoriua il quinto, sarebbe stao vn Asino. Penso, tu sei quel quinto, e se l' Asina. Profetizò (essendo tu maschio) meglio pnoi riuscir Druido.

M.

O voi altri ricconi suanite nel buon tempó, come mosche vi suffocate nel Latte, aguisa di Vespe v'anegatte nel Melle. e come thedeschi vi perdete nella Maluagia.

A.

Chentē, che luce, credi tu esser'oro? Niun horoloio picciolò, ò grande chesia, girar non puol senza contrapeso.

M.

Dica, ò faccia ciò, che si voglia il ricco, le richezze, come pretioso manto,* 1.13 lo copran, il tutto abbelliscan, e come vn moscone rompe ogni ragnattella, e ragna.

A.

Signior Pompilio, vdite per cortesia il mio fante, tanto ha del semplice; che crede esser impossibile l'indouinare?

P.

Non leggiamo di Mopso àpresso Ouidio, Polibio Corintho apresso Tullio, Heleo in Herodoto, Aronte in Lucano, Meone apresso Statio, di Carmenta, Nicostrata indouina, di Manto,* 1.14 di Sosopatria, di Theano, di Marta, di Eusippe, e molti altri, che a giorni loro furno indouini?

A.
Che ti par, non sei confuso? Renditi vinto, per tua gloria basti, Che dir potrai che contra noi pugnasti.
M.

Non è grand'oprail dar ad intendere à vn par mio, di poter (pescando nel pozzo) pigliar la Luna.

A.

Horsu ottuso ispediscela vna fiata.

M.

Dubito, che Ʋ. S. s'imagini d'esser in campo, e che col rumor di Tamburri, e suon di Trombe, dian all'armi.

A.

Costui dopo essersi mstrato ignorante, come vn prete di uilla, hora come vn arancatore mastreggiando, com∣mencia, arancare.

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M.

Meglio non è qualche cosa, che nulla?

A.

Via, Via, Porgimi la pettiniera col pettine di buso, ò d'auorio che sia, la scopetta, la sponghia, la spog∣netta, il netta denti col' orecchino.

M.

Eccòle già preparate.

A.

Preparate ah busega? con qual gratia, è politia?

M.

Iscusatemi Signore, andate troppo in fretta.

A.

Iddio per sua bonta mi fece vn huomo, è cotesta Vappa aguisa d'un'altra Circe, Medea, ò Calisto tranformar mi vorebhe in vna feminuccia, che m'inuecchisse nell' arredarmi.

M.

Sel ho due mani, due occhi; è sol due piedi.

A.

So, che non hai ale: ma sappi, che à cui manca ceruello, mille membra seruan in nulla.

M.

Perdonatemi padrone, ho veduto honorati gentil'huomini ripossatamente vestirsi,

A.

Ne, come tu vedi, io corro. Quanto cotesti tuoi galanti stanno?

M.

Tre, ò quattro hore.

A.

Ne anco la mula del papa cotanto tempo ricchiede, hanno l' effigie virile, e'l cor donnesco: doue è fuoco, è spirito, assai egli opra.

M.

Eglino pur son tenuli di gran senno.

A.

Euni gran differenza tra l'esser in vero, è l'esser riputato Non sai tu, che dal comenciamento il mondo se neua alla riuersa?

M.

Io non miro cosi alto.

A.

* 1.15Ʋan pur in aira à guerregiar le pecchie. Conosco ben to il tuo genio, i varesti far discepelo di Diomede, et Antifane nel imitar cotesti tuoi Gani∣medi, pompeti, paraninfi, cacamuschio, sirene, penac∣chini, tenti buono, gubbia da grilli, ceruellotti, canta∣uersi, chimerosi, che ad ogni minimo soffio di venticel, che spiri, si volcan, riuolan, è senza vertu di calamite ad ogni emispero ed orizonte si girano.

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M.

Bisogna pur Padrone mio, ch'l gentil'huomo vesta da gentil'huomo.

A.

Tu vuoi, come molti altri ignorantelli fanno, parlar di gen∣til'huomo, ne sai ch'egli si sia, ne che lo facci.

M.

Alcommun giuditio, l'intrata, vestimenta, e denari.

A.

Sai tu, che sia il volgo, ò commune? aliro non e, ch'un mostro di Natura; questo m' è più che nuouo, che campi, la seta, la moneta habbian hoggi di priuilegio di far vn gentil'huomo.

M.

Senza questi l'huomo è riputato, e puo far nulla.

A.

Tra la chiurma, e'l popolazo, tu dici il vero; m'al parer di quei, ch'han qualche seno, la virtù, il valore, il sangue, li costumi, e procedere fan in ver gentil'huomo, ma le ric∣chezze solo lo pingan, e coloriscano.

M.

Non so io, osseruo quanto fan l'aliri, vedo il ben vestito, e denaroso esser sl honorato.

A.

Che alro farai tu pouero d'ogni virtù, e glituoi pari? che non miran, ne attendan, non aspiran, ne speran, ne più alra sano, ne vedan, ch'l lor interesse, col qual mi∣suran il tutto.

M.

La commune opinion ha virtù di legge.

A.

Sei cosi grande, e grosso, e pur ancor, vdito non hai il numero di pazz esser infinito?

M.

Che sarò io forsi piu sauio del mondo? parmi piu putir del dotto, l'esser riputato sauio da molti, che sciocco da pochi.

A.

Secondo il mondo (io lo confesso) tu dici il vero: ma recca∣mi il boccal da pisciare.

M.

Eccòlo.

A.

Hor mira, che bel tempo fa, e come riluce il sole?

M.

Sima tantosto sar à buio, ò nebbia, ouer nubbi, indi teste seguira pioggia col humido, dipoi freddo, apresso caldo, et cosi in poco spaccio di tempo hauremo ogristagione.

Page 22

A.
E col tempo si mutarà ancor l'huomo: * 1.16Che nel mondo mutabile è leggiero Constanza è spesso il variar pensiero. Cauami li stiuali.
M.

Vosignoria seda.

A.

Doue son le mie scarpe, rosette, e'l centurino col pugnale.

M.

In men d'un balleno, l'hauerete.

A.

L'acqua da lauarmi le mani, è la faccia trascurato, che si, doue è?

M.

E preparata.

A.

Nel fonte, ò forsi nel pozzo, quelche è peggio, ogni di vai peggiorando: bisogna, ch'io mi rissolui, di salariar vn solicitatore per ricordarti il tutto.

M.

Iscusatemi, egli è sopra gionto vn certo di cui non mi ricor∣do il nome, che con vn cartello longo come la bibia, promette di souenir alla memoria.

A.

Pensi tu madarazzo d'apparar tal arte?

M.

Che so io.

A.

Tu mifai rider contra mia voglia.

M.

Credo, ch'ei possa assai giouarmi. Dicendo egli nella sua narraiua d'esser giurato, è spergiurato.

A.

S'inganna, t'inganna, è tu, ti inganni. Doue manca la Natura, l'arte puo nulla. Sai che vai a tentone brancu∣lando?

M.

Cercò di brancicar il meglio.

A.

Col imparar, è ricordarti ij ponti, di far d'vn resto di quella poca, che ti ritroui nella Nuca.

M.

Forsi che no Sig. vaglio, è voglio spender in cio pocho.

A.

Con pochi denari aspetta, pocho di buono.

M.

Molti pochifanno vn assai, è l'assai basta.

A.

Recami vn tantino di saponetto di Napoli, ò di Ʋinegia, ò Francia per limpidarmi le mani.

M.

Eglino gia son consummati affatto.

Page 24

A.

Dammi dunque vna mollica di pane, ò della mia poluere di fugac∣cie d'amandole con farina di fana, e le forficcini ancora.

M.

Eccòle.

A.

Le ghinphe?

M.

Io l'ho nella mano.

A.

Sta mane, per esser fresco, meglio sarà ch'io porti il colare.

M.

Cosi pensauo, eccolò, ve lo prgeuo.

A.

Poi che voi esser discepolo dell' arte della memoria, voglioti vna fiata, con vna vera memoria locale, d'un vibici, farli dir da douero

M.

Tutto star à bene, pur che conforme à nostri antiqui patti, V. S. commandi, chiami, è non bussi.

A.

[ 4] Dpo la riceputa disputarem del resto: eccomi, hora di cuore io vengo, à seruire al mio carissimo Sig. Pompilio.

P.

No à seruirmi, ma, come padrone, à commandarmi.

M.

Ditemi per vita vostra, vedisti mai alcuno cosi presto, presto come son io.

P.

No in vero.

A.

Io dormo, e vegghio quando, et aliresi quanto mi pare, e piace.

P.

Non ben resto capace, che vn spirito spiritoso, come voi sete, nella mane, nella quale sucl fruttificar il spirito, si lasci signoreggiar dal sonno.

A.

* 1.17Come? non sapete, che Il cader delle stelle al sonno inuita: et esser di mestieri,* 1.18 ch'ognivn, che viue, anco ch'ei dorma? essendo che tutti gli animali per le lunghe fatiche, è vigi∣lie si consumano, quindi han dibisogno d'esser restaurati con la generatione di nuouo humido radicale, e della ri∣nouatione delli spiriti rissoluti, quali si conseguiscano dal moderato sonno.

P.

Chi non sa che essendo la veglia vna intentione dell' animo dal suo principio, a tutte le parti del corpo, quando è moderata, eccità tutti ij sensi, dispone utte le facoltà alle lor operationi, et cacciano fuori l'escre∣menti del corpo, ma se sarà immoderata, corrompe

Page 26

temperatura del cerullo, fa delirio, accende l' humori, ec∣cità infirmità acute, partorisce fame, fa magri l' huomini, & di brutto aspettó, inde blisce la virtù concuottrice, rissol∣ue gli spiriti, riempe di vapori il capo, fa l'occhi concaui, acresce il calore, & accende la collera, impedisce la dige∣stione, causa crudità de cibi, però si modera, e col sonno si corregge,* 1.19 quindi confessar debbiamo Aleandro hauer sag∣giamente parlato, dicendo, Somnus est omnibus valetu∣do vitae, & sanitas corporis: il sonno è la sanità del corpo, & salute del' anima.

A.

Negar non si puo, che l' huomo volendo viuere, essergli di mestieri il manucare, e manucando, conuenirgli, che al∣tre si ei dorma; generandosi il sonno dall' eleuatione de va∣pori de cibi, che arriuati al ceruello, e ritrouatolo freddo, e denso, si congelno, e fatti graui, descendendo, opilano, e otturano i meati sensitiui di membri, in guisa che si gene∣ra la pioggia nella mezza regione dell' aira pel ascenso de vapori: pel contrario le vegghie procedano dal souerchio calor del ceruello, causan angustia della mente, indige∣stione de cibi; di doue il natural calore (primo instromen∣to de l' anima) s' indebolisce, e seruendo à tutti gli mem∣bri, lascia la concottione de cibi; onde si generano cru∣di humoni, e molti diffetti nel corpo, non seguendo il son∣no, otio dell' anima, e riposo della facolta animale: & in conchiusione, riscalda, corrobora i membri, caccia fuori le superstuità, accresce l' humor naturale, ingrassa il corpo, sana l' infirmità dell' animo, miigàle molestie della men∣te, & all' hora riposando (come dicesti) le facolate più gaglindamente opera la natura: onde il diuin Tasso disse:

* 1.20Tempo è di trauagliar quando il Sol dura, Ma ne la notte ogni animal ha pace: * 1.21Sotto il silentio de scroti horrori Sopianigli affai, e radolciamo i cori:

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Ma mille inconuenienti, credo, causare, se egli è superfluo.

P.

Hotta parlate in ver da gentil spirito; perche (tacendo la vegghia dimonstrare vn cuor dedito a le vertù, e graui imprese) il superfluo sonno infrigidisce, disseca, & indebolisce il calore; fa gli corpi flemmatici e pigri: manda vaporial capo, che causano distillationi, e Ca∣tarri; grandemente nuoce à corpi grassi, e ripieni: gli sani, e infermi induce in Asima, li prepara a l'A∣poplessia, Epillessia, stupore, & alla febre, causa l' es∣crementi più ritenersi ne vasi, rende l' huomo inutile, con l••••i diffetti. Quindi c'ammonisce il diuin Pla∣tone,* 1.22 Il superfluo sonno, non sol a l' anima, allo cor∣po, ma etiamdio a negoti esser impertinente, e mentre l' huomo dorme, esser di niun preggio, còme se non viuesse.

A.

* 1.23L'istesso accennaua Eschine, tenendo il troppo sonno piu á morti, che conuenir à viui.

P.

* 1.24De l' istesso parere era Gorgia Filosofo, quale essendo vicino à morte, diceua. Il sonno mi raccomanda al suo fratello.

A.

* 1.25Filone anco il dimandò imagine de l' istessa morte.

P.

* 1.26Alessandro per opre, fama, e gloria il magno, da suoi seguaci (allo costume de corteggiani) moinato, e chiamato Dio, saggi∣amente rispose: Mi conosco, esser mortale pel sonno, rittratto della morte.

A,

* 1.27Perciò anco il diuin Petrarca: Il sonn è veramente, qual huo∣mo dice, Parente délla morte: e'l Tasso,

* 1.28Tosto s'oprime chi da sonno è carico, Che dal sonno a la morte è vn piccil varco.

P.

* 1.29Quindi tal essendo il trppo sonno, disse il Sauio. Sin quando dormirai pigro, quando ti desta∣rai dal sonno:* 1.30 l'Apocalisse: Beato chiveglia, e custodisce le vesti, acciò non appaian le sue vergogne, e soggiogne, Dunque vi dico, veg∣ghiate.

Page 30

A.

Il tutto è vero, condito però co'l sale di Platone, ciòe seruata la sanitate.

P.

[ 6] Non senza ragione credo, di credere, che l' huomo manucando, non conforme al senso, ma al suo bisogno, ancor ei si contentera d'un sobrio riposo.

A.

Oh, oh! mi volete transformar in vn Toscano, ò parco Genouese, ò regolar mi inguisa, che depo la Simiorica, sotopor mi doessi a la Clinica medicina.

P.

Sia l' huomo di qual stato, e nation si voglia, egli è di me∣stiere regolar la vita: e poco, satisfa alla Natura, onde il Tasso:

* 1.31Se poco e'l desideri, è poco il nostro Bisogno, onde la via si conserui.

A.

Bisogna pur, che l' huomo manica, e beua, che senza que∣sti due, ne sano, ne mn infermo si puo mantenere: ch' es∣sendo gli corpi de l' animali in continuo fluss, e riflusso, che sempre consumano, e rissluano i spiriti del corpo, e similmente gi humori, e le parti slide, se vn' al••••ra simile sostanza in vece de la rissoluta, non si ristaura, in breue si dissolue, e si muore: al qual macamento volendo la diui∣na bontà prouedere, ci dide il cibo, è'l bere; accioche il cibo ci ristaurasse tutto ciò, che era consumato dalla so∣stanza piu secca, e dal bere, tutto quello, che dalla humida sostanza s' era rissoluto.

P.

Ma auertete Signor mio tra Christiani esserui vn grande, & enorme errore, qual fu confuso da quell' Ethnico Philo∣sofo, che essendo interogato, per qual causa cosi par camen∣te manicasse, a nostra confsion respose:

Vt viuam esse decet, viuere non vt edam. Mangiar, e ber, per viuer famestiere, Ma non già viuer, per mangiare, e bere:
Et indubitata cosa esser giudiuo, poco basta a l'huomo dotato di viua fede.

A.

Ma se l' huomo sia assuefatto à satollarsi?

P.

L' vso contra ragione niun iscusa: olra che la crapula, quasi più d' ogni alira cosa, noce al corpo, talche chi viuer vuol sano, mai deue satiarsi, ne tropp riempirsi, altrimente

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patirà rutti accidi, flussi collerici di sopra, e ancor disotto, nausea, prosternatione d'appetito, grauezza di capo, dolor di stomaco, opilation di Fegato, di Milza, dissenteria, e fe∣bri maligne, quali sempre vidiamo adar di casa in casa.

A.

Io son del suo parete, douendosi osseruar quella regola, Nihil nimis, niente tropo, non dimeno sappiate signore. esser di bisogno ch' ogu'vno viua con termini di politia, ciòe con honore, e riputatione, al suo stato conueni∣ente.

P.

L' honor, se vero honore cerchiamo (come diremo nella mia Menomachia) se acquista con le vertù, e col valore, e non con quelle cose, che à noi, & alle bestie son communi, e quando la vera vertù, & il vero honor ci manca, all' hora lo mendichiamo con gli mezzivuoti d' ognivertù, apresso il populazzo, & cosi si vestiamo di palliato honore.

A.

Mi piace la vostra opinione seguendo piu il spirito, e l'al∣tra il senso, e vanagloria, ma contradicendoui di sopra, in∣tendeuo d' alcuni consigli, e regoluzze di dieta, quali gli medici spesso le consiliano all' aliri per non le voler per essi.

P.

So benissimo alcuni esser di tal sentenza per la vita re∣golata via piu l'huomo infermarsi, il che contradice al Sauio, qual ci testifica, la medicina esser stata crea∣ta da Dio, ne sarà sprezzata dal prudente.

A.

Non parlo della medicina, sapendo esser naturale alle creature, però leggiamo l' augelli dell' Egitto purgarsi col becco da se flessi posto à molle ne l' acqua. Li Cerui vsar il Dittamo. L' Arondine la Celidonia. La Mustella il Finocchio per la oscurita e lippitudine dell' occhi. Il Drago la Lattuca siluestre contra la nau∣sèa. La Panthera il Pardalian contra l' Aconito ve∣neno. L' Orsi le Formiche centra la Mandragora. Li Merli e le Pernici contra la lor infirmita la foglia di Lanro. Le Grue il gionco palustre. La Orsaferita

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si guarisce col verbesco. La Testudine vsa l'Origano con∣tra il veneno della Ʋiera. Le Ʋolpi con la lagrima di Lorice, si sanan le ferite, e cosi quasi, credo, ogn'animal hauer particolar rimedio; ma non intendo de simli, ma di certe osseruationi nel mangiare, e bere, e dormire, che ren∣dan l'huomo inflice, e come lunatico.

P.

Quantonque sappia scemar l'autorita del'Arte, il numero d'alcuni, che hier eran pedantucci, et hoggifan del protto∣medico, à quali s' aggionge vna troppa di medicuzze, medi∣chesse, e medicastre. Nulla imeno sappiate alla simiorica giudiciale esser connesso l'ordnat vita, dimandata d' Aui∣cenna vn altra medicina,* 1.32 snza cuil' altra nulla opra: oltra di ciò per piu a costarmi al mio intento, la materia de nostri corpi, non è aguisa delle pietre, e metalli, ma molto limosa, però fragile, soggietta al patir, e facile ad infermarsi, donde va regola si ricchiede per conseruarsi sani, ma non immor∣tali.

A.

La prolissa disputa d'una medema cosa m'areca tedio: io mi rimetto: pur, credo, ch V. S. sappia diuersi esser litem∣per••••aramenti; perá se si puo regolarsi l'huomo nel viuere, non parmi nel sonno.

P.

Disopra gli dissi, della dieta fauellando, attendersi la com∣plessione, cosi nel sonno, però, se l'huomo naturalmente sar à sanguigno, con giusta proportione del caldo & humido; benche egli sia di buona temperatura, tutta via, per conser∣uarsi sano, saragli di mestiere di moderato▪ sonno.

A.

Ma s'eccedosse nel temperamento caldo?

P.

Facile sarà ad ogni infirmitade per la putrefattione & a∣bondanza d'humori, opilatione, et pieneza del sangue, e tale, oliral'aliri rimedij, guardar si dee dinon errare nella pirma digestione, nella quale si vitian l'humori per la crapu∣la, ed à tale sar à sano il digiuno, vtile il coito, e diggerendo presto, la vegghia.

A.

Ma se cholerico?

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P.

Gli giouera nudrisi con moderato sonno, per causa della quiete dell' anima, e perrispetto della correttione della lor complessione.

A.

Se Flemmatico?

P.

Gli conferisse il sonno, perche concucce ij crudi humori, da quali poi generandosi buon sangue, l'huomo diuenta calido, restando il natural calore, aggiutato dal sangue, ma il tropo li sarà nociuo, magli conferisse il coito.

A.

Parmi d'udir, che conferisse à ogn'uno, e ciò fomentando sogiose Luthero: crescite et multiplicamini.

P.

Diletta agn'uno, ma non conferisse à tutti.

A.

Ma se fosse melanconic?

P.

Perche solo il sonno muta la lor temperie, pel nouo calore acquistao, et humiditate, cose contrarie a la lor complessi∣one, però li noce l'atto venereo, ligioua il sonno.

A.

Ma come si canosce la quantità sufficieute del sonno ad ogni complessione, & ogni età?

P.

Dalla perfettione della concottione, qual si conosce dall'vri∣na, che hauendo color bianchigno, dimostra esser succo crudo nelle vene, però più bisogna dormire, ma se l'vrina fosse di color citrino, acennara il succo esser concotto, ne più ric∣chiedersi dormire.

A.

Ma stando, che, come s'è detto, il sonno si varia, come si varial'etade, e complefsione, & ancor i tempi, come si porà vno regolarsi in ciò senza alcun vitio?

P.

Quelli che sono d'eta calida, come li giouini, li basterà vn sonno di sei hore, ma à quelli di frigida complessione (essen∣do in essi la virtù digestiua assai debile) han di bisogno di più longo sonno.

A.

Ma come si conosce tal debolezza?

P.

Dalla frigidita, che si sente nella region del stomaco, dai rutti ace tosi, e dallo sputto, dopo il manicar, insipido, à quali gioua comenciar il sonno sopra il ventre, tal sonno colorando

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la faccia, e corroborando 'l petto, e digestione, se pero non patissero flussioni del' occhi, a questi giouan coginetti di piuma molle, ò di cimatura di scarlato, ò vn cagnollo grasso, essendo da lor abbracciato, e stretto tenuto al petto.

A.

Mase fosse vecchio?

P.

Non se gli conuengano meno d'otto, ó noue hore, et il sonno longo gli giouerà, e le superflue vigilie noceranno, per le quali s'indebilosce il ceruello, donde molte superfluita phleg∣matiche segli moltiplicano.

A.

Ed io credo vn manifesto inditio della bastanza del sonno esser la leggierezza del capo, e di tutto il corpo, l'euacuar le feccie, e l'urinare, come io dissi: et esser segno di senno, e di virtu il regolarsi.

P.

[ 8] Percio non solo quelli, che à Dio, ma ancor al mondo fur∣no grati, come valorosi Capitani, giuditiosi Prencipi, prodi, e magnanimi Re, fortunati, e bellicosi Imperadori, ed ogn' altro, che habbi gettato col valore della virtu, ed arte il seme della nobilta, ò altra grandezza ne la lor schiata (benche però altri habbin con sudor piantati, ed altri in otio godino i frutti) ritrouarete, non al sonno, ma alle veglie esser stati dediti.

A.

Altresi l'altri, che ne regni, prouincie, repubiche, città & vniuersitadi riusiscano, ò che di basso stato ad alto sian es∣saltati, tutti furno, e sono vigilanti.

P.

Non vi souiene di quel commune adaggio, chidorme, non piglia pesce?

A.

Si, ma ancor si dice, che chi ha d'hauer mala fortuna, il leuarsi per tempo nulla gli gioua.

P.

Forsi perche la rea sorte più tosto l'accoglie.

A.

Nulla imputate alla maluaggia sorte, che chi non ha cer∣uello, facendo il tutto con poco sonno in nulla può gradire.

P.

Dicano pur, egli ha piu fortuna, che senno?

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A.

Cotesto siverifica ne fauori fatti all'indegni, ed in cio sapen∣dosi ingegnare, eglino han assai a'ingegno.

P.

Ma al custodire, ò conseruare più ceruello, ch'alacqnistar ci vuole.

A.

Co quei mezzi, con quali 'acquista, con li medemi si con∣serua.

P.

Hor tempo non è di fauellar di stato, altroue visatisfaremo, seguitiamo il nostro ordito, per le sudette, et altre sembi∣anti cause,* 1.33 Seneca con grande giuditio, ne la persona del Prencipe, tutti oi auisa ad euitar il superfluo sonno.

A.

* 1.34Iustiniano Imperatore ancor dice, non darsi la corona a quei, che dormano, ma à vigilanti, onde de pingan l'aurora con vna ghirlanda in mano.

P.

[ 9] Ma oltra alle ragioni, et auttorita di sopra adotte, trouoin me seguir dal long matutino sonno vn'altra nia, che nella mane mi insogno le maggiori fanfaluche, e magralogie, che d'indi in tutto il giorno m'inchetan l'animo.

A.

* 1.35Doue sono molti sogni, iui son altresi non poche vanitadi, ma tu studiati di temer iddio, dice il sacro testo.

P.

Vorri viua ragione.

A.

* 1.36La scola di Platone sopra ciò volse, chi gli sogni siano specie, e cognitioni generate nell'anima.

P.

* 1.37Et Aueroe, capo d' Atisti, che dalla imaginatiua.

A.

* 1.38Il Filsofo dal senso commune ma fantastico.

P.

* 1.39Homero nell'Heliade, da Gioue, ciòe da Dio.

A.

* 1.40Alberto Magno dall'influsso de le cose superne, e proceder medianti alcune specie, che di continuo deriuano dal cielo.

P.

* 1.41Gli barbuti medici tengano causarsi dae vaporosi humori del capo.

A.

* 1.42Cicerone, e Macrobio, dall'effetti, e pensiero della volonta.

P.

* 1.43L' Arabi dall'effetti intelettuali.

A.

* 1.44L'Astrologhi dalle nostre constelationi.

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P.

Sono tutte coteste opinioni, e parolle, non voglio cercar piu in∣anti: ma che direte, molti osseruare, souente verificarsi ij sogni.

A.

[ 10] Cotesto parmi putir del superstitioso, come faceuan l' A∣rispici, che notauan il canto, & à qual parte volassero l' v∣celli, quasi che essi hauessro il diuin spirito nel lor volo, o la profetia ne rostri, ò becchi: e l' Aurispicij con non mi∣nor follia, osseruauan l' hore.

P.

Dubito ch' errate, potendo piu efficacmente in vn tempo, che ne l' altro, l' influsso del vestro Pianetta fauorirui ne vostri affari.

A.

Tutte son cose vane, occorrano à caso.

P.

Il caso succede dalla prima causa, à cuile seconde seruano, come altrone diffusamente mostreroui, quando discorer∣remo della sorte, caso, e fortuna.

A.

Parmi de tal spirito fosse Cesare, che andando contra Iu∣ba, nel descendor dinaue, cadete in terra, indi pigliando buon augurio, disse; Hora co le mani Africa, ti possiedo.

P.

Tali casi, & altri, come portenti, che fuori dell' ordine del∣la natura,* 1.45 aldir di Hesiodo, e d' altri, si generano, e qual∣che volta in bona, altre volte in mala parte si pigliano.

A.

Il tutto sta nel voler diuino, e' l tutio è incerto.

P.

Incerto parimente (come vi dissi) c' l sogno, e tanto piu, che egli occorre à caso.

A.

Souiemi à tal proposito, che Ciro nella affari di Persia, dormendo hauer veduto il sole a suoi piedi, qual forzan∣dosi tre volte con le mani pigliarlo, sempre gli fuggiua, so∣pra il che gli fu predetto, che quel desio ditre volte pigliar il sole, gli dimostraua, che doueua regnar pertrenta anni: il che successe,

P.

* 1.46Leggiamo ancor in Heraclide Pontico, il sonno della madre Falaride, à cui aparse, tra li Idoli della casa sua con∣secrati, Mercurio con vna Tazza in mano sparger sangue per tutta la casa▪ il che dindi confermò la barbara crudel∣tade contra li figli.

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A.

* 1.47Neli' Historie di Agatocle parimente si racconta Ami∣clare Carthaginese ritronandosi all' opugnatione di Sira∣cusa, hauer vdito vna voce, che in sogno li disse, Dimani cenarai in Siracusa, il che successe: perche leuatofi vn gran tumulto tra li suoi soldati, pigliò l' inin ico ansa d' assalirlo, donde restò vinto, & Amiclare fu condotto nella citta prigione.

P.

Molte cose, senza prouar, scriuan l' Auttori.

A.

* 1.48Che direte di Platone? qual riferisce, che Socrate in∣carcerato predisse â Critone la propria morte, che douea esser dopo tre giorni, per essergli aparso in sogno vna bel∣lissima giouine, quale lo chiamò per nome, contandogli. quel verso del Poeta Greco:

Tertia te Pithei tempestas laeta locabit.
il che apunto aduenne.

P.

* 1.49Aristotile altresi ci lascio scritto di Eudimo suo grande amico, qual andandosene in Macedonia gionse in quella cit∣tà bellissima nominata Pheu di Thessaglia, all' hora cru∣delmente oppressa d' Alessandro Tiranno, doue Eudimo si infermò à morte, ed vna notte gli parue di vedere vn gio∣uine di bellissima faccia, che confortandolo, gli disse, che in breue si sanarebbe, ed il tiranno sarebbe veciso, e cosi successe.

A.

* 1.50Tullio parimente scriue, Sofocle egregio Poeta, essersi sognato il ladro, che hauea robato vna tazza d' oro nel Tempio d' Hercole, & cio hauendo riferto al Magistra∣to, incarcerato il reo, si verificò il sogno.

P.

Ma che direte di me, che per due, ò tre giorni inanti di qualche infelice successo, ò sciagura insogno la vedo, ed in∣fallibilmente segue?

A.

Sic erat in Fatis.

Il vostro fermo destin vin dalle stelle, * 1.51E l' intelletto voloce è piu che l' arco.
P.

Questo io non so; sol cotesto prouo, che non ostante qual si voglia riparo, & arte da me vsaa pur troppo s' auenta

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il caso: sol in questo mi gioua, l' hauerlo anteueduto, che soprauenendo l' occasione, pur che pssi violentarmi, agui∣sa di canna d' vn impetuoso vento percossa, piegandomi, lascio passar il punto della mia stella.

A.

E cotesto sogno, ò visione?

P.

Nonso (come vi dissi) ch' egli si sia, ne per star piu cheto, e sano, molto mi curo di saperlo.

A.

Se in voi predominasse l' humor melenconico, che, al parer de molti dotti, ha prerogatiua di far preueder il vero in sogno, ardirei di dire, produrre tal effetto.

P.

Credo di certo non esser tal di natura, ma si per caso, per la mutatione, del paese, dell' aere, de costumi, del viuere, del stato, e d' altri simiglianti▪ qualigiudicò, non solamen∣te esser sofficienti di mutar la complessione d' vn corpo hu∣mano, ma di infonder, liquefar, transformar, e sublimar quel sia voglia duro metallo.

A.

* 1.52Io prto inuidia ali' Africani, quali secondo Herodoto, nulla s' insognano.

P.

Anzi (essendo l' huomo par la simiglianzi diuina, quasi diuino, e per l' intelletto, differente dall' altri animali, onde il Poeta:

* 1.53Quel ch' ha nostra Natura in se piu degno Di qua dal ben, per cuil' humana essenza. Da gli animali in parte se distingue, Cioe l'intellectiua conoscenza: E l' istesso altrone. Mente che'presaga, de tuoi danni. Dipiù il Guirino, * 1.54Non è sempre con sensi L' anima adormentata, Anzi è più desta Quanto men trauiata Dalle fallaci forme, Del senso a l' hor che dorme, Che a l' hor non è distratta, L' anima ed in se stessa Tutta reccolta suole A prir col cieco acchi Lincei.)

Credo molti veder cose future in sogni, ma ò

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perla crapula offuscarle, ò pel ignoranza non conoscerle, ò per transcurragine non sseruale; però io defiderarei di poterli penetrare, & esporli.

A.

Nell' interpretare, seguiresti la vostra inclinatione, come fece quella feminaccia, qual hauendo vnarabbiosa fame di maritarsi, essen degli proposto vn partito d'vn uom∣di poca leuatura, si and ò à consigliare con vn certo Mo∣naco suo intimo amico.

P.

Certo capitò bene.

A.

Il Religioso, che era giouine, & bon Filosofo, e a' ingegno, accorto, e sagace.

P.

Decesti ben, dicendo accorto, all' huomo poco cauto, poco, ò nulla giouando ogni dottrina.

A.

Penetrato ch' ei hebbe l' appetitoa donesca inchinatione, vdito il tutto, per leuarla dal' vscio, dissele: Madonna mia spirituale, andateuene à casa, e nella seguente notte attentamente osseruate la campanella nostra del matutino, che certo vi amaestrera di quanto doucte fare.

P.

Sta bene, sta bene.

A.

Cotesto vdito, la meschina reuerentemente ringratiato il Fraticello, pigliò comiato, e tutta attenta, mille anni le pareuan quelle pocche hore he preceder douean al matu∣tino: finalmente, ecco che nella bona hora da lei vdita fu la campanella.

P.

E che di buon riuella?

A.

La donnina, il cui cuore altro non desiaua, che trastular∣si à tutta briglia, e à bocca larga, si persuadeua, che ogni cosuccia à ciò la persuadesse.

P.

* 1.55Obedir alla Natura in tutto è meglio.

A.

Sonando la campana subito gli perue, che aguisa d' An∣gelò Gabriele chiaramente li dicesse Maritati, Maritati, Maritati, e cosi, come perseueraua sonando, altresi conti∣nuasse in esortarla.

P.

E possibile?

A.

Senza oglio, e senza sale nella seguente matina

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conchiuse il negotio del consolemini.

P.

Dindi douea esser pur cheta?

A.

Queta ah? alro che herba fresca vuole la vacca, che brama il Toro: la notte seguente scacciando le milliaia di ghiibicci dal cerueluccio, igrilli dal capo, il batticor dal petto intromettendo il nuouo hospite con vn larghissimo pa∣teat. Omnibus singulis, & quibus cunque, diedegli l'uso frutto, e poselò in libero possesso della sentina della naue.

P.

Douea pur dindi esser felice?

A.

Dite infelice.

P.
* 1.56O speranza, ò desir sempre fallace, Ʋermente noi siamo poluere et mbra, Ʋeramente la voglia è cieca e ingorda Ʋeramente fallace è la speranza.
A.
Il mondo ingannator, gli suoi seguaci, * 1.57Dopo l dolcezza, riempe d'amaro, Per poco melle, da molto aloe confelle:
P.
Dubia speme d'amanti, è breue gioia, * 1.58Penitentia, e dolor dopo le spalle. Ma come dopo il maritaggio restò infelice?
A.

Essendo il marito huomo carnale, passati pocchi giorni, cominciò ne l'interno hauerla à schifo, indi ad odiarla, do∣po non istimarla, appresso ingiuriarla, e non passo guari di tempo, che nel batterla diuenne tanto famigliare, che le busse l'eranò in vece di pane, e companatico.

P.

Auertite il mio signor inglese, che le busse han maraui∣gliosa prerogatiua nel sesso feminile, perche s'ella è cattiu, niun più proprio cataplastro la puo far emendar, che cotesto, ma se, à raro caso occorre, che ella sia bona, il sferzarla qualche vola tiene singolar virù & quasi imperscrutabile priuileggio di farla assai megliore, e di ridurla, s'egli possi∣bile, a perfettine.

P.

Sarà forsi aguisa del Gatto seluatico, dal qual non si puo hauer zibetto, se prima eglinon sia ben ben lega∣to, e spesso anco sferzato, non altrimente da molte donne sperar non si può punto a'honestate, fedeltade, e di

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bontà se ben non sian custodite cô muri, porte, e fenestre, e conforme all' occasion meglio batutte, e ribatutte da doue∣ro, e tenute in freno, come si conuiene al lor infimo stato.

P.

Cosa rara ottener non si puo, senz gran fattica, e aro in gegno, ma come soportaua cotal croce?

A.

Non essendoui peruersi vicini, che à mal l'inanimissero, ne iniqui, e tristi amici, ne atenenti che la fomentassero, anzisol chel' esortauan col bene superar il male, depo hauer patito assai, forsi per altri suoi secreti peccati; se ne andò al mo∣naco, a cui narrò succintamente il tutto, e risposele; ma∣donna, ben non osseransti la campana, ite, enella notte se∣guente attendete meglio, che conoscerete l'error esser il vostro.

P.

Che fece la pecora dopo tanta sua pecoraggine?

A.

Pigliata licenza, venuta la nette, e già longa pezzafa es∣sendo ella del maritaggio fatto, mille, e mille fiate pentita e ripentita, sonando la sudetta compana, gli pareua, che chia∣ramenta gli dicessi. Non ti maritare, non ti maritare, non ti maritare, e cosi andasse intonandole cotal auiso, donde ella lodò il frate, e biasmè se slessa.

P.

Quanto più il cucullato fù accorto, tanto men leisaggia: benissimo càpisco il vostro intento, di voler inferrire, con∣forme all inclinatioe, ed apetito ancor io esporrei li mici sogni: ma auertite essersi gran differentia trascoffione, e la berettae.

A.

[ 12] Egli è vero, pur ancor sapiate, che pocchi sauij trouarete, quali s'appli chino à tal negotio.

P.

* 1.59In cio non siamo differenti per molte ragioni, et auttoritadi, quali tralasciando, quell sol di Seneca mi basti, dicendo. Il sonno meschiar cose vere con false: Catone, Ouidio, Tibullo, et altri conchiusero non douersi curar de sogni, et l'ingenioso Guirino,

Son veramente i sogni, De le nostre speranze Più che de l'auenir vanesperanze.

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Imagini del di guaste, e corotte Da l'ombra della notté.

A.

* 1.60Diceua altresi Diogine, che egli considerando la humana polititia niun animal li pareua esser più sauio del' huomo, ma vedendo l'interpreti di sogni, e coniettori loro, niuno es∣ser più scioco di esso humo.

P.

* 1.61Sogionse parimente Agostin Santo, San Porfirio hauer tenuto la diuination de sogni prouenir da demonij.

A.

* 1.62L'espor i sogni non si puo, se non biasimare, dicendo l'Eccle∣siastico. Somnia extollunt imprudentes quasi qui aprendit vmbram, e sequitur ventum, tanto è pazzo coli, che os∣serua ij sogni, come quell altro, che si affatica in vano di ab∣bracciar l'ombra, ò diseguir il vento.

P.

* 1.63Ancor nel Leuitico siamo auertiti di non attender al' au∣gurij, ne men ad osseruar i sogni.

A.

* 1.64Di più sogiongne l' Ecclesiaste, gli sogni hauer fatto errar molti, ed esser caduti, e precipitati quelli, che sperorno in essi.

P.

Pur quai sogni potiamo noi osseruare, e quali dispreggiare?

A.

[ 12] Quelli che ripugnano alle sacre lettere, et alla dottrina della chiesa,* 1.65 ma l'altri ne quali siamo amoniti, come gratia di∣uina debbiamo riuerire, de quali leggiamo iddio souente es∣ser stato is positore, come anco cidimostrò il diuin Tasso,

Quindi à lui inuiaua vn sonno cheto, Perche gli riuelasse alto decreto. * 1.66Nulla mai vision nel sonno offerse, Altrui si vaghe imagini, ô si belle, Come hora questa à lni, la qual gli aperse I secreti del cielo, e delle stelle.

P.

Ed io di più vi dico, che dopo hauèra passato l'huomo in sua giouentù vn grau trauaglio, ogni volta che si sognara quel stato, di certo douersi preparare à qualche sinistro in∣scontro, e se egli si sogna di morti suoi antecessori, deue as∣pettar, non ostante qual si voglia industria e mezzo, infe∣lice, ouer almen non desiderato successo di suci principali affari.

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A.

Quanto s' è detto molto gradisco; et in conchiusione, come già fauellauamo, dopo la sobria cena seguirà vn cheto, e breue sonno; e quel che sopra monta ogni altra cosa, rende∣raci nella mane più atti alle vertute.

P.

Cotesto è vero; quindi vediamo gli giuditiosi padri, da fanciulezza aleuar i lor figliuoli in tal guisa, che facciano vna artificiosa Natura, di dedicar, non alli vcelli, ne à ca∣ni, ne all' inquieto corso per le selue, e campi, ma alle muse, la gioconda. Aurora.

A.

Tali danno larga caparradel lor senno, e nobile spirito; e moltine ho veduto a giorni miei, tra quali hor mi souien∣ne l'Illustre Signor Giouanni Holleis dignissimo cauag∣liere, per le sue vertù, honorate qualità, e meriti, merite∣uole d'ogn vno d'esser, non men amato, che riuerito, et ap∣prezzato, quale, e l'honestissima, e per ogni rispetto hono∣ratissima, ne mai assai lodata consorte, conforme a le lor virtuose menti (sapendo come dice il Poeta) Che se lapi∣anta è mal culta,* 1.67 mal frutto produce, hanno con la matu∣tina veglia, & assiduo studio fatti alleuare i suoi figliuoli, dirò (dicendo io il vero) doati d'ogni virtù conueniente à vn compito gentil'huomo, il che non merità à tetempi nostri, mediocre loda.

P.

Cotali manifestan il lor ingegno, e prudenza; che oltre à mille diffetti, che seguan dal longo sonno, di più ne na sce l' otio, e dall' otio il vitio, e dall'vn, e l'altro quasi ogni mal succede; perche si come la terra (dalla qual l'huomo de∣riua) hauendo virtù generatiua, se nulla di buono produ∣ce, genera herbe, non sol inutili, ma ancor spesso nociue; cosi l' huomo (come disse Cicerone, Ouidio, et altri) nato al' operare,* 1.68 & contemplate, non dandosi alle virtu, cade nel vitio. Homines enim nihil agendo, malè agere discunt; come manifesto essempio ci recan quelle nationi, quali non istimando le buon opre, immersi le vediamo nella ficce d'ogni peccato, senza auedersi.

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A.

[ 14] Che marauiglia fia, dicendo il Sauio: Qui sectatur otiū, stultus est,* 1.69 pazzo, è chi segue l' otio, e'l pazzo come cieco, camina. E san Gieronimo auertisse Demetria virgine: nulla esser peggior dell' otio, perche non solamente nulla ac∣quista, ma l' acquistato perde. Nihil in sancto proposito otio deterius,* 1.70 nam non solum nihil acquirit, sed etiam parata consumit.

P.

* 1.71Nilo vescoue, e martire l' appella madre d' ogni diffetto, leuandosi l' otio quanto possediamo, e ciò, che non possedia∣mo si prohibisse acquisterre.

A.

* 1.72Aristotile, Plutarco, & Isiodoro testificano, l' otio esser il ver dispreggio, e dissolutione d' ogni vertù, e da esso, come da peste, nascer mille altri mali.

P.

Platone, nel primo della Republicà, dimanda l' otio pe∣ste, e quindi forsi aduenne, che doue regna grand' otio, ancr regna quasi continoua peste.

A.

* 1.73Empidocle chiamòlo vna perdità di tempo irrecuperabile.

P.

* 1.74Bione vn morbo, ò infirmita dell'anima.

A.

Menandro diceua cotesto coromper le forze virili, come la ruggine guasta, e comsumma tí ferro.

P.

* 1.75Mercurio dir soleua, che la Natura l' ingegno fonde, l' vso l' inalza, l' otio l' auilisse, e sempre l' abassa.

A.

* 1.76Homero quindi esortaua mai douersi far digiunar la men∣te, essendo a l' anima l' otio tropo molesto, e pernitioso.

P.

* 1.77Demostene nella quart a Filipica dice, l' otiosi hauer be∣uuti della Madragora, essendo eglino sopiti, ed adormen∣tati in ogni attion vertuosa.

A.

* 1.78Dunche Democrito saggiamente essimigliaua l'otioso al mar morto, non essendoui alcuna differenza tra esso, & co∣teslo.

P.

* 1.79Il deuoto Benardo l' appella madre delle ciancie, e delle vertù matrigna.

A.

* 1.80Seneca dell' inuidia nodrice, Alit liuorem infaelix iner∣tia.

P.

* 1.81Non potiamo se non lodar Pitagora, ne l' esortarci à rimo∣ner da l' animal' ignoranza, dalla mente la lussuria, dalla

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città la discordia, e da corpi l' oti: & tutto il contrario, communemente hoggidi' sserua.

A.

[ 15] Quindi essendo stato, l' oti, e l' otioso apresso isa〈…〉〈…〉ij, infame, lo figurorno, pel quel Sisara, che da Iahele fu occiso mn∣tre dormiua nel letto: per Giona, che otiosamente sonac∣chiando fù getato nel mare: per Sansone preso da Fili∣stei, mentre frale genocchia della pessima Dalida ffemi∣natamente ripossaua: & per la moglie di Loth, che per riguardar à dietro, fù conuertita in vna statua di sale.

P.

Lo parangonorno ancor à quella Hiobe poetica commta∣ta in marmo, facendo nulla di ben l' otioso, che come in∣vtile deuorar i beni, & indegnamente occupar la ter∣ra.

A.

Se perciò l' otioso non riman confuso, resti aterrito (se non egli però crede in nulla, come nulla opra) dall' essem∣pio del Saluatore, che maledisse l' infruttuosa, e sterile fi∣caia, tipo dell' otioso.

P.

Non potiamo in vero se non lodar li Ginnosofisti Indiani, che non lasciauan mangiar i giouini da essi amaestrati, sin che non hauessero resi conto di quanto hauessero stu∣diato, e prima operato. E degni di loda parmi li Spar∣tani, che non lasciauan à casa tornar i giouini mandati fuori, sin che non fossero gionti à qual che grado, & ho∣nore.

A.

* 1.82Ed io cordialmente preggio quella legge recitata da Diodo∣ro, per cui l' Egiziachi eran constretti palesare i loro no∣mi, e porre in registro di che cosa, o donde viuessero, e qual mestur facessero.

P.

Santa, e diuina legge in vero freno, e sperone dell' otiosi.

A.

Non men lodeuole mi par quella dell' Atheniesi, che l' o∣tiosi, come infami, facea condurre nel loro per vituperoso spettaculo della lor pigritia.

P.

Assai mi piace: ma credo, che ancor nata non fosse tanta

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diuision de campi, ne cosi dilatato il titolo del mio, e tuo, vera origione dell' otio infame, e superbo.

A.

* 1.83Non di minor lode parmi degna la legge di Dragone tra Greci, nella quale l' otiosi eran puniti di pena capitale.

P.

O santa e diuina legge, perche ti sei smarrita?

A.

Auertite, signore, a tempi nostri, il numero dell' o∣tiosi esser cosi accresciuto, che Giudici ci mancariano per sententiare, e manigoldi per assequire.

P.

Può essere; ma pur fù in vero legge celeste, essendo me∣glo leuar la vita a l' otioso, prima che co fatti, ed essempio offenda l Rpublica: ne di ciò gli querelar si puote, che otiosamente viuendo, giudica se stesso esser indegno di vita.

A.

[ 16] Auengna che m'habbiae troncato molte ragioni, che adur poteua, nulla dimeno, qui tra il ricc, e' l pouero, vedendo vn grande arringo, l' vno a l' altro riprouerando l' otio, dsiderarei vdirne particolar risposta.

P.

Ne Dio, ne la Natura diuisero i campi, ma sol l' humana legge, donde non senza ragione potrà il pouero molti richi solamente chiamar otiosi, non volendo essi far nulla, come se nati fossero, priui d' ogni vertù▪ a l' altri spesse fiate, mag∣giori per ragion di natura, di loro, comandare, e l' altrui fatiche souente, come animali otiosi, deuorare.

A.

A questo respondera il ricco, chi non ha, e chi non sa, bi∣sogna, che egli opra, altrimente, come otioso, fa di mestieri, che ei sia punito.

P.

Replicara l' altro, come hauera il pouero, se il ricco, come Lpo affamato, vuol tranghiottire, e deuorar il tutto.

A.

A cui sogiognerala parte, se Dio non diuise il mondo, lo fece però diuisibile, quindi aperto, e nauigabile, per dimo∣straci esser di quello, che, ò per vert▪ ò con arte, ò con va∣lor l' acquista, Et vt qui posset capere, caperet.

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P.

Iscusatemi, non lo diuise Iddio, per esser il mondo, nel di∣uin conspetio, cosi vile, che spesso con più larga mano (dice S. Agosti) ne permette a suoi nemici,* 1.84 e à li più indeg∣ni.

A.

Ditte più tosto, che chente Dio ha creato, essendo buono, non ne concede à poueri, che son cattiui.

P.

Se quelli cattiui, cotesti son peggiori.

A.

* 1.85Parendomi questo esser noccho duro da rodere, maggior tempo ha bisgno tantà lite, ma ditemi, qual dimandate o∣tios?

P.

Quell, che mal vsando li beni della fortuna, anzi d' Iddio, nulla pensan, ne opran di bene, ma la vita lor passen in piaces, ed tio, foccina, bottega, incudine, martello, in∣stromento, mastro, & atefice di qual si voglia errore, ini∣mico dell' anina, e ancor di Dio, e manifesta rouina d'ogni presente, e futuro bene.

A.

Cotesto parmi Christo hauerci dimostrato, narrandoci che mnre dormina il ricco, venne l' inimic, e seminò tra il grano la zizania.

P.

[ 17] Se peraliro rispetto l' otioso non meritasse infamia, lo me∣rità, da questo, al dir di Hesiodoro, e come per esperienza si vede, nascendo l' infelice, e miserabil stato di mendicare, quindi il Sauio, Vir piger in egestate est, l' otioso, e pigro, è necessoso.

A.

Po nulla dimeno, non per causa di dissoluta vita, ma, ò per infirmita, o per altrascigura souente qualcheduno cle∣mosinare.

P.

Rade volte vedrete l'honesto esser mendico, dicendo il Re∣gal Proftta, Nunquam vidi iustum derelictum, nec se∣men eius querens panem; e se pur Dio permetesse quel∣lo, che ne la sua giouentù, ne i bem otiosamente e vitiosa∣mente ha consumato, hor esser ridotto a miseia, infamia non è la sua, ma el Christianesimo, che come Lupo coperto di pelle d' Agnello, spesse fiate di niente altro non si cura, che del proprio interesse, e di vanamente satollar se stesso.

A.

E pur la vertù non in se, ma in lirui risplende.

P.

Ʋoi motegiate del vero, che se la fede viue, spiracol opra.

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A.

Quanto à me prego Iddio, che divera fede, e puro amore aceendendo il mio ghiacciato cuore, facci, che si slegui di carià, e pietà verso del pouere, snza tante scolastiche di∣stintioni, ma sol con questo oggtto, che coprendo e ciban∣do e' l mendico, copro cibo, & a••••o l'istesso Christo.

P.

* 1.86Ogni buono si communica, l' ottimo si diffonde.

A.

Tutta via considerate le nature, e complessioni de l' huo∣mini, e toccarete co mani che in quel paese, sarà, gran copia di mendichi, doue sarà gran numero d' otiosi.

P.

Non ciò puo solamente procedere da la natura (potentissi∣mo instromento in ogni cosa) ma per esser stati da lor padri, priui altresi di vertu, mal aleuati in piaceri di leggierez∣ze, e vanitadi, donde testo consumando quanto hanno, espi∣rato che egli è, restando nudi d' ogni bona qualità, qual esser suole all' huomo il secondo rifuggio appresso il nau∣fraggio, in breue dopo che ccl continuo, o frequente soccoso, con li amici, e vicini, hanno stancati i cognati, niente altro resta a limeschini, ch' il mendicare.

A.

[ 18] Sia cme si voglia, par à tutto il mondo ragioneuole, che, chi non ha, fugendo l' otio, debba affaticarsi, altrimente lo registra nella matricola di guidoni, quali debban, secondo le leggi,* 1.87 esser puniti. E san. Paolo voleua, che chi non si affaticaua, non manucasse. E nel Deuto. era prohibito il mendicare.

P.

Quindi seguirà, che nulla facendo il ricco, nulla debba ma∣nicare: che se nel Testamento veccio era prohibito l' ele∣mosinare, ciò era perche gli comandaua Iddio, che tal soc∣corso fosse dato l pouero, che senza andar vagando, tra gli altri, honestamente potesse viuere: essendo gran vitu∣perio de l' huomo, che si dimanda humano, (lascio il'nome, certo spesso sol nome di Christiano) seuent hauer hospitals vedous, ciòe senza hospitatlitade, i poueri inutili, ci∣ò vecchi, & infermi quindi, & indi andar vagando: che se pur ogni stilla di Conscienza è in essi estinta,

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non parmi osser spento il zelo del mondano honore, pel qual ogn' vn va cosi altiero nelle cose di niun rilieuo.

A.

Nauigar non si puo contra de venti: lasciamo che Id∣dio si desta, e seguendo il nostro intento, dicoui che Costan∣tino Imperatore, impose, che essendo ritrouato vn gio∣uene sano, e mendico, fosse preso, e posto a lauorare, ò seruire, ò esser punito.

P.

Amase re d' Egitto, parimente volse per vn suo publico E∣ditto, che nel suo imperio niuno otioso, ne girando, ne ele∣mosinando viuesse soto pena, che colui, che non imparasse arte, ò non lauorasse, in publico solennemente frustrato, ed indifosse bandito, e per esseguir tal suo decreto, comandó, ch' al primodi d'ogni anno tutti li suoi vasalii compare ssero a la presenza di guernatori, con pena, che quello, che non dimostrasse per scrittura, d' esser comparso in queli' anno, fosse priuo di vita.

A.

Giustissimo riputato fù il castigo d' vn Magistrato in Fi∣andra, per hauer fatto publicamente frustar vn otioso za∣tone, che staua alla porta del Tempio à chieder elemosina, con macchie artificiate di lepra.

P.

Non di minor lode fù vn altro, che con vn bastone fece tre miracoli in vna fiata, ciòe caminar vn zoppo, fauellar vn muto, ed vdir vn sordo.

A.

Chi mal nauica, altresi mal agiogne. Assai fù preggiato da sauij Cosmo Duca di Firenze, perche in vn giorno, le sue Galee armò con la presa di molti giouini sani otiosi, e men∣dichi, & hor li suoi successori conseruano netto il lor sta∣to col rigor delle stinche, doue in vn certo luogho amio circondato di alti mura, con continua fatica, e buona a∣stinentia, ad essempio dell' altri, fan penitenza della lor pi∣gritia.

P.

Credo di certo ogni Regno hauer spra di ciò Leg∣gi & Ordini assai lodeuoli, ma essi meglio custodirsi,

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doue la maggior parte fauorisca à le vertù, ma doue la plebe, e' l popolazzo è aguisa d' vn corpo corrotto, e putre∣fatto, quanto più vien ordinato, men è osseruato.

A.

* 1.88Secondo afferma il nostro Tasso:

Ma chi da legge al volgo? & ammaestra. La viltade, e' l timore?
Pur appo ogni buon poplo fù sempre per legge in vso di corregger l' otiosi, guidoni, vagabondi, inquieti, e furbi, che d' altro non viuan; che co l' arte di froda, & di mille inganni.

P.

[ 19] Mille fiate con queste orecchie li ho vdito à tessere, come poetassero, mille false sciagure, ò più tosto folle chimere, co∣menciando il prohemio dalla lor nobil Schiatta, indi spie∣gando vna ciceroniana narritiua d' vna rea fortuna, e strani auenimenti, ò infirmitadi: finalmente con mest a voce, e mille atti pieni di compassione, conchiudere col dimandar qualche nobile cortesia, non si scomentendo, che vno, due, tre, ò quattro gli nieghino, ò che souente l' improperino, co∣tanto vagando, cercano, e picchiano, che à caso intopano in qualche d'vno, che scioccamente dandogli fede, pescan, ti∣ran, cauano, e trufano, raccoglian, e riceuan de nari dalla lor borsa, indi senza fine tra di loro fabuleggiano, fomen∣tan, e lodano il lor mestiero; ridano, giocano, scherzano, danzano, ballano, saltano, fanno rotoloni, guazzano, trionfano, e con ogni lor diletto, dell' otio si trastulano.

A.

Ma euui di meglio, acciò il lor intento, ottenghino, non sol co la persona, e con l' attioni, e fabolè, ma co' l fauellar ancor ingannano.

P.

Egli è più che vero, vsando tra di loro, per non esser dall' altri intesi, parlar come non essifurbi, altresi furbesco, & il fauellar in zergo.

A.

So che cotesti soggetti (che nella fisonomia della fronte, naso, & oechi portan la marca della berlina lor medre, della ga∣lea lor sorella, & del capestro lor fratello) appellan la borsa, foglia, ò tuosa; gli denari, cuchi & hasti, gli scudi, occhi di

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Ciuetta, e lagrime di contra maglia, il diuider il furto, annacare, e far a sei.

P.

Dite, che per leuar la capa, o' l ferraiuolo, dicano, scorza san Piero, la biretta dimandan la Cresta; il giuppone ba∣sto, e le calze, tirante.

A.

E' l rubar la borsa, & i denari, appellan far la scarpa, oue∣ro, far il figadetto.

P.

Ne l' annipassati assai m' eccitò alla risa quella ridioùlosa burla, che gli discepoli a questa infame scola fecero in Vi∣uegia.

A.

E possibile, che succedesse in Ʋenetia? ma come?

P.

Alcuni della calca s' accordorno insieme di rubar nel chi∣aro giorno, ed all' occhi aperti d'vn ricco, e cauto mer∣catante, la più ricca mercatantia, che egli hauesse nel son∣ticò.

A.

Il tutto passa fra galeotto, e marinaio: e bene?

P.

Dopo l' hauer ben ben premoditato (come si conueniua) il iutto, & insieme discorso il cur, l quando, e' l quare, e' l quia, elessero vn facchino dotto com' vn Asino, aue∣duto, com' vn bue, e semplice aguisa d' vn pecorone, qual però odornato di longa barba, e di corto ceruello, di lon∣ga magra faccia, come d' vn crocifisso, pro della persona, com' vn Camello, e che hauea assat bella prsenza, nar∣atoli vna filastrocolà, di mille buggie freggiata: final∣mente l' acciecoronò, e lo stordironò col sborsargli cento zecchini d' oro, in oro, indi honoreuolmente vestironlò all' episcopale, auisnadolò, che costi, doue lo conduceuano, seruasse vn deuoto, eriuerente silentio, che stasse con ma∣està, accompagnando, co l' atti, e con gesti, il decoro dell' habito illustrissimo, e che sopra il tutto, per qual si voglia richiesta, che eglino gli facessero, questo sol respondesse: Fate voi.

A.

O meschino, chi ad altri luscia la cura, di se stesso.

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P.

Il capo, qual come potete pensar, altresi capo era di malitia, di ricchi vestimenta adorno, andete inanti, e con bell' arte narrò al Mercante, che costi era gionto vn reuerendissimo, &c. qual de∣sideraua di impiegare ducento, ò trecento mille educati in circa, in panni d'oro, d'argento, e seta, di broccato, & altri simiglianti, quali (posciache colà per certisuoi affart era venuto) con tal opor∣tunità volea comprare, per alcuni Prencipi suoi atenenti.

A.

Dio voglia, ch'lƲescono più tosto non volesse, co'l benefitio, ven∣der se stesso.

P.

Il buon Mercante, che ancor non assai hauea studiato, ne diue∣nuto era vn quiconque; et essendo Quod male parta, male di∣labuntur, nec de male partis gaudebit tertius haeres, il mal acquistato teste teste se ne va ne la mal' hora; in continente fece porare, e preparare gli più ricchi drappi, ch' hauea ne la bottega; ed ecco poscia soprauenne il reuerendissimo, e molto illustre &c. freggiato con mille titoli, et vestito non men all' occhio di ricche, che via più di reuerenti vesti, e soprauesti, et accepiato da otto di quella honesta compagnia, quali (come hoggidi molti, e molti fanno) per aparere, e farsi istimar di più di quel che sono, erano, tutti vestiti di seta, incatenati di colane d' oro; tipo della catena di canepà, che per punto d' ogni ragione se gli conuenniua; & an∣nellati con Robini, e Robinetti, Smeraldi, co Smeraldini, To∣pazzi, Diamanti, e Perle, dimostrauano la secreta forfanteria, nel sciecco mondo, esser vna gran signoria, et incontinente con somi∣gliante ingannatrice aparenza ageuolmente acquistorno credito, & il cuor d' ogni vno.

A.

Che merauiglia, se il credito mondano altro non è, ch' vn espresso inganno: ma veniamo à miracoli deli' homaggio?

P.

Descesa che fù cotesta nobile, e riccha compagnia di gondolà, e da la honorata sequella cortegiato il reuerendis. Monsignore, en∣trò nella bottega, à cui à richesta del precursore, ò furiere testo gli fù arrecato vna sontuosa sedia, e senza verun interuallo: Quia periculum est in mora, ideo reorum est timere et fugere. Su∣bitò il siniscalcò, che già hauea fatto far presto il tutto, disse; Monsignore, dopo hauer cercato, e ricrcato d' alio, e da bas∣so, nulla ho trouato più conforme al suo desio, e di ragioneud pretio, che coteste rotole de drappi, e dopo, che gli hebbe

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spiegato le più ricche rotolate, soggionse queste, al mio giuditio, sono le più a' ogni altro, ricchi belli e pretiosi, però, se à V.S.M.I. piace, gli pigliaremo; à cui, con l' occhi sommessi il reuerendissi∣mo, con grauit à immediamente rispose. Fate voi.

A.

Fate voi ah? sta bene: tutto è che faccian ben per esso.

P.

Msurata che fù vna longa, e ricca pezza, venero alla seconda, terza, e per is pedirla, all' ottaua rotolata, e con vna risposta re∣gale. Fate voi. Caricorno la barca.

A.

Che Maestà, qual deuotione, e riuerenza à tutti douea porta∣re, quella graue presenza, quei graui modi, quell' habito miste∣rioso, e quel, ch' ha più del bello, il parlar sobrio, ah?

P.

Imaginateui signore, alla bella presenza aggiugnete la bella bar∣ba, et alla bella barba il titolo. Dignitatem silentio tuebatur: l' ignorante silentio era il suo vnico freggio.

A.

Cosi merità, e vuole, e souente gioisse d' esser aggabbato il cieco mondo.

P.

Ottenuto, senza denari, e con poche parolle, il lor intento disse, il maggiordomo, maggiorengo, maggiorente, e maggioretto, in som∣ma il fac totum. M. Signore la nauicella è caricata, andere∣mo à portar gli drappi à l' olloggiamento, lasciarem qui co V.S. Reuerendis. Robaldo, e ritornaremo tantosto pel remanente, à cui egli rispose. Fate voi: il seruo, che non men era ribaldo, che Robaldo, alleuato sol nelle ribalderie, non mediocramente in for∣mato, come seruidor humile, rozzo, e basso, staua fuori della bot∣tega, e per maggior riuerenza, da lontano, e dopo hauesse bada∣to vn popò, salutando vno, che mai hauea conosciuto leuòsi dall' oc∣chi de bottegai, quali, come babuassi, contra lor Natura, à nien∣te pensauano; e costi restò il R. e M. I. (si ceme nudo di Virtù, cosi addobbato di honor mondano e sol di titolo) co la persona in falso homaggio, et in pegno dell' espresso ingauno.

A.

O che ridiculosa nouella hoggi mi narrate? veniamo al fine del Vescouo posto al giuideo.

P.

Peruna gran pezza il turluru del mastro stete con bonefede, ma la dimora eccedendo ogni honesto termine, non vedendosi il ritor∣no d' alcuno, ne odendosi messo, ne ambasciata d' essi, comenciò l'uno mirar l' altro, e l' vsuraio troppo tardi à filosofare varie e diuerse cose, e con gran cordoglio, a communicar co l' aliri, il

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sinistro suo giuditio sopra tanta dimora, e tosto di Lumacone, di∣uenuto picrocoli, scoprirono che il vescouo altro non era, che sol vn pezzo disozza, e puzzolenta carne con due occhi in capo; vn simulacro difroda, vn ritratto d' inganni, vn sogetto non sol di strecolè, ma della forca, sol de panni guarnico per impaniar il mondo, per li suoimeriti, e dmerii, col laccio pagò il diffetto della simulata dignità, et al maniglo lasciò per heredita il, fate voi.

A.

* 1.89Miser chi mal oprando si confida.

P.

Cotesti son li acerbi frutti dell' otio, qual d' ogni Vertù priuando il mondo, l' induce à vna vitiosa consuetudine, repugnante al'or∣dine naturale, qualè d' operare, ne dinuocere, mà di giouare.

Quindi cantò, e'l diuina Petrarca disse. * 1.90La góla, il sonno, e l'otiose piume, Hanno dal mondo ogni Virtù sbandita; Et è dal suo corso quasi smarrita Nostra natura vinta dal costume.

A.
[ 20] O huomo, * 1.91T'alzò Natura in verso il ciel la fronte, E ti diè spiriti generosi, & alti, Perche in sù tu miri, e con illustri, e conte Opre te stesso al sommo pregio essalti.
P.
* 1.92Il tempo è breue, e nostra voglia longa, * 1.93Tempo sispenda in qualche atto piè degno Di mano, o d' ingegno, * 1.94In qualche bella lode, In qualche honesto studio si conuerta, Cosi qua giù si gode E la strada del ciel si troua aperta.
A.
* 1.95Dunque deh comenciamo à poco, à poco In graui imprese a ridurr'il gioco. Ma parmi esser troppo tardi.
P.
Tempo è sempré d' amendarsi, e di se guir le virtuose norme. * 1.96Che tarde nō furno maigratie diuine. Che hora pensa V. S. che sia.
A.

Meno che lei io'l so. O la, che horaè?

M.

Non so padrone.

A.

Nascestiio penso, di nulla à caso, sol per saper nulla, e finalmente per conuertriti in nulla.

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M.

Dimandero forsi?

A.

Che altro cerco io, testa di b?

M.

Sono circa diece hore.

P.

* 1.97Ha del verosimile, perche ognilongo tempo, e noiosa via si passa fauellando.

A.

Recami il mio ferraiuolo.

M.

Che spada piace à V. S. hoggi di portare?

A.

Se tu ne ha vna, che mi portasse, quella mi sarebbe grata, e ti giudicarei da più che Macometto.

M.

Cotesto io non posso.

A.

Hor andiansene padron mio. Ma à che parte và V. S.?

P.

Alla sinistra.

A.

Ed io alla-destra, dunche anderemo insieme, come l'oriente, l' occaso.

P.

Horsu signor mio, che si degni di comandarmi.

A.

Che mi conseruate in vostra bona gratia.

P.

La gratia è fatta, ed io d' altro tanto la prego.

A.

Prima che ciò chiedesti, era concesso.

P.

Gli son diuotissimo seruidore.

A.

Gli baccio le mani, mi riputerò fauore, che si degni di comandr∣mi come ad vn suo, e la prego ritornar prima di nona.

P.

Ʋerrò: a riuederci.

A.

A dio.

P.

Iddio sia con lei.

A.

Con vosignoria ancor.

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DIALOGO. II.

Fra il Sig. Andrea, Sig. Pompilio, & Mignocco Seruidore.
Nel qual si vsano le frasi apartenenti al pransare, e porsi à tauolà, e discorrendosi della natura di qual si voglia cibo, di rimedij, de nocumenti, dell' herbaggij, radici, carni, vo∣celli, pesci, e frutti, con bellissimi medicinali secreti, s' in∣segna al passéggiere il modo di conseruarsi sano, e pro∣longar la vita: & ancorsi fauella de seruidori.
Pompilio.

[ 1] ECcòmi, che si degna V. S. commandarmi?

A.

D' aliro non la pregarò, se non che m' ami.

P.

Cotesta è gran richiesta in vero; ma venen∣do da persona amata, all' amante è via piû grata.

A.

Non è picciola dimanda certo, abbracciando l' amore tutto cio, che non solamente à noi, ma ancor à Dio gradir vaglia. Pure tal proposta non restora la natura, che l' oriolo del mio stomacò, internamente picchiando importunamente chiede chente se gli deue.

P.

La fame e' l ambasciadore, gli ministri ij membri; gli denti il trinciante; le mani il copière; la circonferenza del stomacò, e' l zirbo, la cucina; la lor vertú con gli altri principali membri, il foco; le fauci, e la lingua il coquo; la ragione il siniscalco, fonte

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del sangue, origine della cupidita, padre di famiglia, fedel di∣spensiére il fegato: il cuore il padrone, principio della vita, e del suo spiritò: sede del giuditio, casa della sapienza, & auttor della ragione il cerebro.

A.

Sta bene: ma tal lettione non mi nodrisce, ed egli è già hora di far colatione.

P.

Anzi hora è di pranso.

A.

Tanto peggio.

P.

Anzi tanto meglio, che il dig giuno lieua le superfluità dell' hu∣mori, e dissecà il catarro.

A.

Cotesto dici S. Gregorio medicò assai indotto; perche non hauen∣do il stomacò, nel tempo della fame, altro nudrimento, tirando da luoghi vicini la superfluità, si riempe di cattiui humori, e di putredine.

P.

Io intendo del diggiuno ispediente alla sanità del corpo.

A.

Non seguo tante sottigliezze, hierisera cenai bene, e meglio spero di discinar sta mente.

P.

Auertite (parendomi Ʋ. S. assai grassa, & humida) essergli sano il manucar vna sol volta il giorno, il cenare via più che no∣ciuo, e' l longo sonno.

A.

Nulla dimeno dimorato che e' l stomaco vuoto per hotte hore, in circa, bisogna restorarlo col manucare, il che prima io non faccio, per non causare indigestione, crudi & mali humori.

P.

[ 2] Fate saggiamente.

A.

Ma intorno al mio proposito Ʋ. S. stamente ha manucata nulla?

P.

Nulla dicesti.

A.

Dunque siamo del pari; mifauorirete, difar penitentia meco.

P.

Non oso di molestarla.

A.

Non molestia, ma sarami particolar fauore.

P.

La sua cortesia, tropo mi obliga.

A.

Mi duole di non poterla sempre godere conforme al mio desio. oh la?

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M.

Che comandate padrone?

A.

Pensi tu forsi alla foggia della primitiua Chiesa, sino alla se∣ra farci dig giunar tuti' hoggi?

M.

Ha gran pezza, che il cuciniere m' importunaua di leuar li cibi di cucina.

A.

E perche non mi dicesti nulla?

M.

Non ardiua sconciari suoiragionamenti.

A.

Sei più faputo, che non è vn ocha lombarda.

M.

Vado di bene in meglio; hoggi so più, che non sapeuo hieri.

A.

Cresce di virtù, in virtù, come le Rape: e forsi aparec∣chiato?

M.

Longo tempo fa in sala.

A.

Vatene, e senza inra fa portar in tauolà.

M.

Signore, gli cibi sons pra la mnsa.

A.

Egli è tempo, non prim tempo, aniam signore,

P.

Desiderò di lauarmile mani.

A.

Recca vn baccino, fondello, e touaglia di buccato.

P.

Son lauato, e via pù pronto per seruirla.

A.

Areca qui vna scabella, con vn coscino, V. S. seda.

P.

Iscusaemi, cotesto non son per fare.

A.

Fatelò per amormio.

P.

Maggior cosa mi riserbo à fare per amor suo.

A.

L' amor nulla rifiuta, ciò hora farete se mi amate.

P.

Doue prega il padrone è souerchio, che saplichiil seruidore, farolo per obedirla.

A.

Non per obedienza, ma per suo meritò.

P.

Con la vostra amoreuolezza mi confondete.

A.

Dall' amici rifiutate nulla, ed il tutto, se egli è possibile, pi∣gliate, ò simulate di riceuer in bona parte.

P.

Così io faccio.

A.

Chi farà la beneditione?

P.

Io, se gli piace.

A.

Mi sarà grato.

P.

Chi ha fatto il tutto, benedichi il tutto.

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A.

Amen. Egli è peccato, che non siate predicatore, che con breuu à saisfarestia tutti.

P.

Cotesto è impossiale: pur egli è vero, che Iddio vuche esser lodato in spiruo, e verità, e quante più l'oratine è breue, tanto più grata, foruente, & efficace.

A.

Cosi io prouo, che per la fragilitaà del senso mi partorisce distrattione, e vedo l'ltri spadagliare.

P.

Molti affetat tucci col longo, t affttatto orare, affettat∣tamente vogliano persuadere all'aliri in se d'auer (per ottener) ciò che non hanno.

A.

Mangiamo, e beuiamo, e godiamo de beni del commun Signore, & in esso stiamo allegrmente, ma(se si può sapere) cenate, ò pransate piu cepioste?

P.

Souente seguo l'occasione, alire volie l'apetito, tutta via la vera regola è uel'inuerno pigliar melior cena, che all'hora il calor naturale via più ingagliari••••, tumm••••te concuoce cibi nel stomaco, et in tutto l'habuò del corjo, ma nella state, (essendo il natural calore diffusoe sparso pel corpo, e per i negotij del girno, e calura, via più indebo∣lito, e lasso il stomaco, e senza apetito di mancare, masl di bere) conuiensi liggiermente cenare, l'istesso instituto seguir de chiunque è sotoposto à catarri, e mali del ceruello, dalle repletione ascendendo euaporationi alla testa, donde ne resta offesa.

A.

Ma essendo nella state più longo il giorno, e maggior in∣teruallo dal pranso alla cena, come potrà quanto già dicesti, con ragion seguire?

P.

Sappiate, no'l numero dell'hore, ma l'attione della ver∣tù effettuare, qual vertù ne giorni caldi s'indebolisce, ma pel sonno matatino corroborata, all'hora è più po∣tente, quindi (come v'ho detto) la cena, nella stagion calda, debbe esser sobria, e di più vtile sarà in ogni tempo, dalla abondante cena, causandosi nel stoma co vna gran pena, però acciò la notte ci sia soaue,

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siamo sobrij nel cenare: onde il verso;

Caena leuis, vel caena breuis fit raro molesta: Magna nocet, medicina docet, res est manifesta.

A.

[ 4] Mache manucate cosi adaggio?

P.

Signor questa è specie della prima concottione, & quasi è mezza digestione; doue la mala mastigatione impedisce, & ritarda la digestione, quindi non si deue aguisa dell' ocche, ò gente di tinello inghiottire, e stiualare, ma pigliando liboc∣coni picchioli, indi ben bene masticali.

A.

Cotesto non solo parmi sano, ma ancor assai ciuile; quan∣tunque sia più propria hipacrità qualità donnesca, posciache essersi satollate ne canti della casa, vanno à manicar in pub∣licò: ma che non vi piace cotesta minestra di farro, ne l'al∣tra? almen pigliate quella di grano.

P.

[ 5] Ilgrano fa buon nodrimento, & assai corrobora, la suafa∣rina cotta co'l latte, ò in acqua, con butiro lenisce l' a∣sprezza della gola, mitigà la tosse, gioua à sputi del san∣gue, & all'vlcere del petto, e cotta in acqua mellata, miti∣gà tutte le imfiammaggioni interne.

A.

Dunche gustatene.

P.

Ma egli è cibo graue, e difficile alla digestione, genera humori grossi, & viscosi, ventosità, & pietre nelle reni, e visica & moltiplicà gli lumbrici nel ventre, ma si correg∣ge, col cuocerlo bene, e dindi condendolò con buone spetie.

A.

Quell' altra d'orzo forsi sarà megliore?

P.

[ 6] Quando egli è liscio, bianco, secco & ponderoso, non tro∣po grande, ha dell' astersiuo, & mondificatiuo, ma non tan∣to nodrisce, come fa il grano; apre l' opilatio della vessi∣ca; la orzata è humida, & astersiua, e buona per lasete de Febricitanti, gioua all' infirmità del petto, d' onde vi∣ene esser ottimo remedio per gli ethici (benche più però pre∣uaglia il latte d' Asina) lenisce il thorace, facilita il sputo, mitigà la tosse, & mondiscà il pulmone; se però ella e stemperata, non nel brodo di pollo, ma nella sua decottione, e

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massimè quando si vuole astergere, e se gli lascia nel cuo∣cere la scorza, ma per refrigerare, & dissecare, se li le∣ua la scorza, pùr sia come si voglia, non è tropo mio amico.

A.

[ 7] Cotesta difarro in vero diletta molti.

P.

Il farro altro non è, che grano, qual mollificato con l' acqua per un tantillo, si scorzanel mortaio, si secca al sole, d' in∣di si macina grossamente, di modo che d' vn grano se ne faccino quattro, ò cinque parti, & secco riserbasi, ben cot∣to emenda molti vitij contenuti nel stomachò.

A.

Ma se non fosse cotto, come souente veduto ho non perche feminuccie portar nella tasca, indi manucarlo fra pasto?

P.

Generà grossi, e viscosi humori, e ventositâ, difficilmente, da debil stomaco, si digerisce; & frequentemente vsato o∣pila il fegatò, e generâ le renelle: ma se egli è ben cotto in buon brodo, è ottimo cibo per li sani, & ancor infermi, e meglio per li sani, se sarà condito con aceto, porro, melle o zuccaro, che perdera lasua viscosita.

A.

[ 8] Che manucate tanta copia di pane? e doue porrete la car∣ne?

P.

Ricordatemi che fi appella pane, perche pasce, ò secondo la voce Greca, che si con fa con tutti gli cibi, ne mai è insipido, e tanto più questo fatto di fiore di farina condito con vn popò di sale, e ragioneuolmente cotto, che cosi gagli∣ardamente nodrisce, e maggiormente la crosta, qual è ot∣tima, & al corpo salubre.

A.

[ 9] Almen vestetelò di butiro.

P.

Cosi to intendo, essendo caldo & humidò, e megliore è, essendo fresco, ma se fosse di pecorà, ei sarebbe più sano, e però tanto più caro, tutta via se con questo fosse mescolato zuccaro, ò melle ottimo seruirebbe, per ma∣tarare il catar grosso, tirar fuori le superfluitâ dal pet∣to, e da Pulmoni: di più sana l' Asma, & la Tosse,

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se mangiato è con melle, & Amandole amare, mitigà i dolori, & assai nudrisce: tuttauia rilassa, & indebo∣lisce il stomacò, di chi molto l' vsa, induce nausea, di∣spone alla rogna, & lepra: ma appresso manucandosi zuccaro rosato vecchio, si correge, e cosi gioua a gioua∣ni, & à vecchi in ogni stagione, & ancor che fosse condi∣to con sale per conseruarlo, che riserba la sua vertù aper∣tiua, & mondificatiua.

A.

[ 10] Parmi d' osseruar, che voi osseruate la regolà nella quan tità.

P.

Piglio il cibo doppio del bere, il pane sesquiduplo all' o∣ua, triplo alla carne, quadruplo à pesci, all' herbe, & alli frutti.

A.

Vogliam manucar hor della carne?

P.

[ 11] Coteste carni, e cotali cibi grossi, sono men nociui nell' in∣uerno, essendo in tal tempo il natural calore vnito nell' in∣teriore, però più efficace, ma nella state, si ricchiedan cibi leggieri per le ragioni dette disopra.

P.

Che dunque volete? fatimi indouino, che vi seruiro d' a∣mico.

P.

[ 12] Mangiamo prima cose leggieri à digerire, e queste sono le più facili à masticare, che se le manghiate in vl∣timo, hauendo posto nel fondamento cose grosse da digeri∣re, supernatano, e si corrompano, come se fosse latte, ò car∣ne tenera alessa, come di vitella, ma se fosserò vntu∣ose, leniscano, & humettano il ventre, ma accrescano flem∣ma, eccitano il sonno e si corrompano.

A.

Dunque debbo preporre li facili alla difficili, l'humide alle secche, le liquidè alle solidè, le lubrichè alle restringenti.

P.

Si, se però il stomaco sarà ben disposto.

A.

Dunque tastate questo brodo condito.

P.

[ 13] La troppo quantita di cotai brodi fa inondar ij cibi nel stomacò, lo rilassano, e leuanglì l' apetito, generanò molta humidità, d' onde scaturiscano varie infirmitadi, però quelli che vsanò cibi secchi, piû longamente viuano,

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se però il corpo non fosse tropo secco, e caldo.

A.

Questo cibo molto mi diletta in vero.

P.

Quanto egli è più soaue, tanto più facilmente si digerise, che lo stomacò più facilmente l' abbraccia.

A.

[ 14] Cotesta viuanda è molto brusca, ò più tosto acetosa.

P.

I bruschi, e stitici cibi constringano, opilano, & generano sangue melanconino, e li acetosi melanconia, nuocanò a membri neruosi, quindi fanno tosto inuecchiare.

A.

[ 15] Ma come potrà vn idiota vn buon cibo discernere dal cat∣tiuo?

P.

S' egliè leggiero, di parti sottili, e di buon succo, che in bre∣ue tempo descenda dal stomaco, presto si digerisca, e gene∣ri buon sangue; e questi sono quelli, ch' hanno la lor sostan∣za tenera, che facilmente si dissolue, come sono le vnoua, le carni d' vccelleti, polli, e simili altri, quali per dir il vero, per esser creati per li figlij d' Iddio, molto mi piacciano.

A.

[ 16] Ma ditemì signiore, la medema regola deue esser osserua∣ta dall' infermo, quale è dal sano?

P.

Il sano debbe vsare cibi simili alla sua complessione, ma alli infermi si ricchiedano cibi di contrario qualità, perche nl∣l' humidò temperamento, si dano cibi secchi, e nel secco l' humido; però l' humido si conuiene, ò, à fanciuli, ò a quel∣li, che da qualche mal secco sono astenuati, come ij febri∣citanti; ij sanguigni debbano fugire ij cibi caldi, & humi∣di, & che generano molto sangue, ij colerici come anco ij sanguigni le cose dolci, come melle, zuccaro, butiro, olio, & noci; ma l' aceto, e l' agresta gli confrisce, come anco l' acetosità di Limoni, Cedri, e Grannati.

A.

[ 17] Ohime, come cotesto cibo è pieno di Pepe, & altre spetiarie; egli tutto m' infiamma.

P.

Lascia telo signore, perche eccedendo in calidità, abbruscia il sangue, come anco fa la saluia, l' aglio, il Nasturzo, pepe, & altre semiglianti, ma per temperate, la troppa calidita del cibo intromesso, piacciaui di manucar vn popò di questa viuanda fredda.

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A.

[ 18] Pur credo il cibo caldo, esser più sano al corpo?

P.

Fuori di cotesta occasione, ogni cibo caldo è meglio, ch' l rafreddato, massime nell' inuerno, l' attuale calidità de cibi temperando la frigidita del bere (quantonque, come di gia s' è detto) douendosi vietare il calidissimo, si anco∣ra essendo la fame vn desiderio di cose calde, & secche, sempre però desidera ij cibi caldi, come la sete, che è ape∣tito di cose fredde, & humide, quindi ella apetisce cose frgide.

A.

E meglio ch' io beua vn poco.

P.

[ 19] Anertite signior mio, che, nell' inuerno freddo, & humi∣do, bisogna (come già gli dissi) mangiar assai, e ber poco, ma il bere sia potente, la state, che è calda, & secca, poco basta, ma bisogna beuer più dell' inuerno, ma il bere non deue esser cosi potente, la prima vera recchiede vn poco∣meno di cibi dell' inuerno, ma vn poco più di bere, cosi nel∣l' Autunno poco meno bere, e poco più cibo.

A.

Piace à V. S. ch' io taglia per lei qualche cofetta?

P.

V. S. non si molesti, con fiducia pigliaro ciò, che mi pi∣ace.

A.

Se altrimente farete, si come à voi, altresì à me farete torto. Tu firibiribombo che fai, ò miri? porgegli vn piatto, ò taglier netto. Per eccitar meglio l' apetito, V. S. si deg∣ni di gustar di cotesta insalatuccia composta di varie, e di∣uerse herbaggi scielii.

P.

Per dirgli il vero, tutte l' herbe sono di poco nodrimento, [ 20] di cattiuo succo, sottile, & assai acquoso con molta super∣fluità, e se pur l' huomo ne manghia, deue esser in poca quantità.

A.

Cotesta regola piace all' Inglese, dispiace all' Italicano.

P.

Meglio però nutriscano, se siano co••••e con brodo, e massi∣me nell' inuerno, nel quale si deuano vsar solamente herbe calide, e che non habbino fatto il seme, perche in tal tempo sono più buone.

A.

Ma pur quelli, che qualche volto ne mangiano, come si go∣uernerano?

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P.

[ 21] Si deuano mangiare nel principio della mensa, essendo che quasi tutte soluano il ventre.

A.

Ecco ch'io manuco dell' acetosa, qual io ho scielta da quel∣la in salata.

P.

L' Acetsa domestica è meglior della saluatica, digeris∣ce, apre & incide: oltra di ciò areca grato sapore all'altre herbe, via più gioua alle febri pestilenti, & ardenti, che spegne l' ardor della collera, caccià la sete, resiste alla pu∣tredine, eccità l' appetito & ferma ij flussi: il succo suo, con quello dell' Aranci, la state condisce le carni, e pesci, & eccita il manucare: il suo succo in siropo, l' acqua sua distillata, la sua decotioue, ed ella stessa cruda col pane deuorata, lieua ij fastidij del stomaco, la nausea, rompe, e caccia fuori le renelle, & il suo seme beuuoto col vino, vale à i veleni, ferma la dissenteria, preserua, & libera dalla peste: e finalmente, e ottimò remedio per tutte l' in∣firmità del petto.

A.

Ma possibile è, che doue è tanta virtù non vi sia aliun vitio?

P.

Nodrisce poco, stiticà il corpo à chi troppo l' vsa, nuoce à Melanconici, & inasprisce il stomaco; e si deue sola∣mente vsar ne i tempi caldi, e da giouani, o colerici, ò san∣guigni, nelle calide infirmità.

A.

[ 22] In vero ch' ho manucato vn poco d' Amaraco.

P.

La Maggiorana magiore, ò minore che sia, appellata Per∣sa, postane cibi, conforta il stomaco, asterge, e lo mondifica, scaccia da basso la collera & flemma; col suo odore confor∣ta il ceruello, gioua all' Hidropici, altrosi per la strangu∣ria, e torsioni del ventre, e buona per li mestrui differiti, la Persa ciòe la minore è uia più efficace.

A.

[ 23] Dopo che à Ʋ. S. non gradisce l' insalata, manucate al∣meno dell' Asparagi.

P.

Hor di questoio mi contento di gustare, notrendo piu d' ogni altra sorte di herba; oltra che conferiscano al stomacò,

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purgano il petto, mollificano il corpo, prouocano l'vrina, accrescano il seme genitale, nettano le reri dall' arena, e mittigano il lor dolore, & ancor de lombi, ma mangiate in gran quantità, fan le donne sterili, & aliri pocchi accidenti.

A.

Macome credete, che si debban cuocere?

P.

Si debbano lessare, & gettar via la prima cottura, ò de∣cottione, che cosi lasciano l'amarezza, indi conditeli con olio, sale, pepe, & succo d' Aranci con vn popò d' aceto di vino. Se col vino li cocereti, son assai più vtili, ma son cattiui per ij collerici, sani per ij vecchi, e frigidi, son ancor piùsani cotticol brodo grasso.

A.

Piace à V.S. di cotesta altra insalata?

P.

In verita ci vego del boragine, bettonica, dragoncello, ci∣coria & endiuia, finocchio, lattuca, melissa, menta, mer∣corella, petrosello, pimpinella, portulaca, rosmarino, ruche∣ta, saluia, serpillo, e spinacì.

A.

[ 24] Che pensate forsi coteste esserci più che l'altre gioueuoli?

P.

Non sapete la boragine chiamar si coragine, per hauer pro∣prieta nelle passioni del cuore fonte della vita, onde infusa ò li suoi fiori nel vino, molto ralegra l'animo, comforta il cuore, leua la malenconia, & aporta giocondi piaceri, oltra che nodrisce, e genera buoni humori, chiarifica il sangue, e gli spiriti, conforta le viscere, e lenisce il petto, quantonque però gli fiori non cosi, come le frondi si digeriscano, qual foglie mescolate con la bietolà, ò gli spinaci, perdano la lor asprezza.

A.

[ 25] Almio gusto più satisfano questi cappari.

P.

Se sono conseruati nell' aceto, non sono cosi calidi, però più communemente sani, astergano, gli conseruati in saiumonia assotigliano, incidano, astergano, & aprano, eccitano l' a∣petito, aprano l'opilationi del fegatò, e milza, prouocano ij mestrui & vrina, occidano gli vermi, sanano le morici,

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eccitano il coitò, ma si condiscano con olio, & aceto, gio∣uano di più a podagrosi, flmmatici, splenitici & sciatici, e chi l' vserâ, non patirà di milza, ne risolutione di nerui, benche siano più medicina, che cibo.

A.

[ 26] E che vi pare del Dragoncello, ò Dragonetta?

P.

Egli è secco, & caldo, cordiale, fa buono appetito, decres∣ce il coitò, mirabilmente conforta il stomacò, il capo, & in∣cide, la flemma: mangiata preserua dalla peste, & da og∣ni corruttione, sana le doglie frigide de denti, gengiue, lauandosi con la decottione fatta in vin bianco: vero è pe∣rò che riscalda il fegato, ed assotiglia il sangue, à vecc∣hi è sempre buona, nuoce à colerici, & à gioueni san∣guigni.

A.

[ 27] Credo ancor; che la Cicoria altre si habbia la sua vertude?

P.

Assai gioua all' ardor ed infiammagione del stomaco, apre l' opilationi del fegatò, e via più d' ogni altro remedio, mantiene il fegato netto, & le sue vie aperte, giouando an∣cor alle reni: ma nuoce al stomaco debile e freddo, & à catarrosi: vsandosi in insalata deue esser meschiata con altre herbete calde, con buono olio, sale, & aceto con∣dite.

A.

[ 28] Parmi, secondo il dir commune, la Bettonica esser piena di vertù infinite.

P.

Non sapete il Prouerbio? Tu hai più vertù che la Bettoni∣ca: la megliore nasce ne colli aprichi, e si coglie d' A∣prile; ella è incisiua, si mangià cotta insieme co fiori in buon brodo, o cuocendola in vino, beuendo indi la sua decot∣tione, stando ben però otturato il vaso, oue ella bolle: è vtile a tutte la passioni del corpo interne pigliata che è in qualonque modo, vtile per il veleno, gioua alli itteritici, paralitici, flemmatici, comitiali & sciatici: ma è dura da digerire.

A.

[ 29] Io soglio la state souente vsar l' Indiuia.

P.

Rinfrresca il fegatò & ogni membro infiammato,

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spegne la sete, prouocà l'vrina, fa buon appetito secca l' o∣pila••••oni, purga il sangue, sana la rogna, smorza l' ar∣dori del stomaco, e nella state manucata cotta in brodo di carne, conforta tutte le viscere, ma nuoce al stomaco freddo, ritarda la digestione, offende li paralitici, e quelli ch' hanno il tremore.

A,

[ 30] Alresi credo che facci la Lattuca.

P.

L' Indiuida è frigida e secca, cotesta è fredda & humida; pensate voi del remanente. La capuccia e terera senza latte & assetata da delicata mano, eccede in bont à ogni al∣tro herbaggio; genera latte alle donne, spegne l' infiamma∣tione del stomacò, estingue la sete, prouoca il sonno, stagna la genorea, se però non proceda da corruttione di quel so∣lenne malo, raffrena l' acrimonia della collera, corrobora il stomacò & lo sgraua, temperà il priapismo, ma oscura la vista dell' occhi, indebolisce il calor naturale, corrompe lo sperma, fa generar figli balordi, & insensati, rende l' huomo pegro; è mel sana à stomacchi deboli, e cosi à vecchi.

A.

[ 31] Per dirgli il vero, con le sue proprietà tanto d' amor di lei mi hauete accesso, che non ne voglio gustare, se non per necessità.

P.

Gustarete pur della melissa, ò melisso fillo, che conforta il cuore, leua il suo tremore, lenisce il petto, apre l' opilationi del ceruello, sana il singiosso, gioua à morsi d' Animali velenosi, à flemmatici, & à melanconici, ma eccita l' ap∣petito venereo per la sua ventositade.

A.

[ 32] Dubitò la Menta esser megliore.

P.

Ʋalorosamente eccita l' appetito, prohihisce che il latte non s' apprenda nello stomacò, ne nelle mammelle, ocide li ver∣mini vsata ne cibi, ò data à cittinio à cittelle vna dram∣ma del suo sugo con mezza onza d' agro di Cedro, ò di siroppo di scorza del medemo, liua ancor la nausea,

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il vomitò, & fortifica il stomacò, onde il verso:

Nunquam lenta fuit stomacho succurrere Mentha.
Ma infiamma il fegatò, & stomacò, assotiglia il sangue, ec∣cita Venere, pero non è buona per gli soldati, quali per il coito deuentano magri deboli, e codardi.

A.

[ 33] Soglio per consiglio del Médico vsar la mercorella, ò mer∣coriale, che ne dite?

P.

Lasua decottione solue la collera, & humori acquosi, ma auertite però di non vsarla, se non qualche volta, indebolen∣do lo stomaco & viscere.

P.

[ 34] Madonde procede, che il Petrosemollo, e Pimpinella cotan∣do s'vsano?

P.

Il primo cotto, ò crudo prouoca l' orina, ij menstrui, & il sudore, mondifica le reni, il fegatò, & la madrice, lieua le loro opilationi, & dissolue la ventosita, la sua decottione gioua alla tosse, à veleni: ha le medeme virtù, che il Co∣tiandro, e gratissima alla bocca del stomaco, rompe le pie∣tre delle reni, e vesica, apre l' opilationi, gioua alla tosse, & a diffeti del petto: ma è dura da digerire, offusca la vi∣sta, genera non buoni humori, nucce al capo, e cosi al mal [ 35] caduco. La Pimpinella si reduce sotto le spetie della Sassi∣fragia, per la virtû grande, che inse tiene, di nettar le re∣ni, la vessica, e di rompere, e cacciar le pietre, & reuella dalle dette parti, prouocar l' orina, & aprire l' opilationi del fegatò, di più e singolarissimo remedio contra la peste, sola essendo infusa nel vino col bolo armeno; beuuta col vi∣no altresi ralegra il cuore, e gioua à tissici. Ma ella e diffi∣cile da digerire, riscalda il fegato, e poco nudrisce, ma in insalata, con herbe frigide, sempre gioua à vecchi, & me∣lencónici.

A.

[ 36] Ma che direte di quelli che vsano la Portulaca, ò porcac∣cia, ò porcellana?

P.

Non snza ragione, notabilmente giouando alla dissenteria, a flussi de menstrui, sputo del sangue, & ardore dello stoma∣co, reffrena venere, & ij stupore de i denti; ma se è mangiata in gran quantita, per esser humida, e frigida, nuoce al stomaco

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alla vista, e poco nudriste, nella state però gioua a giouani sanguigni, e colerici, ma nuoce à vecchi.

A.

[ 37] Ese mescolassimo nell' herbaggij il Rosmarino?

P.

Colmelle gioua â gli Asmatici, alla tosse, ferma ij flussi, gli suoi fiori col zuccaro conseruati confortan il stomaco, il cuore, & lamadrice; ma esaspera le arterie, se non è retti∣ficato col melle.

A.

[ 38] Al referir de molti, la saluia in virtù non cede à niun'al∣tra.

P.

Conforta il stomaco, e testa, conferisce alle vertigini, & hemicrania, paralitici, & epilettici, prouòca l' orina, e me∣strui, ferma ij flussi bianchi delle donne, la sua poluere è ottima per tutta ij mali freddi del capo, gionture, fa fe∣conde le sterili, & lasua decottione sana il prurito de ge∣nitali, fortificando il spirito vitale; molto gioua per rite∣nere le creature nel ventre delle donne, la sua conserua col zuccaro fa li medemi effetti, & è ottima per mortificar il mercurio: ma sotto essa volentieri si ricouerano li ani∣mali velenosi, so non sia acompagnata co la Ruta.

A.

[ 39] Parmi d'hauer osseruato spesse fiate vsarsi li Spinaci e Sio.

P.

Allargano il petto, giouan alla Tosse, rinfrescan gli pulmo∣ni, fegato, e collera suo feruore, mouan il corpo, se ben di poco, non sono però di cattiuo nudrimento: ma son vento∣si, e nuocano al stomaco frigido. Circa il sio cotto, ò crudo (nato però nell' acque limpide) rompe, e caccia l' vna e l' altra pietra, faorinare, e prouoca i mestrui, gioua al par∣torire, dissenteria, hydropici, itterici, & opilatione del fe∣gato, col far ancor bona vista.

A.

Habbiano quanta virtù si voglia, le herbe sempre poco, ò nulla m' hanno piaciate, se non quanto son stato costretto dalla infirmità, e per parer de medici, quali parmi esser as∣sai presti insegnar l' altri vsar decottioni d' herbaggi, accio eglino con più vil precio fi possino sattular de polli.

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P.

[ 40] Cosi io non panso: ma come vi dilettano le Radici?

A.

Qualche volta, ma di rado, che vè ne pare?

P.

La prima Ʋera & la State la lor vertù se ne và nelle frondi, e fiori, e semi; ma l'Autunno, & l' Inuerno sono potenti, e vigorese: tutta via il lor vso (come l'herbaggi) più alla medicina, che al cibo serue, per esser quasi tutte di cattiuo succo, e difficili à digerire; pur le domestiche, te∣nere, e giouenie, cauate di fresco, più sicuramente si ma∣nucano, e la parte di meggio, per il più, più e assai me∣gliore.

A.

[ 41] O hime, come mi duole il capo?

P.

Forsi il vostro coquo importunato dalla strepitosa voce di quel cieco nato, che di continuo, anguisa d'vn anima dis∣perata, va gridando per ogni canto, e per ogni pertuggio della città, Garlik, Garlik, Garlik, hauendoue compra∣to, hor della sua sciocheza tocca à V. S. pagar il fio.

A.

In veritâ n'ho manucato vn popò in cotesta viuanda.

P.

Egli ha facolta (come se ei fosse della razza de calunni∣tori, et infamatori) mordificatiua, digestiua, aperitiua, & incisiua, il fresco è meglior, e serue per theriaca di veleno, scaccia li vermini, prouoca l'orina, gioua alla tosse antica, se cotto è sotto le ceneri calde fa bona voce, e se fosti sopra l'oceano vi aggiutarebbe, assai resistendo egli alla nausea, et rettificando l'aere correto dalle puzze, eccita venere, ma vero è, che nuoce alla virtù espulsiua, al ceruello, alla vista, al capo, fa sete, da dettrimento alle donne grauide, con simiglianti, & sopra il tutto fa putir il fiato, il che si cor∣rege subitò col manucar faue crude, apin verde, & foglie di ruta fresche.

A.

Ma voglio gustar di questi fonghi.

P.

[ 42] Cotesta è la humana conditione, che mentre vn mal

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schifar procura sdrusciola in mille: souente occidano, benche quelli dell' apennini, & li spug∣noli detti prataioli, che nell' aprile nascan ne pra∣ti, & aliri detti boleti, sian riputati buoni, e grati allo stomaco; ma se siano insalati, ouere mondati, & ben cotti con pere acerbe, basilicò, pane, aglio & calamento, indi conditi con olio, sale, e pepe, securamente si manucano, & ap∣presso beuer bisogna, vino potente, ma à chifre∣quentemente li vsa, causano stupore, Apoples∣sia, & soffocano, ma quegli della montagna di Collepardo essendo più caldi secchi all' ombra, & poluerizzati presi al peso d' vn scropolò in vino, ò brobo, mitigano ij dolori colici, & rena∣li, prouocando l' orina, e cacciando fuori le pie∣tre, & le renelle, e si piglia quattro hore auan∣ti il cibo.

A.

Ma come li diletta la pastinacca?

P.

[ 43] Così, così: ella è molto calda, astersiua, & assotigliatiua, e assaiapre, ma di poco, & cattiuo nudrimento; tardi si di∣gerisce, eccita venere, genera sangue cattiuo, & souente la rogna, ma ben bollita, & con oglio, & aceto, & senape condita, ouero fritta con buro, resta corretta, tuttauia nuo∣ce à flemmatici & vecchi.

A.

[ 44] Tra tutte le altre il Rafanò domestico, detto raffanello, ò radice, specialmente se egli è di nera scorza, molto mi piace.

P.

Se lo manucate nel comenciamento, prouoca l' orina, molli∣fica il ventre, scaccia le pietre, tagliae minute & poste nell' acqua, & insalate moltiplicano il latte, fan buono il tasto del bere, e se son lessi, vagliano alla tosse antica; ma smagrisee, è ventosa, e moue puzzolenti rutti, tardi si di∣gerisce, offende alquanto il capo, e denti, & accresce gli do∣lori artetici.

A.

[ 45] Questa Rapa satisfa al mio gusto in vero.

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P.

Quod sapit, nutrit. Cotta in brodo, genera gran nudri∣mento, le sue cime lesse, e manucate, prouocano orina, ac∣crescano il coito, e fanno buona vista, e la sua radice vale contra la quartana, & simili malenconiche infirmità, ag∣giontoui finocchio, assotiglia la vista; ma generano ventosità, & acquosità nelle vene, & opilatione ne pori, tardi si digeriscano, riscaldano le rent, e souente fan gonfi∣ar il corpo, pr corregger il lor vitio nel cuocergle due volte si muti l'acqua, indi si euocino nel brodo con finoc∣chio.

A.

[ 46] La carne fa sangue, & il sangue fa carne; lieua via cote∣ste insalatuccie, e radici, ò lesse, ò fritte che siano, & ap∣propinqua qucipiatti di carni, queste son quelle in conchiu∣sione, che ci mantengano.

P.

Per dir il vero, le carni più d' ogni altro cibo nadriscano, che per esser calide & humude, facilmente si transmutano in sangue, & arecano gran nudrimento, pur, nulla dimeno nell' vsarle ci vuole qualche regola.

A.

Ma come, bisogna forsi d' vn lato tener Hipocrato, & dall' altro il piatto?

P.

Io voglio dire le carni, vini, & grani de luogi alti, però signoreggiats dal sole, esser più sani, che quelli deli stagni, e paludi, & lagune, parimente che le carni dell' animali tropo gioueni sono abondanti di trpo humidita, ma piu sa∣cili alla digestione; le tropo vecchie sono cattiue, dure & secche, e di poco nutrimento, e difficili alla concottione, la carne de maschi, por esser più calda, e secca via più è megli∣ore della femina di contraria natura, ma mgliore à febricitanti: la Capra però è di più laudabil nutrimento, che ogni altra femina.

A.

Con cotanto regole, & osseruationi cosi di giam' hauete ab∣bacinato il senno, che non so doue comenciare.

P.

[ 47] Manuchiamo l' Agnello, quale e calido & humido, fe pe∣ro egli sia d'vn anno, altrimente ha molta viscosità & humi∣dità, ma se egli è come io dissi, genera buono nutrimente

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facilmente si digerise, è ottimo per l' humor melenconico, altresi per glisanguini, & che sono di collerica, & adusta complessione, e tanto piú egli è buono, se più non alatta, ma pascuito, e cresciuto sia con herbette odorifere; che se fosse lattante, genera grosso humore, nuoce a vecchi, e flemma∣tici, genera viscosità nel stomaco, per la souercchia humi∣dità, & è contrario al mal caduco, & altre passioni del cer∣uello, e nerui.

A.

[ 48] Tastate vn pocò di questo Becco.

A.

Dio voglia ch' io non ne gusti più di quel ch' io credo, se tal carne fosse, gioua à quelli che sono tropo grassi, per il poco nutrimento, che ella areca, ma però pessimo è per il mal ca∣duco, e genera melenconia.

A.

[ 49] Pigliate, questa è megliore.

P.

Cotesta varietà de cibi, mi da assai noia, aportando diuerse infirmitadi, massime quando essi sono di contraria qualità, impedendo la lor concottione, e corrompendosi, però benche mi diletti il palato, nulla dimeno nuoce alla sanità, quindi interrogato vn Sauio, perche nella mensa non volesse altro che vn sol cibo, rispose, per non hauer tropo bisogno del medico; essendo dunche la diuersitâ de cibi pestifera, vn cibo sarà saluberrimo: quindi già molti anni sono li huo∣mini molto più viueuano, perche erano più sauij nel rego∣larsi, e men di noi golosi, & hora l' otio, e la crapula son a∣scesi, à cosi fatto grado, che sciocco, misero, & infame è colui, che se stesso, e la sua famiglia non immerge in cotal vitio, e quanto più vno è sciocco, e folle, tanto piú riputa∣tato è maggior signore, ma che vogliamo noi esser singolari? mangiamo allegramente.

A.

Se questa non vi aggrada, eccògli del boue, o vaccha che sia, & ecci anco della vitella, ò più tosto vitello, per non errare.

P.

[ 50] Se ella è di bue gióuene grassò, & auezzo all' aratro, è di grandissimo nutrimento alli operarij, genera gran∣de abondantia di sangue, stagna il flusso collerico, ma

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genera pessimo nutrimento, tardi si concuoque, produce narici, & infirmità malenconiche, deue per vn giorno esser insalata.

A.

Ma la vacca, massime vecchia?

P.

Pessima è come son tutte le vecchie; ma la vitella lattante genera ottimo sangue, facilissimamente si digerisce, e la montagna meglior è della campareccia.

A.

Mase fosse di Toro?

P.

[ 51] O Dio, ei è peggior di tutti; e carne grossa, febrosa, dura, secca, fetida, di cattiuo nutrimento, ne mui si cuoce, ne con∣cuoque dallo stomaco, & in conchiusione, è peggior del Buf∣falo.

A.

Per fugir cotal pericolò, mangiaremo di cotesto Capretto.

P.

[ 52] Egli è di caldo temperamento, fin alsecondo mese, di lau∣dabile temperamentura tra l' humidità & seccità; ij negri, & rossi son tuitauia megliori, e lattanti maschi di quattro, ò cinque mesi sono gli ottimi: nudrisce benissimo, presto si digerisce, conferisce alla sanitá mirabilmente, gioua molto all' infermi, conualescenti, & à colro, che poco si affaticano, se ben bene egli sia arrostito, massime le parti di dietro, via più humide, condite con arnci, resta corretto.

A.

Più assai al mio diletto piace questo caprio, ò capriolo, ò dama, che si chiami.

P.

[ 53] E caldo, e secco, gli giouani, e grassi, & assai essercitati, cosi dissoluendo i loro tristi humori, seno più facili a degerire, generano sangue con pcchissima superfluità, ma tutta via tira vn poco al melanconico, come fano quasi tutte le fere, quali tutte però ei supera di nutriment, vale contra la pa∣ralisia, colici, e smagra i grassi: ma nuoce alli flomati che arrecca detrimento à nerni col a sciugar, mssime, s egli è vecchio, che all' hora difficilmente, si digerisce, ma è me∣glio l' inuerno.

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A.

[ 54] Certo all' odore questa è di castrato.

P.

E temperamente calda, & humida carne; gli gioueni d' vn' anno, massime pascolati in colli, generan buon sangue, per esser soaui al gusto, e di buon notrimento, e presto si dige∣riscan; il suo brodo è ottimo contra l' humor melenconico. alessa fi deue manucar con petrosello, le parti di dietro arro∣stite, prima però siano co bastoni ben ben batiute; se egli è vecchio per mancamento de testicoli, e pr il tempo, disse∣cando nuoce, & è duro da digerire.

A.

Ma se gustassimo del Ceruo? eccòlo già per seruici, nou dubitate egli non può fugire.

P.

[ 55] Egli è calido & secco; se ciè lattante, ò castrato, è di buono notrimento, che nel sudetto modo perde la malitia: il corno del Ceruo abrusciato scaccia ogni animal velenso, l' osso del suo cuore è assai cordiale, resiste alli veleni, quindilo mettano nelle teriache: nulla dimeno la carne del Cerue genera grosso & melenconico humore, difficile è da digeri∣re, poco nudrisce, noce à paralitici, tremoli, e quartanarij, i pasticcij nulla dimeno, è più laudabili, massime nell' in∣uerno, & il lombo è la sua meglior parte.

A.

Contener non mi posso, ch' io non tasti di cotesto Lepore, ò Lepre.

P.

[ 56] Lo Lepre dalla leggierezza de piedi, e dalla velocita del corso, è cosi detto.

A.

Coteste sono l' arme dategli dalla diuina prouidenza, e dal∣la Natura insieme.

P.

* 1.98Le medemi dimostrò san Paolo esserci l' vnico mezzo per fuggir il carnal peccato, dicendo, Fugite fornicationem. Et il Petrarca:

* 1.99La fuga sol è la speranza d'vn ben finire.

A.

Egli s' accoglie in vero; posciache altro non faccia••••o, che sctto spetie, ò di parentella, ò di polliati negoti, ò di visite senza proposito, ò d' amicitia carnale d' hipocrisia vestita, ò altri mezzi dalla sensuale liberta fabricati, da sciochi cre∣duti, dalla commune, & enorme abuso autentiticato, di

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chiaro giorno, di buia notte, in ogni canto, in ogni bucco, cosi in publico, come in priuato con particulari raggiona∣menti, toccamenti, & altre simiglianti attione nella bote∣ga di Cupidine fabricati, sempre esser con donne, e Ma∣donne, & elleno con noi, tal che più tosto già sia meraui∣glia quando noi siamo senza esse, & elleno senza noi, che quando noi con esse, & elleno con esso noi.

P.

Ogn' vn opra à suo marito, è demerito, segua il mondo quanto li piace, noi fra tanto seguitiamo la nostra gambuta lepore, se non nel fugir il pericolo, almen in goder la sua carne, e conoscere le sue virtù, ella è secca nel secondo, e cal∣da nel principio del primo grado megliore è, se ella è gioue∣ne, e presa nella caccia d' inuerno, e la carne col sereno della fredda notte si frolli. I Leporoti son più soaui, gratial stomaco, e si debbano cuocere in acqua, vino e saluia, ò arrostiti con saluia & garofoni, ouero datòli prima vn bollore fattone in pasticci: giouano à tropo grassi, fan buon colore in viso. Di più il sangue della Lepre fritto, e manucato, gioua alla dissenteria, alle posteme dell' in∣testini, à i flussi inuecchiati, rompe la pietra delle reni, & vissica; il suo ceruello arostito gioua à tremor de mem∣bri, il quaglio beuuto con aceto gioua al mal caduco, il bagno fatto col brodo di essa gioua à podagrici: ma tardi si degerisce, genera grosso sangue, restringe il ventre, fa dormire con sogni fastidiosi, causa malenconica, non ar∣recca buon nutrimento: ma si corregge con lardo, ò altro grasso, & con molte specie aromatiche.

A.

[ 57] O la? che carnaccia è questa, dubito che non fia di Mon∣tone?

P.

Cotesto io non credo per esser simile a quella di Beeco, che per non hauer in se alcuna virt, è stata sbandita dal∣le honorate mense, & quasi altresi è della pecorà, qual fa nulla di bene, e molto nuoce, nulladimeno io credo souente il Macelaio queste vendere per carne di castrato, & il toro,

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ò vaccha vecchia, come lo Cncco per bue tenero, e gioucane, e per imbarcarle, con falsi giuramenti, inuiàno la lor a∣nima all' l'inferno, dal quale, si come mai restituiscano il mal guadagno, cosi mai la sciogliano, ne quelli, che cotai beni possedano.

A.

Tru lquieua via questo piato, e mette o Porco quel pezzo di domestico.

P.

[ 58] Egli è caldo & humido, mail lattante via più humido, e le porchette son pessime (dica che siuoglia qual siuoglia mez∣zo dottore) ma quello che che è ne picciolo, ne grande, è as∣sai migliore, massime essendo maschio.

A.

Ma quale è la causa che cotanto lo biasimate?

P.

Perche le sue male qualità altresi lo biasimano, nuocendo à dilicati, genera le podagre, le sciatiche, massime il lattante pur la sua tropo humidità, e viscosità, fa molte escrementi, facilmante si putrefà, e ciò che nel stomaco ritroua, conuerte in humoricatitui, causa grande copia di flemma, dolori co∣lici, pietre nelle reni, & opilatione di fegatò, l'assogna sua rilassa il stomaco, leua l' appetito, prouocà nausea, & facil∣mente si conuerte in collera, non dimeno fa copiosissimo, & lodeuole nutrimento, mantiene il corpo lubricò, prouoca l'orina, il presciuto suo eccita l'apetito, cotto con l'altre carni, li da più sapore, fa meglio gustar il bere, & incide le flemme, ma li porci, ò domestici, ò saluaesicchi, ò seluaggij, ciòe, cignali nutriti de quolle canne, d'onde si cauca il zuc caro nell' isola di S. Thome, sono ottimi da manucare.

A.

Costi sono alcune sorti di fegàti, non so, se di vitello, vi piace di gustarne?

P.

[ 59] Alqune parti d'ell'animali sono megliori dell'altre, perche l'estremità come collo, piedi, coda, rispetto all'altre, sono dure, di poco nutrimento, quantunque più saporite, meg∣liori però sono le parti circal'ali collo, ptto & dorso, il ceruello è pessimo, altresi il fegatò, perche tardi si di∣gerisce, e fatica il stomaco, ma se l'animale maschio quadrupede sia ingrassato con ficchi secchi, il fegat dè

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delicatissimo, d' ottimo nutrimento, e sana quelli che tra∣montando il sole perdon la vista, tale effetto fa quello dell' occha ingrassata con latte, e quello ancor della galina, & porco ingrassato con ficchisecchi.

A.

[ 60] O che si siamo dimenticati di mangiar vn popò di latte.

P.

Il meglio è l' humano, il secondo il vacchino, il terzo il pe∣corino, il quarto il Caprino, l' vltimo è il Buffalino; accre∣sce il ceruello, ingrassa, gioua alli ethici, ma più (dopo ha∣uer fatto vn sedagno nel fine de capelli del collo dell'in∣fermo) quello d' Asina, Licua l' ardor dell' vrina, fa di bello colore il corpo, accresce il coitó, leua la tosse, allarga il petto, ristora ij conualescenti, e tisici, beuendone tre oncie con vn poco di zucaro dentro, e dindi non mangi nulla, non beua, non simoua, ne dorma, fin che non sia di∣gerito: man nuoce alla febre, al dolor di capo, à colici, all' infermi occhi, a catarrosi, all pietra, all' opilati, à den∣ti, & alle gengiue: ma si correge alquanto infondendogli vn poco di sale, ò zuccaro, ò mele, accio non si congeli nel stomaco, è si deue bere à digiuno: ma nuoce à vec∣chi, e à debili di stomaco, ma gioua à collerici.

A.

[ 61] Ma che non ciè altro da manucar sta mane: mentre che vengano l' altri cibi, dagli vn becchiero di vino.

P.

La ceruosa altro tanto fatisfa al mio stomaco, altra che horae siamó in Inghilierra, e non in Italia.

A.

Iscusatemi, le nostre borse cosi son atte à producere buoni vini, come le valli, e colli Italiani: dagli del vino. Sei sor∣do? colui sta costì credo, sol per far numero, ò come segno di bettolà, ò di tauerna, ò più tosto, come leuantino, per leua∣re qualche cosa da ródere in vn canto: beuete signore che il buon pro glifaccia.

P.

Parmi sol nel auuisare il vino, come diuino, hauer

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virtù di allegrar l' occhio, si come nell' interno, di viuifi∣car il spirito.

A.

Certo egli è vn liquore soauissimo via più diletteuole, dalla natura humana molto bramato, & abbracciato.

P.

Ogni cosa che nudrisce, è cibo, & ei tra le cose che si beuano, molio più nudrisce, letifica il cuore, l' humido radicale, & tutte le facolta restaura, aggiuta la digesti∣one, e generation del sangue, incide la flemma, colorisce i membri, rissolue la ventosita, prouoca il sonno, ristora l' astenuati, apre l' opilationi, riscalda il cor freddo, e rin∣fresca il caldo, disseca l' humido, & humetta il secco, & molte altre sue virtù tralasciando, egli è della humana vita sicurissimo sussidio, quindi l' Antichi la sua pianta Ʋite, quasi vita, & altri esso magna Theriaca chiamo∣rono.

A.

Ma fra tante sorti, che vi sono, qual più lodate?

P.

Il mondo, puro, chiaro, chi tiri al rosso, detto cerasolo, di luogho montoso, di ottimo odore, che accresce il spirito, nu∣drisce benissimo, & genera ottimo sangue, che sia di grato gusto, che perciò è singular remedio à quelli, che per dolor di cuore, ò stomaco, ò di capo vengano meno; che non sia agro, ue dolce, perche infiamma, fa pilationi, riempela te∣sta, & l' acerbo nuoce à nerui & al stomaco.

A.

Ma si come son tutti vini, non altresi, han eglino la me∣dema natura?

P.

Son tutti vini, ma si come l' huomini sono di varia, e di∣uersa complessione, cosi essi parimente di diuersa sorte; perche il nuouo mosto, è difficile da digerire offende il Fegato, & intestini, gonfi il ventre per la bollitione, ge∣nerà ventosita, fa sognar cose terribili; ma solue il corpo. Il vin vecchio quanto piú fi inuecchia, tanto piú di calor diien potente, nuoce alla calida cmplessione, ma gioua à vecchi, & flemmatici, ma à chi l'vsa molto disseca il sem,

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perturba l' intelletto, impedisce il sonno, con simil' altri in∣conuenienti: ma il vino dolce, nuouo, è caldo, & humide temperatamente, nell' Inuerno gioua à gioueni, e collerici, e per quelli ch'hanno il stòmaco gagliardo conforta il spirito, e prouoca il coito, inimico è a vecchi, & flemmatici, ma se egli è torbido, grandemente nuoce: il vino dolce maturo, è caldo nel secondo grado, & humido temperatamente, il megliore è quello, che è lucidissimo allo vista, & transpa∣rente, diletta il gusto, gioua al petto, e polmone, e nudrisce molto, ma opila il fegato, la milza, empie la testa, fasete, e genera pietra nelle reni, e nuoce molo collericiper conuer∣tersi in collera, ma conuiene a vecchi nell' inuerno.

A.

Mase egli fosse brusco?

P.

Il brusco agrestiuo, pontico, ò stitico, & acerbo, tra di questi c' è poco differenza; ma propriamente il brusco difficilmen∣te agiogne al primo grado di caldo, & seccho è nel secondo, gioua nel gran caldo, al fegato infiummato, & alla febre, Efemerà, ò diaria sana il flusso & il vomito, ma non deue esser acetoso, ne molto austero gioua à colirici, & alle na∣tute calde, nuoce à flemmatici, & à vecchi per dar poco nu∣trimento, restringer il petto, eccitar la tosse, ne per dar buon nutrimento, ne far buon sangue.

A.

Ma che giudicate del rosso?

P.

Nel fine del primo grado è caldo, nel resto è temperato; es∣sendo sottile, chiaro, & simile à vn Rubino, mlto ben nu∣drisce, fa buon sangue, leua la Sincope, fa i sonni giocondi; ma il grasso graua il stomaco, nuoce al segato, e milza, fa∣cendo opilatsoni, tardi si digiscc; il vero dolce è più nutri∣tiuo, e opilatiuo, e genera humori melenconici, ij rossi dol∣ci son pettorals; ij rossi chiari, e raspanti fanno orinare.

A.

Ma noi, che così souente vsiamo il bianco, che ne dite?

A.

Quello che è di clor di Cedro, & odorifero, & potente, è

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caldo nel principio del secondo grado, & secco nel primo, non vuole passar vn anno, perche sarebbe troppo caldo, deue esser splendido d'uue mature, e di colline, resiste alli veleni, e putredini, purga le vene dall'humori corrotti, fa buon colore, accresce le forze, ralegra il cuore, con∣forta il calor naturale, prouoca l'orina, il sudore, il sonno, gioua alla quartana, alla diaria, conforta il stomaco, dis∣cretamenta vsato, gioua in ogni tempo, & età, e comples∣sione, ma beuendone tropo, nuoce alli membri, e capo debile.

A.

Quanto, per vostra gentilezza, m' hauete sin qui narrato, assai mi piace, e dal tutto racoglio altre volte giouare, & altre fiate nuocere il vino, ma acciò non nuocer ci possa, qual cautella potremo vsare?

P.

Il tropo potente sempre deue esser inacquito al quanto, ò con acqua semplice, ò con decottione d'anisi, ò coriandri preparati, l' acqua deue esser sol di tanta quantita, che possi leuare il feruore, & euaporatione, & acciò che la mistione sia migliore, s'inacqui vn'hora, auanti che si beua, il debile per niun modo inacquar si deue, per indebelire, inhumidire, & generare ventosita, non si deue bere vino dopo pranso, ò cena, finche non sia fatta la concottione, che prima beuuto l'impedisce: non si bebbe con neue, ne con ghiacciata bere, nuocendo al ceruello, nerui, petto, polmone, stomaco, intestini, milza, fegato, reni, vessica, e denti: per il contrario all'vsanza dell'antichi grechi, ris∣caldato notabilmente gioua à molte infirmita del petto.

A.

[ 62] Ma chi ne beuesse à digiuno?

P.

Perturba l'intelletto, induce spasmo, molto nuoce al ceruello à nerui, & alle gionture, riempe la testa, d'onde procedan li catarri, e massime nuoce à catarrosi, & à deboli di capo: e pùr hauendone tropo beuuto, prendasi sei, ò otto grani di mor∣tella, e non cessando perciò il dolore, si prouochi il vomito.

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A.

Si puo al vosto parere vsare dopo gli frutti?

P.

No signore, in graude quantita, perche accèlera tropo il penetrare della malitia loro à membri, ma beuendone in poca quantita, corregge la malignita de cibi.

A.

Ma doue nella medema mensa s'vsano diuersivini?

P.

Preceda il debole, e nel fine si beua il più potente; confor∣tando la bocca del stomaco, & aggiutando la digestione: ma quanto il cibo è più, grosso, e frigido, tanto si conuiene vino gagliardo; ma essendo il cibo molto sottile, e caldo, e digestibile, si dee vsare vino via più debole: e regolarmen∣te chi vsa molto vino, debbe contentarsi di poco cibo, po∣tendo malamente la Natura l'vno, e l'altro digerire.

A.

Ma quale giudicate più laudeuole il debole per natura, ò quello che con l'acqua sifa tale?

P.

[ 63] Più gioua quello con l'acqua, l' altro facilmente putrefa∣cendosi: di più auertir si deue, che quelliche stano in pae∣si frigidi, & che altresi sono di fredda complessione, più po∣tenti vini deuono bere, ma meno l'estate, e piu nell' inuerno: e finalmente diceua Platone, douersi negare il vino a fan∣ciulli: per non accrescere fuoco, à fuoco, concedere mode∣ratamente à gioueni, e abondantamente à vecchi; & ha∣uendomi partorito vna gran seccagine il fauellar di vino, se vi piace, honesto amico, recatemi vn bicchier di vino.

A.

[ 64] Se gli piace, ah? se V. S. stasse, come gli piace, certo saresti à mal partito.

P.

Dio mine guardi, è egli possibile?

A.

Ei ama li forestieri come il cane l' ossa, e' l gatto il cane, e'l Lupo l' Agnello.

P.

Cotidianamente vedo pur molti seruidori, che oltra la lor natural modestia amàno ancor l' altre nationi.

A.

Ʋoi intoppate in Antitosi, egli, credetemi, non è di quella razza; miratelo nella faccia.

Page 138

P.

Parmi che ei habbia corpo, & volto assai ben proportiona∣to, penso, altresi, che tal egli sia di mente.

A.

Ogni filosofica regola in lui falisce: dinanzi à me, ei è sem∣pre apettato, proferisce le le parolle con misura, e fauella con bilancia.

P.

Segno è di gra sapienza.

A.

Non sapete che simulata bonta, è dppio inganno?

P.

Io no' l conosco, se non il maneggio.

A.

Lo conosco ben io, però nulla opra meco ogni sua fraude.

P.

Il giudicar bene con senno, mai fu errore.

A.

Se lo vedesti, dopo ch' io gli ho volto le spalle, come ei an∣nighisse, & in qual guisa scorpacciando, se ne sta ampici∣olle, ed à panciolle ad ogn' vno, che sappia, gli veria schifo.

P.

Bisogna impiegarlo in qualche offitio.

A.

Ʋna natura otiosa riuscisse vn nulla, sapete il suo nome fa tale? ei è Asmodeo.

P.

Egli è forsi per caso, ma non per fato.

A.

S' ei non fosse per fato, con l' habito l' ha fatto tale: tan∣tosto ch' io son sortito, ouero, che vdire, ò vedere, ne attra∣uersar no' l posso, subitò tramuttandosi in Ansima, comen∣cia arrangolare, & arrancarco l'altri.

P.

Forsi non senza occasione.

A.

Proposito, subito s' accordan insieme; indi si transforma in vn attafanato Asioma dell' enormal libidine:

P.

Sian tutti di carne.

A.

Si, ma egli alla mia presenza con simulata hipocrisia finge d' esser vn santo, e sempre dimostra, e narra Antonio, Pe∣tro, e Martino, e più volentieri qualche forestiero, esser immerso in ogni vitio, ne si fa conscienza, di dipengerlo tale, quale è egli proprio, ma mentre l' altri falsamente in∣fama, se stesso per infame manifesta.

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P.

Da falsa, ad heretica lingua c' è picciol interuallo.

A.

Oltro di ciò, sortito ch' io sono, senza dimora, di sotto, e più volentier di sopra, arrouelando per amoraccio con af∣singhiozzatti sospiri, à capo leuato arrichiando, se ne va as∣silando, e spilando hor l' vna, hor l' altra delle più fresche, gioueni, e belle, ne mai egli si stalla, finche troppo à sua vo∣glia, incontrando che solo aspetta di sfogar sua rabbia, seco s' attalenti; ma prima motteggiando, ghignando, sorriden∣do, e scherzando con Asinini, e Buffalini gesti, senza esser getata, l' vna dopo l' altra da se cadendo in croce, s' attu∣fin insieme; senza però, che elleno perdano, ne scemino vn quanquo della fama, titolò, e nome di vergini, ne meno d' honestate, che per fauore della dishonestà, tutti per hone∣sta la diffendano, e la dishonestà, della honestà gli è vnico∣manto.

P.

E forsi vero amico?

A.

Dimandate all' hosto, se ei ha buon vino, mirategli l'estre∣me parti, ha Aristocratia sopra le donne.

P.

Di che casa è egli?

A.

Ei è apocrifa, & apocrafo della crapulo, arcdito della lii∣dine, ed archetipo dell' hipocrisia.

P.

E giouene, ancor si può emendare.

A.

Deh signore, credetemi, ch' io non scherzo, quanto più so batte l'incudine, via più annerra.

P.

Pùr col tempo, e colpi ei si consuma: altresì l' huomo.

A.

Si muta, ah? souente prima l' vso, ò la rugine lo distrugge: ma se pur egli si muta, si muta quando li vitij lo lasciano: in lui l'apologò nulla vale.

P.

Dubito, vedendolo cosi ben vestito, sia il vostro fauorito, e però V.S. per affettione fauella.

A.

Il mio donargli vestiti di seta, e ricchi ferraiuoli, è vn espres∣so segno della mia follia, & vnica causa della sua insolenza, e transcuragine.

Page 142

P.

Crederó forsi io, che ei sia d' vn cotal animetto, cieco, bas∣so, ingrato, & che insuperbisca nella sua miseria? se egli porta vestiti altrui, & vsa liurea, può ageuolmente discer∣nere; se egli ha senno, che altresi seco porta vn visibil freno della sua superbia, vna manifesta marca, e continua me∣moria della sua viltà, & abiettione; e quanto più egli ri∣ceue, via più restar obligato, altrimente esser ingrato al suo benefattore.

A.

Egli mirandosi, e vedendosi ben addobbato (come vn altro animuccio, men suputo del Pauoue, senza osseruar i pie∣di della sua bassczza) di cotal frontispitio tanto si gonfià, che comencia signoreggiando adocchiar le giouinete, edon∣ne di casa, dico sian, che si voglia: arroscisse, di più, di se∣guitarmi, e di far gli seruili affari, ma, come padron pa∣drona, e patroneggia, commanda all' altri, sede nel primo, che ignorantazzo degno non è di star nell' vltimo luogo, e cosi arrogantemente ascendendo di grado, in grado, pieno di ignoranza, e d'ogni vitio, si pasce sol d'arroganza, e cie∣ca prosontione di se stesso: ma se nell' auenire, tenendolo più corto, sarò più cauto, lo gusterò ben io.

P.

Iscusatemi signor mio, dubitò che tropo confabulando nel pranso non prolonghiamo il tempo della mensa, & che il primo cibo sia digerito prià, che l' vltimo, e cosi le parti del cibo si faccino dissimili nel digerire, d' onde ne segue cor∣ruttione, & putredine, come quasi poco meno, che il ma∣nucar tra pasto, aggionendo cibo, à cibo.

A.

Hor ecco altre megliori viande, arrostite, capponi, cunigli, vccellami, & altrisomiglianti, cibi propriamente creatiper li figlij d' Iddio: non vi spauentate de morti; fate coraggio.

P.

Tanto apetito hauasse io qnanto coraggio.

A.

Notate che con vn sol stramazzone leuo vna coscia, con vn fendente taglio vna ala intiera, e con vn ridoppio falso, & vn ditto insieme, spetto questo cappone. Pigliate, e godete cotesto per amor mio: e fratanto mirate vn sgerro della no∣stra etade.

P.

Non solo per vostro amore, ma peo amor mio, lo piglio.

Page 144

A.

Ah, ah? vi gusta, e si vi addossa ah?

P.

[ 65] Il gallo castrato è temperamento in tutte le qualità, ma questo mi per vn de megliori, per esser giouane, grasso, ben posciuto, & alleuato alla campagna aperta.

A.

Certo, che mi gusta.

P.

Con ragione, dando bonissimo nutrimento, più, che qual si veglia cibo, accresce il cioto, in bontà eccede ogni altra carne generando perfetto sangue, agguagliando tutti li humori, facendo buon ceruello, eccitando apetito, conue∣nendo à tutte le complessioni, giouando alla vista, fortifi∣cando il calor naturale, pur che ei non sia tropo grasso. Che cosi è buono à tutti ij tempi, in tutte l'etadi, à tutte le complessioni, d'onde da molti è neminato Quapone: tutta via nuoce all' otiosi il manucarne molto, e generando gran copia de sangue, fa venir le podagre, à che esso è ancor sottoposto.

A.

Dunque tastaremo qualche vccelaccio, che ne dite?

P.

[ 66] Ʋndique angustie: la differenza della natura dell'vccelli si discerne dal tempo, dall' età, dal vitto, dal luoco, dall'aere, dall' esser castrati, perche quando vanno in amore, ò do∣mestichi, ò saluatichi che siano, sono poco atti a cibare i nostri corpi, le galline per ingrassarsi nell' inuerno, e farsi tenere, all'hora sono megliori, come anco le merle, i tordi, l'oche siluestre, le grue, e tutti l'acquatici, l'altri vccelli sono megliori nel tempo delle messi, e frutti.

A.

Ma di doue auiene, che le lo carni hanno diuersi odori?

P.

Dalla diuersità di cibi, e quelli sono megliori, che stano sopra li monti, e li castrati se si può fare, come vediamo ne caponi, e gli più gioueni si preferiscano à vecchi.

A.

Ecco vna Anitra, voglio farne vna chiurgica anotomia.

P.

Il quoco col leuarli il capo li ha leuato il motto, co ar∣rancargli il cuure, le leuò la vita, ed il fuoco li ha con∣sumato l'humor radicale de corpiccini, ò membra, talche V. S. tropo tardi è sopragiona.

Page 146

A

Manucaremo vn popò del petto; del remanente segùiremo il consulto di Martiale, caetera redde coquo.

P.

[ 67] Il Poeta entrado in cuccina affumicò la poesia col senno: l' Anitra è calda, & humida nel secondo grado, & è più calda d' ogni altro domesticò vccello, le sue ale, & fegato son molto lodati, dando presto, e buon nutrimento; se ella è grassa, ingrassa, & nudrsce molto, fa bon colore col suo calore, rischiara la voce, accresse lo sperma, accende la libidine, caccia la ventosita, fortifica il corpo. Il suo fe∣gato è delicatissimo, e sano, e sana il flusso hepatico; il suo petto, e collo è assai lodato: ma dura è da digerire, e fa es∣crementitio nutrimento.

A.

Ma quali sono le men nociue?

P.

Le saluatiche, e gioueni, e frole al sereno, e se si mangino nell' inuerno, & arostite piene d' herbe odorifere, & specie; le vecchie son pessime, le liberè però alla campagna sono al∣quanto megliori.

A.

Lieua questo piato, & arreccami quei Melancorifi, ò becca fichi.

P.

[ 68] Benedetto sia il vento, che ci porta cotesta bona mercatan∣tia de Melancorifi col capo nero; sono humidi, e caldi nel primo grado; nelle taucle de Signori sempre sono ij ben ve∣nuti, per esser al gusto delicati, facilmente si digeriscano, e nutriscano valorosamente; non agrauano il stomaco, malo confortano, ristorano, fortificano, risuegliano l' appetito, massime de conualescenti, sono cordiali, generano spiriti vi∣tali, e fanno stare allegro: ma nuocano à febricitanti, per∣che per la lor gentil sostanza facilmente si conuertano in quelli putridi humori, che son nel stomaco.

A.

Costise ne sono cinque, due per me, e tre per voi.

P.

Ma perche tre à me, e due à voi?

A.

Perche per la lode datagli douete hauerne per raggion di giustitia distributiua, vno di più per merito di superoga∣tione.

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P.

Oh, oh! si come di cuor lo date, altresi di cuor l'accetto.

A.

Tu testa di bue porgimi quel piato di colombi, ò picchioni, che siano: Signore mentre che si può, fa di mstieri manuca∣re, che quando la morte, s' accoglie saremo mangiati.

P.

[ 69] Quanto più deuoriamo, via più procuriamo, d' ingrassarsi per vermi.

A.

Lasciamo meditar tai cose à melenconici; tastate questo co∣lombo, credetemi, che ei è saporito.

P.

Sono caldi, & humidi nel secondo grado, gli saluatici sono meno humidi, ma più caldi, quelli di colombaia, che ci co∣menciano à buscar il vitto, sono più grassi, ma cotesti, e li casalenghi nutriscano bene, fan buon sangue, sono ottimi per ij vecchij, & flemmatici, corroborano le gambe, sanano gli paralitici, accrescano il calore à deboli, aiutano Venere, purgano le reni, e facilmente si digeriscano: vsandoli nel tempo della peste senza manucar altra carne, saluano dalla contagione, aggiutan li spiriti visiui, il tremor del corpo, & accrescano le forze: ma infiamando il sangue, offende li calidi di complessione: ij casalenghi, & siluestrisono più du∣ri à digerire; e anco febrosi.

A.

Dunque li lasciaremo à vecchi, paralitici, & flemmatici, acciò non ci aggrauin con dolore il capo, doue è il Fagiano, che ordinai, che fosse presto?

P.

Ei è appresso il foco.

A.

[ 70] Cotesta è tua politia, per inuolarlo: che bocca da Faggiano ah? mettelò in tauola che sij scopato.

P.

Ben ritrouato sia tal buon compagno; ma dubitò, venendo egli di cosi lontano, ciòe dal fiume Fase di Colchi (doue n'è gran copia, e donde ne riceue il nome) pel longe volare si sia spellato, e da raggij del Sole cosi ben arrostito.

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A.

Godete questa parte per mia memoria.

P.

Cotesta carne in tutte le qualità è temperata, e mezzana tra la Perdice, e'l Capone: gli gioueni grassi, e presi in cac∣cia, son li migliori: è cibo conuenientissimo alla natura hu∣mana per la sua temperatura, corroborà lo stomaco, mol∣to nudrisce,, ingrassa, i macilenti, & astenuati, con tal cibo subitò si rifanno, cosi alli ethici, le tisici, accresce, e vigora tutte le virtù, ne genera souerchia humidita, & in somma, cotesta carne per esser vn poco più secca, è megliore di quel∣la de polli, si anco per l' aira, per il nutrimento, e maggior esercitio, che fa eccede ogn' altra: ma vsandosi souerchia∣mente genera le podagre, ne, per arreccar tal carne sangue sottile, è conueniente à chi s' affattica assai à cui conuiensi grosse, e viscose viuande. Ma hor hor misouienne in Ita∣lia hauer vdito vn Medico, che consigliaua vn Signore, e gli daua cotesta regola: sobriamente vsate il fagiano Signore, ma largamente fatene parte al vostro Me∣dico.

A.

Alcuni Medici, molti Legisti, e Giesuiti, son dalla natu∣ra del Gallo, ch'altro nonfa, che cantare, raspare, beccare, &c. facil cosa è dopo l' essersi pascuiti pradicar l'astinenza, e nulla patendo, ne men volendo patire, suadere la patien∣za all' altri. Auicina quelle galline.

P.

[ 71] La Gallina fu sempre la mia diletta, per esser temperata in tutte le qualità, la negra è megliore con la cresta eleuata, e doppia, col pizzo rosso, se però sia giouene, e grassa, e che ancor non habbi fatto vuoua: ma le saluatiche son le me∣gliori, molto nutriscano, presto si digeriscano, essendo frolla, genera buon sangue, ristora l'appetito, accresce l'inteletto, fa∣buona voce chiara, mirabilmente tempera le complessioni humane.

A.

[ 72] Credo l'istesso faccino ij polli, e polastiri, però ne voglio sag∣giare.

P,

Quelli che ancor non cantano, ne montan le galline, essendo all'hora in lor testicoli di grandissimo nutrimento, conuegano in ogni tempo, & ad ogni etâ, massime nella state, ma le gal∣line vecchie sono di dura digestione, e bisogna ben frollarle, il

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che si fa presto, affocandole viue col vino, facendo bollire con esse vn rametto difico, o ponendo vna noce nell'interiora.

A.

[ 73] Ma se fosse vn Gallo, e non Gallina?

P.

E più caldo, piû secco, e più nitroso, son boni per medicine, che il lor brodo beuuto, è ottimo per la ventosit â, gioua al colico, moue il corpo, prouocà Venere, e sonno.

A.

[ 74] Ma se fosse gallo d' India?

P.

Più tosto d' Afrcà di doue in Europa furno portato, egli è caldo, & humido nel secondo grado, gli megliori sono gli gioueui ingrassati alla campagua, morti, et frollati all' aira notturna, di sapore, di bonia, di nutrimento non cede, come ne anco la lor carne di candidezza a i polli nostrani, più facile è da digerire, di maggior nutrimento, e minor su∣perfluita, genera ottimo sangue, pur che sia ben frollo, e ben arostito, ò cotto in forno, restaura ij deboli, e destando ij morti, inuita al coito, che vene pare? non è di gran virtù? ma à chi otioso troppo ne deuora, li lascià, con la podagra, la ben andata, e di molti catarri vna manza liberale.

A.

[ 75] Porgimì quelle lodole, ò calandre che siano: vi piacciano Sig.

P.

Son calde, e temperatamente humide, arrostite eccitano l'apetito, facilmente si digeriscano, massimè arrostiti con saluia, ma sian grasse, e ben cotte, e gioueni, l'autunno, e l'inuerno conferiscano ad ogni complessione, e senza nocu∣mento alcuno, solo che â ij vecchi difficile è alquato per digerire, ma la galerita lessa in brodo gioua à colici dolori, e le sue ceneri vagliano al medemo, e questi accelli spel∣lati si conseruano nella farina.

A.

[ 76] Eccòci de Merli, spero almen per compagnia V. S. ne manucara vno.

P.

Son caldi, e secchi nel principio del secondo grado, presi ne tempi freddi, sono ij megliori, e massime se siano gio∣eni, e grassi, il Tordo à piú oaue, li Merli, e specialmente ij vecchi, son duri da de gerire, nuocano à vecchi, e à quelli che patiscano hemicranea, e frenescia, ma stufati con petrosemolo

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& herbe aperitiue son men nociui.

A.

Accosta quell' Ocha, ò Paperò, ò Paperello, ch'egli si sia.

P.

[ 77] Il Paperò è megliore, si come è ancor più calido, & humi∣do, ma le lore megliori parti, sno l' ale, e' l fegato; la car∣ne d' Ocha dando buon nutrimento, ingrassa ij macilenti, ma se ellenò siano pasciute di latte, fanno il fegato assai gic∣condo, di piu tal carne accende libidine, tutta via sauio sa∣rà, che dal gustar, si carne di oche, come di donne, si patrà astenere.

A.

Lieuami dinanti questa ocha, &, reccamili Conigli.

P.

[ 78] Egli è vna picciol Lepre, dalli quali, si come ij cattiui solda∣ti imparorno in voce di combatere, darsi alla fuga, csi l' a∣stuti, da questi furno instrutti à far le mine: onde il verso:

Gaudet in effossis habitare Cuniculus antris. Demonstrat tacitas hostibus ille vias.
Egli è freddo, & secco, ma meno della Lepore, secca è la sua carne, e di megliore nutrimento, consuma l' humidita superflua, e flemme del stomaco, prouoca l' orina, gioua à quelli che patiscano l'Elefantiasi, ma deuano esser gioueni, & grassi; nuoce nulla dimeno à melanconici, e vecchi, non so∣no grati nella state, ma megliori nell' inuerno; ma primo bol∣lendosi vn popò, indi arostendolo con garofani, noce moscata, canella, e lardo sarà coretto.

A.

Ma à che proposito c'arrecchi hora cotesta cōpositione d'oua?

P.

[ 79] Ouum alit, & recreat, coitum{que} & semen adauget: sono calde, & humide temperatamente, il bianco è freddo, & humido, il rosso è caldo, & humido, le fresche di Galline calcate di Galli, son le megliori, depoi quelli di Fagiano, ma quelle dell' Oche, & Anatre son difficili da digerire, e di mal odore. L' oue picciole, e lunghe, e fresche di Galli∣na, sono megliori, picciole, perche son fatte d' animal gioue∣ne, & grasso, lunghe, per dimostrare la fortezza del calore.

A.

Ma con tutto ciò, che giouamento dano?

P.

Molto nutriscano, prouocano il sonno, però molto conuengano à vecchi, eccitauo il cito, giouano à tisici, allargano il

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petto, rischiaran la voce, massime le sorbili, e tremule; quel∣le, che si chiamano sperdute sono megliori con sale, e spe∣cie: ma le fresche così si cuocano, si mettano sopra le ce∣neri calde, e con vna bachetta longa pian pian si van vol∣tando, acciò ch'vgualmente si cuocino, ne il fuoco le faccia crepare, e dopò che haueran sudate, son preste, si gli leua col coltello, d' vn capo, tanto guscio che possa vscir il giallo intiero, si condiscan con zuccaro, canella, & vn popò di sale, e si sorban nella mane, che dano grande sostanza, & il lor sudore vsato caldo, lieua il liuore, ò rossore delle ci∣catrici, come anco fa la frescha carta vergine: ma l' oua dure sono difficili da digerire, e più le fritte: e tra l'altri inconuenienti che causano, sono le lentigini; il correger og∣ni lor vitio è manucar le fresche, e solamente il torlo, & apresso nulla pigliare.

A.

Piace à V. S. di gustar due Passeri?

P.

[ 80] Ohime che di calidita eccedan ogno altro animale, oltra che, si come ho sempre hauto in esoso la dishonesta lussuria, così questo animale, per esser cotanto lussurioso, che mai si satia, di montar, e di calcar la passarella: pur nel tempo delle Messi sono megliori, tutta via, per esser troppo sec∣chi di natura, son di dura digestione, generan malenconia, e colerà, infiaman il sangue, & accendan libidine: ma il passere Trocloditide ha mirabil virtù contra le pietre delle reni, & vissica.

A.

Lasciamo che li villani, per lor vendetta se li manghino: porgiquelle Perdici, ò Starne montane col becco rosso.

P.

[ 81] Mase fosse vn giouene Pernicone? dite che sarebbe me∣gliore: è di calda, e seccanatura, tenero, buono, e sottile nutrimento, facilmente si digerisce, ingrassa, e disseca l' humidita del stomaco; è meglior della Gallina.

A.

Chi ciò, non conosce?

P.

Accresce il coito, non lascia far corruttione nel stomaco, e mirabile per quelli ch' hanno il mal

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Francese, il lor fegato gioua al mal caduco: ma le ve∣chie sono cattiue per la digestione, generan humor melen∣conico, e restringan il corpo, ma frollandosi con freddo se∣reno si corregano. La Starna è come la Perdice; di più;

Cit Venerem, huic caedit Gallica dira lues.
Che chi per vn anno intiero ne manuca vna ogni di, & non altro, perfettamente sarà guarito.

A.

Ma dopo che qui sono presenti per seruirci, non vogliamo manghiare vna Quaglia, Storno, Tordo, & vn Tortore?

P.

[ 82] Bisognarebbe hauere vn forno, no vn stomaco per ripporre, e digerire cotanta materia: la Quaglia gioua à malenconi∣ci, che con la lor humidita temperà la siccità di quell' hu∣more, e nudrisce assai. Il Storno, grasso, e giouene, gioua alli astenuati, ma pascendosi di cicuta communemente è cattiuo cibo, se non manghino l' vua.

A.

Manucarem dunche del Tordo, questo è perseruiri vi.

P.

Gli baccio le mani. Nel tempo dell'inuerno sono ottimi, ma si∣ano grassi, e subitò arrostiti senza cauargli l'intestini: Male Tortòre gioueni ben nutriscan, presto si digeriscano, accres∣cano il coito, assotigliano l' ingegno, son buoni con garofani, e succo di Aranci per il flusso, e dissenteria, ma le vecchio nuocauo à collerici, & malenconici.

A.

Che più non manucate? la perseueranza è quella che ci co∣rona.

P.

Si nelle buone apre; però Iddio nel vecchio Testamento pro∣hibiua à sacrificargli animale, che non hauesse coda, e nel nouo è scritto, chi perseuerara sarà saluo.

A.

Ʋedo che sete buon Christiano: lieua questi vccellami, e porta de pesci.

P.

[ 83] Deh padrone mio, i pecsci, & carni alla medesima mensa si prohibiscano affatto, e cosi il latte, ò latticinij perche insie∣me manucate causano molte cattiue infirmità, ne men si conuengan con l' oua.

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A.

Oh che midite? hauea talento di inghiotirne vn poco.

P.

[ 84] Penso sta mane vogliate deuorar il tutto, li giorni son spessi, e più frequenti li pasti, oltra che i pesci, rispetto àlle carni, sono di minor nutrimento, ma grosso flemmatico, frigido, è pieno di superfluita, difficili à digerire, in segno di cio causano sete dimorando longo tempò nel stomaco, e spesso si corrompano, quantunque però i marini, e sassa∣tili siano megliori: la lor repletione è pessima, e se si man∣ghiano dopo grande essercitio si corrompano facilmente, et à chi è debole di stomaco, ò pieno di mali humori, ò vecchio, se ne deue per ogni modo astenere.

A.

Ma questi sono marini, non vi adirate contra ij nostri pesci, che son più calidi, e per la salsedine dell' acqua, men humidi, di maggior nutrimento, che quelli dell' acque dolci, non però restano, come vi dissi, d'esser vitiosi, che ne il più, ne il meno lieua la natura della specie, nulla dimeno giouano à colerici, & crescan il sperma, ma non deuano esser molto grandi, ne di carne dura, ne secca, ma quelli delle acque morte, credetemi, eglino son pessimi, si come anco è ogni otioso.

P.

Mi darete pur licentia, acciò il lor arriuo non sia indarno, che ne gusta vno.

A.

[ 85] Doue è auttorita, non si conuien licenza, manucate, se vi piace, quello arrostito sopra la graticola, che egli è più sano, essendo maritimo, ò di acqua corrente, e fatte scoprir il piato, accio passino essalar i vapori.

P.

Il pesce assai mi diletta, e piace, però mi spiace ehe poco gioui, & assai ei nuoca, se ci fosse qualche regola, ò modo d'usarlo senza ulcun danno, ma giouamento, certo mi sa∣rebbe grato, si come altresi egli mi è grato.

A.

[ 86] Il carpione, qual è caldo temperatamento, et humido nel principio del primo grado, è nobilissimo tra tutti li pesi, dite∣nera carne, d'ottimo nutrimento, et in ogni modo acconcio,

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sempre è soanissimo ma per esser di gentile carne, presto si corrompe.

P.

Non c' è modo di conseruarlo?

A.

Gli leuino subitò le scaglie, e le budella, si fa star nel sale per sci hore, dindi si frigge nell'olio, poi siasperge sopra d'ace∣to di vino, nella quale sian bolliti garofani, pepe, canella, e zaffarano, e tale è buono in ogni tempo, ad ogni età, & ad ogni complessione.

P.

[ 87] Ma io manuco di questo Granchio, che à tisici gioua, prouo∣ca l'orina, accresce il coito, & conferisse à colerici: gli Gam∣marison buoni per li ethici, & i consonti, ingrassandoli, & co la lor tenace humidità risistano alla colliquatione de i membri solidi, & con la frigidita al calore strano innecchi∣ato ne membri, sono di gran nutrimento, & il lor brodo è buono per l' Asmatici: sono ancor buoni per ij sanguigni, e cholerici.

A.

Ma che vi par di questo Luccio? quanto à me molto mi piace.

P.

C' è in lui poco da ridere, però mi fate ridere, che egli molto vi aggrada; tutta via per consolarui da assai nutrimento, ma non assai lodeuole; seguitate il mio consiglio, lasciatelo, ma pigliate le sue mescelle, abbrusciatél, e ridotte che sono in pura poluere, beuute con vino, al peso d' vna dramma, rompono la pietra.

A.

Che direte, che in Italia manucano le Lumache, e le Ra∣nochie?

P.

[ 88] In picciol cosa Iddio, e la Natura souente nasconde gran secreti, la Lumaca gioua al stomaco, ben acconcia è grata al gusto, assai nudrisce, ottima è per i tisici, smorza l' ar∣dore della collerà, e la sete, prouocà il sonno & è ottima per li ethici, ma nuoce à flemmatici, & alla pietra.

A.

Quantunque, ne alla vista, per esser cornuta, ne in cibo mi piaccia, piaccionmi nulladimeno le sue virtù.

Page 164

P.

[ 89] Le Ranochie grandi, scorticate, decollate, indi cotte lesse con olio, e sale manucate sono la Theriaca de i veleni di tutte le Serpi: la lor decottione fatta con acqua, & ace∣to, vale à dolori di denti, alla lepra, e spasimi; sono vtilissi∣mi à tisici, la medema decottione gioua alla tosse antiqua: massime cotte in brodo di pollo, prouocano il sonno; ma quel che è più, per esperienza io ho veduto, che la cenere della lor fiele beuuta con vino, al peso d' vna dramma, sa∣na la febre quartana: & le Rane peste nell' impiastro dell' Eccellente Vigo, è ottimo per il mal Francese. Tacerò la carne loro generare putrido nutrimento &c.

A.

Hor mi souiene, ciò, ch' io mi dimenticauo, souente io vso le Tenche.

P.

[ 90] Assai nutriscano, ma difficilmente si digeriscano, & pessi∣mo è il lor nutrimento, nudrendosi ellenò di paludi: ma d' ottimo han questo, che tagliate per longhezza di schiena, & applicate alle piante de piedi, e polsi mitigan l' ardore delle febri, e l' abbreuia.

A.

Mi salta il grillo in capo di gustare cotesta Testudine, ò Tarteruecca.

P.

[ 91] E di grandissimo nutrimento, è molto vtile all' estenuati, e tisici, il sangue loro beuuto, gioua al mal caduco, della sua carne se ne fa pesti alli infermi per rinfrescarli, e re∣storarli: ma genera sangue grosso, e fa dormire assai.

A.

[ 92] La Trotta assai è al mio gusto amica, però, per non spegner la amicitia antica, voglio assaggiar il dorso di cotesta: rec∣cami quel piato tu Grandonio. Costui quanto è più alto di statura, tanto egli è più sciocco. Che attendi? non mi in∣tendi? e doue è quell' altro Mamàlucco? quanto più ser∣ui si tiene, tanto men fanno.

M.

Egli è sortito.

A.

E tropo licenza, che senza licenza vn seruidore vada, doue∣gli

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piaccia: s'ei segue ij suoi affari, li suoi affari lo nodris∣can, non lo lasciar intrar in casa, sino appresso cena, e se non vien a coricarsi in casa sta sera, voglio che dimani driz∣zi il paleto. Signore ecco, sta Trotta di cuore vi saluta.

P.

Nutrisce assai bene, presto si digerisce, ma generà humor freddo, però rinfrescail fegato, e sangue, donde è buona nelle febri ardenti, e ne tempi calidi per ij gioueni, e colerici: è cattiua per li vecchi, e flemmatici.

A.

[ 93] Lieuami dinanti cotesti pesci, che â vederli mi arreccan noia. Porta li frutti in tauola.

P.

Io non mi muouo, e pur mi sento lasso: li frutti nel reggi∣mento della sanità non conuengano per nutrimento, perche poco nutriscano, generano sangue putrido, e sono pieni di superfluitâ.

A.

Ma l' huomini l' vsano per molte altre vtilità.

P.

Così io vedo: ma essendo il vero, ciò ch' io vi dico, seguita che bisogna vsarli poco al possibile, e raro, perche quel, che si piglia per medicina, e non per cibo, pigliasi in poca quan∣tità.

A.

Ma come per medicina?

P.

Perche mitigan la collera, estringan il feruor del sangue, rinfrescan, & humettan il corpo, & per tal effetto si manu∣can à digiuno, e sopra beuesi vino inacquato, acciò presto passi il succo alle vene, e cosi oprinò, nella state ancor so∣briamente si concedan à sanguigni & à collerici.

A.

Non fanno altro effetto?

P.

Come vi dissi lubrican il corpo, e perciò si mangian nel principio della mensa, e s' intermette alquanto di tempo, prima ch' altro si manghi, e questi sono vua, fichi, pruni, mori, le persiche, e le cerase. Altre volte costringano il ventre, e à tal effetto bisogna nel principio del pasto manu∣carli, e tali sono i Cornioli, li Cotogni, Nespoli, ma sono di cattiuo nutrimento.

A.

Possibile è, che tutti, à tutti nuochinò.

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P.

Amentateui di quanto di sopra io vi dissi, à cui soggiong∣no, che son pessimi à podagrosi, massime li frutti humidi, acqnosi e viscosi per esser molto vaporosi, i freschi son peg∣gior de secchi, li cotti, dopo il cibo presi, son megglior de crudi, li lenitiui si mangian inanti, li costrettius da poi, li stitichi presi inanti stringano, ma dopo soluano.

A.

Ma chi hauesse il stomaco frigido, & humido?

P.

Deue manucarli caldi, e secchi, ma essendo il stomaco caldo, & secco, debbe manucarli frigidi, & humidi, & li maturi son megliori, ciòe men nociui per ogni vno, eccetto i mori, quali meglio è manucarli prima, che sian perfettamente maturi, e neri.

A.

La diuersitâ può forsi nuocere?

P.

Non deuesi vsare nella medesima mensa.

A.

Ma quali pensate, che sian peggior tra li altri?

P.

Li più putrescibili, e quelli, ne quali regnano i vermi, che generano febri continue, e talisono li scoloriti.

A.

[ 94] Porgimi, et auicinami il cascio.

P.

Il fresco, è freddo, & humido, il vecchio è caldo, et secco, il megliore è'l fresco, di buon latte, e buon pascolo, che cosi mollificà, ingrassa, è grato alla becca, ne nuoce al sto∣maco, et è più dell'altri digestibile, se si manuca nel gior∣no, nel qual è fatto: ma il pecorino di bontà eccede l'altri, ogni altro vecchio si deue mangiar in fine per sugello del stomaco, ricordandosi, che Caseus est sanus, quem dat auara manus: perche essendo vecchio, è duro da dige∣rire, fa sete, infiama il sangue, genera la pietra, oppila il fegato, passa tardi, offende le reni, e nuoce a debili di stomaco, vecchi, otiosi, e cattarrosi, in conchiusione il for∣maggio è pasto da villane, ma masticato con noci, mandole, pere, e melle, e men nociuo.

A.

[ 95] Ʋoglio pigliar quattro Anisi.

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P.

Emenda il fetor del fiato, vtile è all'hidropici, & alle opi∣lation del fegato, prouoca l' orina, ferma ij flussi bienchi delle donne; la sua decottione solue la ventosita del corpo, gioua al stomaco, fegato, e Polmone, alla madrice; prohi∣bisce, che vapori non ascendan al ceruello, preso inanti che si beni la acqua, la rettifica; gioua nelle cose di pasta, stimolà Venere, nuoce à sanguini, e collerici.

A.

[ 96] Ecco delli cardi, ò carciofi, ó archichocci.

P.

Se son teneri, son meglior de duri, ma son ventosi, aprano opilotioni, accrescano il coito.

A.

Assai più mi dilettano li cardoni fatti bianchi per arte, sotterandoli l' Autunno, son teneri, e si manucano in fin della cena con pepe, & sale per sigillare, e corroborare il sto∣maco: ma credo, che molta vertù habbi il Coriandro, ò Co∣riandolo, ò Pitartima.

P.

[ 97] Il megliore è quel d' Egitto, è vtilissimo per il stomaco, re∣primendo l' esalationi velenose, che al capo ascendano: be∣uuto con vino dolce, occide i vermi, conserua la carne incor∣rotta. I Coriandoli confetti in fin del cibo, lo ritengano nel stomaco, agiutan la digestione, fortifican il ceruello, e capo.

A.

Dunque voglio pigliarne vna corpacciata.

P.

Il superfluo lor vso offende il capo, offusca l'intelletto, & perturba la mente; il succo suo beuuto è mortifero veleno, & quelli che lo beudno, diuentan muti, ò pazzi.

P.

Ma essendo di tal vertù, come se li puo leuar la sua ma∣lita?

P.

Tenergli bisogna per vna notte in aceto, indi coprirli di zuc∣caro, che cosi giouano: e se quiene, che qualcheduno habbi beuuto il suo succo, si sana con poluere di coccie d' oua con Salomonia, ò Teriaca, e vino:

A.

[ 98] Mi piace assai il Finocchio, e à voi signore?

P.

Sempre mi ha dilettato il dolce, che è caldo nel secondo grado, & secco nel primo, ma il salua∣tico più valorosamente diseccà, e riscalda, ma il

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fresco e dolce, prouocà alle donne il latte, gli menstrui, & à tutti l' vrina, leua l' opilation antiqua, molto gioua all' occhi.

A.

Se fosso secco?

P.

E buono per il verno, ma vsasi sobriamente, che lsiamma il fegato, e nuoce all' occhi; ma apre l' opilationi del fegato, milza, petto, e del ceruello: ma l'vno, e l' altro noce à san∣guini, colerici, e produce colera nera: talche più conuenen∣dosi per medicamento, à infermi, che per cibo, à sani, lodo li Signori Inglesi, à quali tali frutti non piacciano.

A.

In vero l' odore di quel Cedro assai mi conforta l'odorato, & il colore, la vista, se non mi nocesse, ne vorrei mangiare vn tantino.

P.

[ 99] La sua scorza mangiata, fa digerire, il seme rimedia à tutti i veleni, prouoca ij menstrui, ammazza i vermi del ventre, pesto, e dato con agro di Cedro à digiuno: mangia∣to tutto, vale contra la peste, e corrotion della aira, e con∣tra il veleno: l' acqua stillata dal Cedro, e soaue al gusto, è conferisce al cuore, e ceruello, e data con la conserua di Cedro, è mirabile contra le febri pestilentiali, estingue la sete, la febre, resiste alla putredine: l' acqua stillata di fio∣ri, è valorosissima contra la peste, e simili accidenti: é ami∣ca del cuore, e efficacemente prouocà il sudore, la scorza condita vale alle sudette cose, & l'olio cauato dalla scorza, & feme è molto cordiale, vngendosi i polsi, e la circonfe∣renzae del cuore; ma il Cedro mangiato la sera, causa ver∣tigine, & è molesto alle teste calde, ma il zuccaro violat dopo esso manucato correge il loro nocumento,

A.

Reccamì quei celsi, ò mori, ò mori celsi.

P.

[ 100] Leuiscan l' asprezza della gola, leuan la sete, lubrican il corpo, eccitan l' appetito, smarzan la colerà, meglio è mangiarli inanti cibo, che dopo, subitò si corrompano:

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il che fanno altresi, quando ritrouan altri humori, ma ac∣ciò non generino ventosità, si lauan col vino, & insieme si mangia ancor l' acerbe col zuccare, è pasto da giouini caldi nella state, e che non habbino dentro cattiui humori.

A.

Vi piace Signore, l' Arbuto, ò Albatro, ò Cerese marine, ò Afriche, ò Corbezzole?

P.

[ 101] Ohime, che apensarci, simi restringe, astringe, stitica, e tropo mi si corrobora il corpo: tutta via l' acqua lambicata dalle frondi, ò fiori con poluere d' osso di cuor del Ceruo, ò del corno istesso raso sottilmente, gioua nella peste, massimè auanti, che si conferma il male, la decottione, ò poluere delle frondi vale al medesimo, ij lor frutti ristagnano i flussi.

A.

[ 102] Basta, basta, basta, per hora io non ne voglio. Per dirui vn mio secreto, mi sento di continuo de fichi, e ficolini grassi vn gran desio.

P.

Notriscano ottimamente più d' ogni altro frutto, cauano la sete, scarican il petto, ingrassano, aggiutan il coìto, ben ma∣turi son sicurissimi.

A.

Dopo che nel nostro paese, per l' abondanza della humidita, e defetto del calore, non ne potiamo hauer de freschi, ne ma∣nucarem de secchi.

P.

Giouan alla tosse, e con Noci, foglie di Ruta, e sale son buoni contra la peste; di più conferiscan à tutte le comples∣sioni, ma li molti offendan il stomaco, eccitan i collici, fanno sete, nuocan al fegato, alla milza, e fan venir la rogna, pe∣docchi, & opilationi, quando se ne vsa tropo, e prouo in me produr gran copia di gialla collerà.

A.

E che non gustate mele, ò pomi?

P.

Di che sapore son elleno?

A.

Altre son brusche, ò acetose, altre son dolci.

P.

[ 103] Coteste sono calde nel primo grado, & humide temperata∣mente, ma l' altre son fredde, & secche, talche le dolci, grosse, e colorite son le megliori, l' apiole, ò appie, tangano

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fra tutte il primo loco, il secondo le rose, il terzo le detie: molto confortan il cuore, allargano il petto, catarro, fanno sputare, cotte sotto le ceneri confortano il stomaco debile, però conferiscan à conualascenti, e si mangian co anisi confetti, ò zuccaro, ò canella, il suo siropo è molo cordiale, è contra, di più de passioni malencoliniche: ma le crude in quantità nuocano à nerui, & à stomaco de∣bile, e deuano maturarsi sopra l'arbore, altrimente sono di pessimo nutrimento, l'acetose fanno perder la memoria, e generano assai flemma, & ventosità, si conseruano nella paglia di grano, ma che non si tocchino.

A.

[ 104] Ʋogliò manucar, sol per capriccio, vn Nespolo.

P.

Io non mi curo di nespolarmi per hora, pur mitigano l'ar dor dl stomaco, stagnano il flusso, fermano il vomito, li suoi nocioli poluerizzati, e beuuti cn vin banco, oue sian state cotte le radici del Petrosello, dell' Anonid, ò del Meo, mirabilmente cauano fuori le pietre delle reni, et il lor frutto prouocà l'orina, ma son di durisima digestione, si corregano mangiandosi appresso regoluia, penneti, zuc∣caro violato, ò candido, et simili cose pettorali.

A.

[ 105] Tu Cefalu, reccamì vna noce moscata, che sia rossa, graue, piena senza pertuggij.

P.

Che volete far buo fiato, accresce la vista, ò tenerla in bocca per l' abbaccinamento dell' occhi, ò vertigine, ò per souenir alla vista, a sincopi, ò confortar le viscere, e mas∣sime la bocca del stomaco, il fegato, la milza, consumar la ventosita, fermar il vomito, e corroborar il stomaco, il che anco fa il suo olio ongendene esso, e membri tremolì, ma se fosti, giouene sanguigno e colerico, vi noccrebbe, mas∣sime la state.

A.

Porgimi anco vn popò di Pepe.

P.

[ 106] Che lo volete per l'orina, ò ventosita, ò pel corro∣borar il stomaco, ò tosse, ò masticarlo con vua passa

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per purgar la flemma del capo?

A.

Non ci ho ancor pensato: andateuene à discinar uoi altri, e ricordateui, che qui vi aspetto: non louar via nulla di quel, ch' hor è in tauolà: che vai tu ficcone girando? sei forsi vbriaco? meglio sará che vadi a corricarti, che andar al pranso: manucheremo forsi due Pere di campagnia?

P.

[ 107] Son fredde, e secche, se sono delle mscatelle dolci, e ben ma∣ture, ò ghiacciole, ò bergamotte, ò buon Christiane, ò Ca∣rauelle, e quelle da cuocere nell' inuerno, son grate al gusto, corrobano il stomaco debile, e fanno descnder l' escrementi al basso. Le Borgamotte, e Carauelle son li megliori, di più sono rimedio del veleno de fonghi, e de Lumache; ma posta vna pera seluatica nel vino, se egli è puro, va al fondo, mase egli è batezzato col acqua, resta à galla.

A.

E ben, che badate? manucate questa per amor della mia bella Castalda, che hieri me le portò dalla mia villa.

P.

Tra il Padrone, e bella serua al buio, ci è sempre qualche garbuglio, che fa stender la pelle dell' ombelico aguisa di tamburro, per amore dell'agente, e del patiente questa ma∣nuco: e tanto più volentieri, essendo quasi dopo posto, che innti fanno gran danno à collici, e generan ventosità, e altri sembianti effetti.

A.

[ 108] Vi piacciano le Sorbe, ò Sorbelle, ò Sorbòle.

P.

Son fredde nel primo, e secco nel terzo grado, s hauessi il flusso, le manucarei inanti pasto, che cosi mi sanarebbano, & hora dopo pranso, s' io patisse vomito, m' acheta rebbero, e conforteriano il stomaco, ma per Iddio gratia non ne patisco, però le lascio à chi ne ha dibisogno.

A.

L' vua vi gusta forsi?

P.

[ 109] Calida è, & humida nel primo grado, l' acerba è fri∣gida, & secca; se fosse bianca, matura, e dolce, sareb∣be megliore, perche ha molte virtù, ma vedendo, che qui

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non è matura, io non ne voglio, ne men io ne fauello.

A.

Mangiamo dunque delle Amandolè, ò Mandorle dolci.

P.

Son calide, & humide nel primo grado, l' amare son secche nel secondo, e sono più astersiue, più aperitiue, e via più pur∣gano i meati delle viscere assotigliando gli humori grossi: le megliori sono l' ambrosine nate in luoghi calidi.

A.

Pur che fan di bene?

P.

Le dolci notriscano, & ingrassano, aiutano la vista, mol∣tiplicano lo sperma, facilitan il sputo, fanno dormire, au∣mentano la sostanza del ceruello, purgano le vie dell' vrine. ingrassano i magri, aprono l' opilationi del fegato, della mil∣za, e di tutte le vene, leniscono la gola, nettanil petto, & i polmoni, il lor oglio gioua à colici, alle passioni del petto: le verdi, dette Amandolini della prima vera, leuano la nau∣sea alle donne grauide, si mangia le lor nocciolo tenero col zuccaro nell' estade.

A.

[ 110] Ma vi dimenticate, io penso, dell' amare?

P.

Sono rimendio contra l' imbriachezza, se auanti pasto se ne mangiano sei, ò sette, date à mangiare alle Ʋolpi, l' amaz∣zano, & in conchiusione si come in cibo le dolci sono più soa∣ui, cosil' amare in medicina sano più sulubri: ma mangian∣dosi quando son secche, son dure da digerire, fanno doler il capo, e generano collerà, e le amare fan arrobinar la fac∣cia, e cosi fan le molte spetie.

A.

A Lucati vidi, io non ne voglio, ma voglio tagliar que. sto Arancio, ò secondo, che l' appellano i Romani, Me∣langole, ò secondo i Fiorentini, Orangi, ò Citrangoli: che ne dite?

P.

Io rispondero, aguisa d' vn politicò consigliere, che non il ben publico, ma sol il suo procura; come meglio vi aggrada Signore, il vostro voler sopramonta ogni ragione, come vi piace.

A.

Il cancarò se lo manucchi; ma ditemi, puote nuocere?

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P.

Lascorza è calida, e secca nel principio del terzo grado; la polpa, ò parte vinosa è frigida, e secca nel secondo gra∣do: li dolci son temparatamente caldi, e son pettorali, l' a∣cetose son freddi nel primo grado, quelli dimezzo sapore son freddi, e secchi.

A.

Come potrò canoscer, e scielere le megliori.

P.

Saran o graui, ben maturi, ben coloriti, con la scorza liscia, & di mezzo sapore; perche i dolci sono alquanto caldi, l' altri freddi, & offendano il stomace; ma si corre∣gano col zuccarò: di più li dolci giouano à catarosi, opila∣tioni, & malenconici, quelle di mezzo sapore son ottime per le febri coleriche, leniscano la gola, risueglian l' appe∣tito, leuano la sete. Ma quella, che ogni altra qualità ec∣cede, è, che delle sue scorze la poluere occide i vermini, & presa nel vino preserua dalla peste: ma li acetosi sono otti∣mi per restrigner i flussi, rinfrescar il stomoco, e petto infi∣ammato, ma li dolci accrescan la collera nelle febri.

A.

Voglio manucar quattro castagne, e voi?

P.

[ 111] Così, così mi piacciano: sono calde nel primo, secche nel se∣condo, se fossero mareni, sarebbero migliori, e se longo tem∣po sian conseruati, tanto più son saporiti, e sani; nutriscano bene, eccitan il coito, e pestate con melle, & sale sanano il morso del can rabbioso, l' istesso fa la carne del Tonno pesce, cotte su le braggie, ferman il vomitò; ma son dure da di∣gerire, stitican il corpo, generan ventosità, più quando cru∣de, ma sono men nuociue, se arrostite siano sapra le brag∣gie ne tempi freddi, indi manucate con pepe, zuccaro, e sale.

A.

Le Castagne come le ghiande paiano esser cibo d' animali.

P.

E che l' huomo non è animale? e se egli è apassionato, il peg∣giore, che dopo la premeditatione di mille anni, mai potesse la Natura.

A.

L' huomo veramente honesto ci representa l' imagine d' Iddio, l' huomo cattiuo peggio è, che cento Lupi, e dieci mille Diauoli scatenati.

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P.

Ma circa al nostro proposito: quantunque la Ghianda sia cibo di brutti, ha pure molta vertù, perche in tempo di carestia se ne fa pane a poueri, trite, e beuute con vino giouano a morsi d'animali velenosi, et à quelli ch' han preso il veleno, ò beuuto hanno le cantarelle, onde orinano il san∣gue, e cadano in pessimi accidenti. La lor poluere beuuta con decottione d'anonide, ò di gramigna gioua al mal di pietra, e beuuta con latte di vacca, vale contra il tossicò. Il lor olio è buono per i panni di lana, et il sapone.

A.

[ 112] Gusterò forsi io vn limoncello?

P.

Se eglino maturi sono, col odor di cedro ben coloriti, et alquanti giorni sian stati staccati dal alberi, hanno, mà più debilimente, le virtù, e facoltà de cedri, il succo loro fa appetito, ferma il vomitò, incide l'humori grossi, resiste alle febri maligne, amazza i vermini, il succo del' acerbi, preso alla quantita d'un oncia, e mezza con maluagia, caccia le pietre dalle reni, et i verdi piû valorosamente fan tal effetto. Di più si taglian minuti, e sopra loro si pone sale, acqua rosa, & zuccherò, e si manucan con pesci, e carni, che e salsa ottima, per farbuon appetito, dan buon gusto al bere, e dalle reni, e vessica gagliardamente cac∣ciano le renelle, per il medemo effetto si mangiano in in∣salata minutamente tagliati con acqua, melle & aceto, ma nuocano al stomaco, a dolori colici, e generan melen∣conia: si corregano col zuccatò, e cannella.

A.

[ 113] Credo, che le Granate, ò molegraue, ò pomi granati al∣tresi habbino le lor virtù.

P.

Le dolci giouano al stomaco, petto, tosse, coitò, l'acetose al fegatò, alle febri ardenti, & acute, alla sete, mitigan l'ardor del stomaco, il medemo fa il lor vino, & il lor siroppo, la collerà gagliardamente spegne, non lasciano le superfluita salir al capo, e tutte prouocano l'orina. Le scroze loro saluano li panni dalle tarmi, cosi fa quella del

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cedro, ò limone, qual di piú preserua le foglie delle Rose secche, che non generino vermi. Il vitio l' vna dell' altra granata si correge, vsandosi amendune insieme.

A.

[ 114] Pigliate per amor mio signor queste quattro nocchie, ò A∣uellane.

P.

Io la ringratio, & altresi le goderò per amor suo. Le do∣mestiche sono le megliori, e massime rosse, e grosse, poco co∣perte, piene di molto humore, ne da verminisian state toc∣cate, le lunghe sono più soaui al gusto, nutriscano più delle noci, accrescano il ceruello.

A.

Quindi forsi cotanto piacciano alle donne, per souenire alla debolezza loro.

P.

Tre, ò quattro mangiate continuamente nel principio del pranso, liberan dal dolor delle reni, e dalla rennella affatto; mangiate con Ruta, ficchi secchi à digiuno, conseruano dalla peste, le crude si coprano aguisa di Coriandoli, col zuccharò, e sono gratissime al stomacò: má son dure da digerire, pur grate al fegatò, generano qualche ventosità, e molta collera, e troppo manucandosene, fan doler il capo.

A.

[ 115] Costi sono alcune Noci, ne mangiaremo forsi?

P.

La noce nuoce alla golla, lingua, palato, eccità la tosse, do∣lor di capo, fa crudità, sete, e vertigine; ma scioglie i denti stupefatti; infusa in buon vino, men nuoce, ò condita col zuccarò, e melle: ma scalda nell' inuerno il stomaco, e gioua alla hora à vecchij, flemmatici, e melenconici, se non patiscano stretezza di petto: vna noce posta nella pignata, presto fa cuocer la carne, cosi messa dentro d' vn pollo; quan∣do le noci fan gran copia di frutti, significano abondanza di biade. Due noci secche, due ficchi, venti foglie di ruta, vn granel di sale, peste, e manucate à digiuno non solo dal veleno, ma ancor preseruano dalla peste; mangiata à di∣giuno, gioua a morsi di cani rabiosi, e masticata, e posta sopra il morso, ad esso è bona. La scorza verde delle noci supplisce in luogho di pepe nelle viuande.

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A.

[ 116] Per niun modo voglio lasciar d' assaggiar cotesti pignoli.

P.

Son caldi & humidi, e se non sian ranciti, son buoni, assai nutriscano, cotti con melle, ò zuccaro, purgano il petto, pro∣uocan l' orina, ristoran la natura debile, nettan le reni, e vessica, confriscan à dolori de nerui, e della sciatica, son boni á paralitici, à stupidi, à tremòli, mondificano il pul∣mone, sono vtili al petto, e però grandemente à Tisici, ecci∣tan la libidine: ma si deuan vsar sobriamente, per esser al∣quanto duri, per correggerli, prima s' infondano in acqua tepida, indi da flemmatici si mangian col melle, da colerici col zuccaro, nel verno giouano à vecchi col melle.

A.

[ 117] Gli Pistacchi oltra modo mi piacciano.

P.

Se son verdeggianti di dentro, son marauigliosi in risuegli∣ar l' appetiti venerei, leuano l' opilation del fegato, & altri effetti fanno di sopra detti: ma nuocano alle calide com∣plessioni, ma non, se nel fine, ò nel principio della mensa si mangino, dopo essi pigliando zuccaro rosato: nuocano à collerici, giouano à vecchi, e flemmatici.

A.

[ 118] Manucaremo quattro amarene, ò marasche?

P.

Come gli piace. Stringano il ventre, incidano la flemma, rinfrescano, dissecano, & corroborano, e megliori sono le grosse, e ben mature: smorzano il calor della cholera, ta∣gliano laviscosit à della flemma, eccitan apetito, e si conser∣uan col zuccarò, ma esasperando il stomaco, nuocano à de∣bili di stomacò, e vecchi, giouano nel caldo della state, e megliori sono col zuccarò, e conuengano alle febri pestilen∣tiali.

A.

[ 119] Cotesti armeniache, ò maniache, ò grisomole, ò biricòcoli all' odore, & alla vista mi piacciano, ne volete? qui sono al vo∣stro piacere.

P.

Son frigidi, & humidi, furno portati d'Amenia, le colrite e grosse son le megliore con nocciolo dol∣ce, chiamate Alberges, distaccandosi dall' ossa fan

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orinare, il lor nocciolo occide i vermini. Si seccano al Sole, ò nel forno non tropo caldo, spartite prima per mezzo & più spesso, che sia possibile, asperse con zuccherò spolueri∣zato, vagliano come la pasta di Genoua, essendo che esse fate in pasta si acconcian in tal modo: ma mouano il flusso del ventre, gonfiano il sangue, si conuertano in collerà, son di mal nutrimento, generano febri pestilentiali, putrefa∣cendo il sangue, nuocano alla flemma, fegato, e milza. Si corregan mangiandosi anisi, ò cibi salati, ò conditi con spe∣tie, e beuendo si indi buon vino ancora.

A.

[ 120] Non mi prohibirete già, credo io, che non manuchi di queste ciregie vn popò, dopo che l' altrine deuorino fin tanto, che sian pieni, e satolli.

P.

Non l' altri, ma seguite la ragione, io non ne voglio, che per isperienza io prouo, che assai mi nuocano.

A.

Sciocco è, chi conoscendo, fugir non vuol il male: quali son le megliori?

P.

Quella di dura sostanza, ben mature dal Sole, e non col arte, non offese dalla pioggia, come sone le Corgne, le cor∣bine, & le acquaiole (come sono l'Inglese) son da fugire; delle austere dette Marasche, le migliori sono le Palombine: le dolci buone aprano, le secche, massime le visciole, stringa∣no, smorzano la collerà, tagliano la flemma, se cotte sian col zuccarò.

A.

Dunque non nuocano?

P.

Le dolci son nemiche al stomaco, generano lumbrici nel ventre, humori putridi, subitò si corrompano, e putrefanno, per la lorventosità gonfiano il stamacò quando se ne ma∣nuca assai. Si correge il lor vitio, col manucarne poco, e se nulla, meglio è, massime alle belle donne, che generan∣dole putrefattion nel stomacò, e contaminandole il san∣gue, le fa cineritie, pallide, smorte, & ingrate ad auui∣sarle. L' altro modo di corregerle sarà dopo esse, senza in∣termission di tempo, piggliar cibi d' ottima sostanza,

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salati, & acetosi, e non si mangiano per cibo, ma per speg∣ner la sete, e l'ardore della collera: ma pessime sono per gli vecchi, e flemmatici, e consequentemente per le donne, il più delle quali, anzi quasi tutte, son flemmatiche, donde vediamo tanto giouarle il coitò, che con mille catene non pono esser frenate, quindi dice vn leggista. Mulier est de illis bonis, adeo corruptibilibus, quae conseruando, conseruari non potest.

A.

Non ce è mente, che pensa, ne cuor che vaglia, ne occhio che veda, ne chiaue, che chiaua, ne vscio, che chiuda, ne catenaccio, che stopi, ne catena, che leghi la donnesca frode, lasciamole, che con la lr libertà, le dishoneste dase si sfer∣zino, e le honeste meglio risplendino: per amor loro manu∣car voglio vn Dattero, ò datero, ò dattilo,

P.

[ 121] Ben dicesti per amor loro, essendo il lor amore, si come il cuor altresi, nel dattilo. Generà vn sangue, che subito si commuta in collera, fanno vscir le morene, oppilano il fe∣gato, è la milza, viscere, e vene, donde longe febri si generano, cotti col zuccato son men nociui, ò dopo vsando cibi acetosi, e con l'aceto, se non siano acconci col zuccarò nuocano in ogni tempo, & ad ogni etade, e complessione, ma ingrassano, lubricano il ventre, e giouano alla tosse.

A.

Hor veniamo all'oliue.

P.

[ 122] C' è poco da ghignare, danno poco nutrimento, tardi si digeriscano e le salate infiammano il fegato, e leuano il sonno, le condite nell' aceto son megliori, giouano ne tempi freddi, à tutte l'etadi, e complessione, e si deuano manuor nel fine de cibi, per corroborar il stomaco, & aggiutar la digestione, e chi fa altrimente, procede senza ragione, & ordine.

A.

Ʋolete delle Pesche, ò persiche? eccòne à vostra voglia.

P.

Per me sian arrancate, e suelte, sono frigide, & hu∣mide, e l'amandole loro calde & secche, le dura∣cini, che non si staccano, banno più del coognino,

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però s' appellan persiche cotogne: si deuano manucar nel principio del pranso, perche lubricano, & ifonder si de∣uano nel vino, il cui spirito tirano elleno per li suoi pori, indi resta insipido: ma son tanto nociue, che in conchiusi∣one generano l' hidropisia, & alcune cercano, come s' è detto, corregerle con vino; ma fan peggio, perche il lor succo nociuo più tosto vien portato alle vene: i noccioli de Persici manucati, leuano i ncumenti de frtti, son otti∣mi à colici, à vermi, alla ventosità, à mondificar il sto∣maco, all'opilationi del fegato, spezzan la pietrae delle reni, e vessica, le liberano dall' escrementi flemmatici, e chi ne piglia ogni mattina otto, ò dieci, e se ha il fegato tropo caldo, due conseruan l' huomo sanissimo, e la lor conserua ferma li denti.

A.

Ecco le Prune, ò susine prugne, che si visitano, e noi non voglian visitar esse? eccòne sette per restorarui.

P.

[ 123] O, che sono frigide, & humide, le Damaschine, ò Damasce∣ne son molto lodate, se sian mature & dolci, e si chiamano Damascine della Citta Damasco di Soria, purgano la col∣lera, spegnano il calore, leuano la sete, rinfrescano, & hu∣mettano il corpo, il lor succo cotte, eccità l' apetito, scema la sete de febricitanti, & con la Scamonea, la polpa d' esse, e Manna si fa l' elet tuario durantino assai vsato in Roma, aggionteui l'infusion di sena, polipodio, anisi & cinnamomo∣ma li sudetti frutti nuocano à stomachi deboli; ma non, se nel principio si mangino col zuccaro, indi beuendo ottimo vino,

A.

Se vi piace vn Cocomero, & anguria cotesti vi aspettano per seruirui.

P.

[ 124] S'o (che Dio per sua bontá mi liberi) fosse assalito dell' ardentissima febre, per scomar il calor, di loro mi seruirei; ò de lor semi per le reni, e vessica per prouocar l'vrina, ouero se hauesse vn stomaco caldo, & secco, & abondasse di souerchio calore, la polpa loro vsarei, ò se patisse aridità della lingua:

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ma per Iddio gratia, essendo fuori di cotali accidenti, non mi pono generarse non cattiuo nutimento, presto corom∣pendosi si conuertan in humore sn le à mortiferi veleni; ma qulche è peggio, sminuissce il sme, estingue madona Venere, e generà nel stomaco viscosa flemma, qual caio∣na longissime Febri, per diffondersi nelle vent, à quelli ch' hano flemma nel stomaco, fan nausea, generano doloricolici, & passini Ipcondrie: nel principio de cibi ascendano come il Rafano, son men nociui nel fine, e più facilmente si dige∣riscano, si correggan col seme Amo; ma à frigide & humi∣de complessioni, & à vecchi son inimici.

A.

Dunque, non ne volete gustare?

P.

No anco toccarli mi piace.

A.

Eccoui in loco loro supplir voglianò le fraghe, ò fragole.

P.

[ 125] Son frigide nel primo, & secche nel secondo grado, se fossero rosse, ben mature, di buon odore, e domestiche, smorzano l'ardor, & acutezza del sangue, spegnano il feruor della collera, rinfrescano il fegatò, leuano la sete, prouocàno l'o∣rina, & eccitano l' appetito, ma quel che è ottimo secreto, il lor vino dissicà i quossi del viso, chiarificà la vista ap∣plicato all'occhi, leuandone le nuuolete, asterghe la pelle del viso guasta da moruiglioni, ò brusciuoli: fermano le lor frutti le dissenterie, ij flussi delle donne, & giouano alla milza: la decottione delle frondi, e delle radici be∣uuta assai gioua alla infiammation del Fegatò, mondifi∣cà le reni, e la vessica, l' acqua distillata dalle fraghe fer∣ma il flusso del sangue in tutte le parti; ma nuocono à tre∣tremoli, à paralitici, & à dolor de nerui, il lor vine imbri∣acca, e che ne manuca assai, souente cade in Febri ma∣ligne, perche si corompano nel stomacò, & altresì gene∣ran humo corrotto: ma ben nettate prima, lauate con vin bianco, & asperse di zuccaro conuengano nella state

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à cholerici, sanguigni, & à stomachi caldi, se prima però le manghino auanti l'altri cibi in poco quantità.

A.

Non mi negarete già, ne farete talinguiria al Melone, ò pe∣pone di non assagiarlo?

P.

[ 126] Se egli fosse di bon odore, e di sapore esquisito, grato som∣momente al gusto, frescho, & maturo volentieri ne gusta∣rei; ma egli non ha, mipar, odor veruno. Doue è egli ger∣mogliato, in Inghilterra? Ohime che piscia, conseruatelo vi prego per la caualla, io non ne voglio à patto alcuno, sol il rimir arlo mi partorisce nausea.

A.

Dicano pur, che Albino Imperatore se ne dilettaua in modo, che vna sera mangiò cento persiche di campagna, & dieci Meloni di Ostia, quali in quel tempo eran i più lodati.

P.

Se fossero di quella soauità, che sono in molti luoghi, e quasi per tutta l' Italica, con ogni mio poter seguirei tal essempio, e meglio il mio gusto, oltra che rinfrescano, nettan il corpo, prouacan l' orina, cauano la sete, eccitan l' appetito, e quei che assai ne manucano, si assicuran dalla pietra, e renella: ma fanno ventosità, dolor nel ventre, facilmente si conuer∣tano nelli humori, che ritrouano nel stomaco, difficilmente si digeriscano per la lor frigidità, donde eccitano vomitò, flussi colirici, e corrompendosi in febri maligne, e petecchie gene∣rano. Si corregano col mangiarsi à digiuno con buon cascio vecchio, e cose salate, e beuendosi appresso ottimo vino, indi manucando altri cibi di bona sostanza; nuocano à flemma∣tici, e melenconici grandamente.

A.

Talche se io non erro, non ne volete?

P.

Non già di questifatti per arte, oltra che di già tanto ne manucai in mia giuuentù in ogni parte di Italica, che hor li do vn perpetuo valete.

A.

Quello chente sia, che qui è presente, è al suo seruigio, ne per molestarla, ma per aggradirli, però faccia quanto li

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place: ma V. S. osserui che aira soaue e questa?

P.

[ 127] L'ere è sopra ogni alira cosa necessario alla conseruati∣one, e sanita del corpo.

A.

Ʋoi dite il vero, viuendo l'animali con bisogno d'un con∣tinuo refrigerio del cuore, qual si conseguisse con l'assidua i spiratione dell' aere, & tute l'alre cose schiffar si pono, ma non già questo, che si come la respiratione non si se∣parà dalla vita, ne parimnie la vita dalla respiratione.

P.

Chi non sa, che souente per quaiche interuallo potiam vi∣uere senza cibi, ma niente senza l'aere, che sempre enra per le fauci, e dal polmone se ne vola al cuore per refri∣gerarlo.

A.

Dunque essendo egli di cotanta importanza, goderemo di questo sereno, chiao, volo all'oriente, non corotto da nebbie, ne da vapori de laghi, stagni, e paludi, cauerne, fanghi, e poluere, che per l'aere polueroso appresso i Garammanti l'huomini à pena pono giognere à quaranta anni.

P.

Ne men potiamo hor dubuare dell' aira freddo, Boreale, Australe, nel del notturno, ne di quello, che si riceue dalli vapori dell' arbori, delle noci, ne sotto ij ragij della Luna, ne del grosso, turbido, ventoso, ne corrotto dalle putredine d'alcuna cosa.

A.

Quando cio fosse, ci sarebbe in vero molto nociuo, prche ci aggrauerbbe il capo, offenderebbe li spiriti animali, con la sua trpo humidita rlassando le gionture, e facendole pronte à riceuere ogni superfluit à.

P.

Godiamo dunche, mentre s'e lecito, di questo temperato, e tal mi par essr quando tamontando il sole si rinfresca, e nascendo il sol subitò si riscalda, e tal sorte d'aere credo, cor∣ferire ad ogni complessione, ad ogni sesso, ed ad ogni etade.

A.

Certo io godo di goder di questo aere puro, chiaro & tem∣perato, facendo la sanità, chiarificando i spirit, e'l sangu, rallegrando il cuore, e la mente, corroborando tute l'attioni, solli citando la digestione in tutti i membri, conseruando il temperamento, prolingando la vita, del che tutto il contrario fa l'aere cattiuo di sopra detto:

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che muta i corpi nostri più, che altra si voglia cosa, e li corrompe:

P.

[ 128] Ma ditemi (per passar il tempo) come tal aere corregere∣sti in assotigliarlo, e dissoluere i grossi, e viscosi humori?

A.

Col fuoco nella slanza, di legne odorifere come di Lauro, Rosmarino, cypresso, Ginebro, Quercia, Pino, abete, Larice, ouero formarei vn pomo, qual odorarei di notte, e giorno, pigliando zaffarano vna dramma, & mezza, Ambra ori∣entale scropolo mezzo, di Msco dramma mezza, di Sto∣race, Calamita, e di Lauro, Anna scropolo vno, e le dis∣soluerei con Maluagia, e ne comporei, come di sopra vn pomo.

P.

Io son diperere, che l' huomo meglio si preserui dalla cat∣tiuo aere col buon fiato, tenendo in bocca Terriaca, il Mithradato, ò la confetione Alchermes, e stopiciando i denti con la Zedoaria, ò Masticando l' Angelica; ò pi∣gliandone à digiuno in conserua.

A.

Ed io ho prouato, che nel tempo della peste ottimo è portar in mano, & odorare vna balla di ottimo Sassafragia, che nato sia in paesi calidi, ed essa balla cauata di dentro à torno, habbia la sponga bagnata in bona acqua rosa, & otti∣mo aceto rosato; defendendo però il stomaco, e petto con pelle d' Agnello, ò Lepore, ò pezze di rosato, essendo le dette parti madre dell'infirmitadi, e mal custodite, e guaste, si guasta il tutto. Ma come in vero conosceresti la qualità dell' aere?

P.

Metterei la notte al sereno vna spogna ben asciuta, se la mattina la ritrouasse secca, secca ancor l' aira sarebbe, e se molle, humida; ò porri vn pane fresco al sereno, qual muf∣fendosi l' aere sarebbe altresi corrotto.

A.

Ohime, che mi assalisse il sonno?

P.

[ 129] Guardateuene vi prego, essendo il diurno, meridi∣ano molto nociuo, se non fosse per consuetudine

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ò che nella notte precedente non hauesse dormito, ò per sen∣tersi i membri lassi, ò essendo il stomaco debole, che in que∣sti casi deue dormire, non col capo basso, ne coricato, ma sopra vna sedia con la testa alta.

A.

Dunque che faremo dopo il cibo?

P.

[ 130] Pigliamo qualche cosa stitica, senza beuerci sopra, e que∣ste sono Pere, Nespole, Cotogne, vn popo di cascio, che cosi sugella il stomaco d' onde il calor naturale più s' ingaggli∣ardisse, e si impedisce l' ascender de vapori.

A.

Manuchiamo dieci Coriandoli inzuccherati, & vn pezzo di cotognato.

P.

Questo certo mi piace, che se prima si piglia stringe il flusso, se dopoi i cibi sigilla il stomacò, aggiuta la digestione, e for∣tifica la debolezza del stomacò, talche con confidenza di∣ro, come disse il Poeta:

Si vis me mitem, si vis dirimere litem, Da Diacidonitem, da mihi frater item.

A.

[ 131] Hor spasseggiamo lentamente, se gli piace, e poi sedere∣mo.

P.

Post cibum aut stabis, aut gradu lenté meabis.

A.

[ 132] O la: dubitò, che cotesti miei seruidori, dopo essersi pasciuti, siano iti à ripossar vn poco.

M.

Che comandate Padrone?

A.

L' hauete ancor ispedita?

M.

Già vn pezzo fà.

A.

Ma perche niun si lascia vedere? che faceuate padroni mii?

M.

Sedeuamo costi in salla.

A.
E chi era con voi? confessa il vero,
M.

La camariera della Signora.

A.

Ah, ah. Non caualca il Medico senza la Mala, ne il calcante senza la grima. Ma à che badauate tanto?

M.

Fauellauamo di varie cose insieme.

A.

L' Vniuersità di Padoa, e di Parigij eran vnite per far Collegio▪ Ei ghigna; che vi ne par Signore?

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meritan l' acqua cotta, che beuan?

P.

Il star in schena è noia alli spondili, dopo pranso il seder ha assai del sauio, in vero non meritan se non lode, in pigliar tanto più bene quanno più pono.

A.

Sta bene, assai ben balla, à cui l' altrui pazzia ben sona.

P.

Amentateui signore, che chi ha compassione, compassion merta.

A.

Tanta discretione hauesser eglino, quanta patientia ho io: ma non ci è rimedio: l nostri fanti per la lor concordia, e le donne peril nostro senno, la lor stella, e presontione fanno, e faran sempre à lor modo.

P.

[ 133] Iddio permette, e souente la Natura, e sempre la politia del mondo vuole, che altri sian sudditi, altri sian signori, ne alcuno tal ordinaria legge puote, sopramotare, se non con straordinarimezzi, detti caso, fortuna, ò sorte, donde se essi patiscan, e noi compatiam essi.

A.

E chi osara di far altrimente? essendo al fine noi tutti serui del peccato, delle leggi, delle nostre passioni, e quelche che è peggio, de nostri vitij.

P.

Siamo tutti imperfetti, e non potianeo denegar ad altri, quella pietà, che bramiamo per noi stessi.

A.

Se gli piace, anderemo à spasso.

P.

Molto volentieri, ma por cortesia non gli rinscresca, di∣morare vn tantino, e tantosto à lei ritorno.

A.

Asuo piacere.

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DIALOGO. III.

Fra il Sig. Falsorino, e Bulugante Seruidore.
Quali fauellando insieme vsan le phrasi apartenenti al vendere, comprare: e discorran delle cose, che fan di mestiere a far viaggio, alloggiare, pagar Hosterieri, con belli, curiosi, veri, & arguti motti, e necessaij auisi.
Falsorino.

[ 1] EBene hai tu ispedito quanto io ti com∣messi, ò, alla tua vecchia vsanza, ti sei dimenticato qualche cosuccia?

B.

Per non inciampare in tal errore, notai cosa, per cosa comandatami da V. S. e dindi il tutto feci.

F,

Il tutto sta bene, se scriuesti il tutto, e'l tutto hai fatto.

B.

Cosi io feci: ma iscusatemi Signore, non ancor habbiam com∣prato quelle cosaline, che V. S. mi diss. hauerdi bisogno.

F.

Questo mireca gran noia, e tutto mi sconcia: patientia: non c'è rimedio: andiamo alla città.

B.

Costi sono ricche, e assai ben fornite bottege.

F.

[ 2] Giouene, doue e'l tuo padrone? Egli è sortito, ma io son presto, per sergir V.S. in ogni cosa.

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F.

Voi altri fattoreti, dopo vn pelago di mallate, e false parolle, per parere sufficienti garzoni, nel dimandar, sempre stra∣fate: ne mai (massime scoprendo il compratore esser fore∣stiere) vi riducete à vn tandem honesto: ma il Padrone vedendo con chi tratta, c'ol oltimo pezzo, legga, ò tosto sci∣oglie.

F.

Con vostra licenza amico, vorrei comprar tre paia di Guanti, vno d' Agnello, l' altro di Capretto, con vn paio di Capro: ma digratia non vsiamo ce∣rimonie, ne dilationi; quel che si fa nel sine, facci∣am lo nel principio, comenciamo dalla coda à scor∣ticare: lasciatemi vedere glimegliori.

Quisti son tali, ch'al presente mi ritrouo.

F.

Come son mal cuciti, la pelle ha di furi molte magagne, e diuerse macchie di dentro, non hauete di meglio? di gratia non mi fate badar fuor di proposito. Ecco gli più belli, e più soaui, che si possan ritrouare.

F.

Poco mi satisfa la pelle, son maltagliati, han sgarbata for∣ma, ne han odor alcuno, pur, che vi darò di questi?

Sette soldi.

F.

Dimandate all' Holandesa treuolte più del commun prez∣zo. Vi darò quattro soldi.

Io non posso.

F.

Dite, che non volete. Eccòui gli miei denari, se non vi con∣tentate; Amici, come di prima.

Acciò potiate ritornar vn' altra fiata, mi contento di perderci.

F.

Sia castrato chiunque vi crede: à riuedeci mastro. Bulu∣gante doue andaremo per prouedermi di pannolino.

B.

Costi è vna camisciara, ò cucitrice.

F.

Sibertoloto sono tue amiche? hor ti comencio conoscere: vuoi

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che io m' intrinca, con tali false Sirene, vccelesse, e fai∣ne, couemelle, bergumelle, bertuccie, bezzuche, Papà∣galli, berlingacione nate sol per gazzetare, gozzolare, & por ogni Hosteria, Tauerna, Bettolà, & in ogni buco gozzouagliando, berlingacciando, e berlengando, berto∣nare: non sai tu bertuccione (salue l' honeste) di che pu∣tino: alontanati dal sterco: lasciale bronfare, e brlinga∣re, non montar su la bica per suoi fatti, ne suoi misfatti, ne per lor coccole, e bichiacchie, non potendo vn infame, se non se stesso offendere, senza infamar alcuno.

B.

Costi c' è vn mercante nostro amico.

F.

Se non dall' amici, nel comprar, mai fui ingannato, co l'al∣tri son assai ardito, e perspicace, ne alcun interess acciecar mi puole: andiam à cotesto, che mai io vidi: Amico hauete buona, e fia tela di lino d'ogni sorte.

C' è quanto potete desiderare, eccòne diquattro sorti: ve∣desti maila migliore? credo che no di certo.

F.

Quante verge è longa cotesta pezza intiera. Circa trenta.

F.

Quanto la vendete alla verga, e qual, vi prego, è l' ultim prezzo d' vna pezza. Aragione di dieci soldi il bracchio, sono sessanta scudi in tutto.

F.

Di gratia con breuità ritiriamoci all' honesto. Ʋi darò in cotanti, vn scudo, e vn quarto della verga, e pigliarò tutta questa pezza, e mezza dell' altra.

Se Ʋ. S. non volesse pigliar tanta quantità, ne vorrei al∣men due scudi di Francia al bracciolare; miratelà bene, non c' è pur vn diffetto, ne somigliante potete ritrouar per tal prezzo, in tutta questa città.

F.

Voi dimandate troppo, il vostro precio eccede il rigoroso, qual si tolerà in pagamento di moneta morta: con poche parolle conchiudo, hauerete tanto da me, non più vn bagatino: se vi contentate,

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benè quidem: se non, io me ne vado senza imitar la moglie di Lot.

Non voglio rifiutar denari: le varie spese della condotta, dazzi, che ogni giorno nell' Europa crescan aguisa del capo delle Lumache, il fitto del fontiò, magazzino, e della bot∣tega, la seruitù, la perdità souente di molte pezze, et la fa∣tica, ci son cosi graui, che spesso ci perdiamo.

F.

Purche non perdiate l' anima, il tutto è nulla, douendo ogn'un al fine lasciar il tutto. Bisogna à V. S. altro per hora?

F.

No, vi ringratio: Bulugante, shorsali tanto: andiansene senza dimora. Iddio vi conserai.

B.

Hor Padrone, che più ci resta?

F.

[ 3] Come di già ti dissi, dimani si partiremo.

B.

Senza alcun fallo?

F.

Senza fallo: sei forsi Leggista? à che tante chimere, e re∣pliche?

B.

Dunque porò il tutto in assete.

F.

Fa presto quanto tidissi di voler, portar meco: raccorditi forsi?

B.

Se ben mi souiene, così io credo, ma à che grattandoui il capo, mirate il cielo, vuol forse piouere?

F.

Penetrì poco.

* 1.100Che contra il ciel non val diffesa humana, Ne mutar si può, ch' ha d'auenire. * 1.101Purchi troppo s' assotiglia, siscauezza: E nulla fa chi troppe cose pensa.

Io considerauo, quanto sia molesto, il veder vnseruidore con vna valiggia in groppa.

B.

Pigliaremo, se gli pare, vn cauallo per le robbe: ò vn bagaglione.

F.

A l' ultimo la spesa sopramontera il valor di panni.

B.

Lasciamolè à dietro in mano d' alcun fidato, che se le mandi.

F.

E doue è vn tale? tu non sei Diogene? come comenci ap∣putidire da scicco.

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B.

Inuiamòle inanti, e ci saran di minor noia.

F.

Di leggieri le puoi mandare, ma mai riceuerle.

B.

Andian dunche colà, done van nudi. Hor m'amment V. S. le raccomandi al Signor Robi cotanto vostro intimo, e qual cosi v'accarezza.

F.

Chi mi loda, m'inganna: via più, che egli mi adola, via men gli credo, e dato, che ei fosse, come sono altresi, molti altri, verace, e sincero amico, pur comettera il tutto à quel suo seruidore, che è il più da poco, infingardo, falso, mendace, & hipocritone animale, che di pelle indegna∣mente vada coperto.

B.

Il tempo se ne passa, e noi col tempo: che deuo fare?

F.
Ʋeggio andar, anzi volar il tempo: * 1.102E fugge il mondo, è il tutto seco volue, Ne mai si possa, ne s'arresta, ò torna, Fin che ei n'ha ridotti in poca polue:

Ti respondo, essendo meglio à chi ha senne, seguir il pro∣proprio senno, voglio col altro mio seruidore, il tutto ri∣mandar indietro, meco portar solamente quello, che è con∣forme, e meno al stato mio, accio occorrendomi tra l'altri attillatuzzo possi comparire: et hor mi occorre vn'alra ragione, che sarà di mestieri sempre pigliar rissa con vet∣turini, che vedendoti caricar il cauallo, sempre ti braue∣rano adosso, ò ti darano vn'arestito, che nulla oprando le busse, ne li speroni, ti farà mille volte nel di, chiamar aita dal' inferno.

B.

Oltra di ciò giognendo, in Moscouia, Polonia, Ale∣magna, Francia, Italia, ò aliroue, si come altri influssi, & aspetto di cieli, cosi altri paesi, diuerso modo di fa∣uellare, di procedere, altra religione, varie forme di gone conforme alla varietatà, e mobilità de lor ceruelli ritro vareno, donde altrimente V. S. vestendo, eccitaria alla risa tutta la plebe.

F.

Di pur, che intoppando ne banditi, per robbarci

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le robe, prima ci robbarian la vita, sperando di ritrouar quello, che quanto meno aggraua, via più gradisce.

B.

A lei sta comandarmi, e à me obedirla.

F.

Piglia meno, che sia possibile, e quanto meno, tanto più sarai sauio.

B.

[ 4] Se gli pare, mettero nella valiggeta di cuoio co la cateua, e'l locchetto alcune poche camiscie, fazzoletti, con simil cosete necessarie: pur ditemi Padrone, nel caualcare, e viaggiare, censumaudosi in breue gli vestimenti, e'l mon∣do mirando, non le virtù, ma sol la pompa, & essendo voi Gentil-huomo, come potrete tra l' altri comparire, & esser rispetatto.

F.

Apparasti, parmi, argomentare, ma non di rissoluere: vo∣glio vsar vn leggeiero soprauesticiuolo, che mi conserui il buono, ò offermandomi longo tempo in qualche città, doue debba esser conosciuo, mi prouedero de nuoui vestimenti alla foggia di quel paese.

B.

Hor mi ammento d'hauer veduto molti gran Signoripas∣sar pel Italia priuatamente.

F.

Tali han gran senno, patiscan minor trauaglio, si sottopon∣gan à minor spesa, schifan molti perigli, e non fanno come molti Polachi, & altri, che per bória ne lor viaggij, non spendeno, ma spandendo, e spegnendo il tutto col figlio pro∣digo, si partanno Signori, e ritornano seruidori, ò pien di debiti.

B.

Nulla dimeno vn Nobile, come Nobile, & vn Principe debbe, come Principe viuere.

F.
So. * 1.103Non conuenirsi à vn Signor esser si parco.

Pur sappi il passag gier più col ciuil proceder, patienza, ver∣so chi la merita, e quel che peggio, quasi ogni sciocco, come fio, da esso la pretende: altre volte con la virtù, e col valore, via più esser istimato, che con la pōpa senza senno: oltra che, quando il popolazzo, e la zurma (tropo al guadigno intenta

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col altrui danno) vede comparir qualche borioso, ogn'un d esso di riceuer gran doni, presupone, quindi l'adolano; ma al fine essendo impossibile donare à ciescheduno, e sa∣tisfar à tutti, pochiriceuendo poco, et altri nulla, lo dispreg∣gian come vna vera Simia d' Europa, ò vn vero ritratto di follia; l' honor fattogli conuertan in disprezzo, le riue∣renze in obrobrio; li saluti in vrtuperio; le coitesie in ca∣lunnie; il signor si, e'l signor no in mille ingiurie, e la lor memoria tra d'essi co perpetua in famia vie: ma sai tu, che ti voglio dire?

B.

[ 5] No certo senza fauella.

F.

O mia iniqua sorte, che dopohauer ricercato pel mille pi∣azze, mai ho potuto ritrouar vn fante forfante, che senza parlar, ò almen m'intendi à cenno.

* 1.104Pur nella fronte ogni pensier depinto, E nell occhi il desio del cor si legge.
B.

Certo, s'io non erro, egli è gran peccato, che la sorte non vi facesse vn gran signore.

F.

Cotesto ella non fece, conoscendo il cuor mio, come feccia aborrir le pompe humane: ma perche giudichi tu la for∣tuna hauer errato, in non farmi comparir sopra'l teatro, ò scena di questo buggiardo mondo, sotto la maschera di qual che gran colosso ò personaggio?

B.

Per scopror in voi vn cuor maggior d'un Prencipe, qual, se egli è, non leggier, ma sauio, con poche parolle vuole hauer auttorità di far si intendere, e spesso con cenni esser obedito; e V. S. senza fauellar, e motti vuol esser inteso; pur non parmidisdire à vn gentil huomo, essendo ragioneuole, il ra∣gionare, e molto meno ad vn priuato, che non petendo con auttorità, almensi facci intendere con la dicchiaratione, e la ragione.

F.

Ragiono per diporto, sapendo vn Re, vn Monarca, e ancor iddio non voler, senza farsi intendere, esser in∣teso.

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B.

[ 6] Ma che più mi resta à fare?

F.

Ispediamola: prima che io ritorni dalla ceua, fa ch'il tutto sia presto, come se incontinente volesse caualcare, e mentre nella camera, le mie robbe sono à baraglio, non ci lasciar intrar huomo, che spiri, che sperando dirubbarti, ò con pa∣rollette, ò di dietro, o dinanzi, ò per fianco, mentre l'uno ti ghigna, l'altro ti truffi.

B.

Non son cosi cieco, come al un pensa.

F.

Se tu hauessi mille occhi, il punto non sta nel veder, ma nel fermar la porta.

B.

Darò io forsi odienza, come il Re dell' Indie, con vna Za∣rabottana? siamo, penso, tra bnona gente, e in caso, che mi rubbassero, non c'e'l magistrato?

F.

[ 7] Quando ti troui tra hosti, ò doue si dà camere locande, à te apartiene custodir il tuo, fugir l' occasioni delle querele, et ad essi esser honesti; che se volpeggian: ti rubberano, e con ragione ti lamentarai, ti confonderano, di più con mille falsie t'infamerano, e riterano il furto: sai tu la causa?

* 1.105Tal gente fa contra il vero al core vn nodo. Credimi, che parlo con isperienza, pochi di cotesti sono, che non siam amacchiati d'vna commune pece; in essi sol vitio regna, nulla di buouo, non timor d' iddio, ma fede morta; non san, ne curan in famia, ne men zelo d' honore, vertù in essi è spenta, sotto ombra di verità, verità e'sbandita, e verso i passagieri d'altra natione, ogni cortesia è ita: et il consenso de peruersi vicini, & habitò nelle tristezze sol li fa audai in condennar l' honesto, e giusti ficar il reo; però come si cureran del passaggiere, se non si curan d' honor, non di polititia, ne men d' iddio?

B.

Chi camina nel fango, vscir non puo senza sozzura: mi staram lontani, e io da essi.

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F.

[ 8] Di quanto hai da portar teco, non occorre, che te lo dicha.

B.

Il poco da poca noia, tal V. S. mi scriua, quale hor mi vede.

F.

Felice tu, se ti contenti, che la ricchezza del fante, e l'ac∣cortezza, e fedeltade.

B.

Cosi si dice, ma quel filosòfo voleua seruir ad vn, che l'o∣bedisse, et questo è commu genio.

F.

Chi bene, è fidelmente serue à vn buon padrone, e tace, assai dimanda, e perseuerando, assai riceue: e quanto à me, non parmi vsar cortesia, quando io dono ad vn buomo da bene, ma di riceuer dono da esso, e quando ti trouerò ho∣nesto, e prudente, (sapendo che La seruitù col premio si fa lieta Gli degni col perdon, con l'amor l'ire.) donandoti, non guidicaro donarti, ma di satisfarin parte all'obligo mio: però portati bene, che tacendo, e ben seruen∣do ad vn virtuoso, e nobil spirito, assai tu puoi sperare.

B.

[ 9] Sarò fedele, nel remanente studiarò di satisfarui, ma V.S. per hora mi comanda altro?

F.

Haggio d'ascender in catedra per farti vna lettione sopra ogni pontiglio? souente debbi visitar, gli miei caualli, veder∣gli a gouernare, fargli dar la biada netta, acciò non diuen∣tan bolsi, costi affermarti, sinche l'habbin deuorata, osser∣uargli il dorso, se offeso, ò rotto sia dalle selle, tastargli le gambe, e farle conseruar nette, vedergli l'onghie, auertir li ferri, trouando in essi qualche diffetto, consigliarti col ma∣rescalco, e soprail tutto, custodirle mie selle sotto le chiaui, acciò i lor arnesi, e fornimenti, non sian robati, ò mutati in piggiori.

B.

L'istesso hauea pensato d'asseguire, tutto il suo è sotto la mia chiaue.

F.

Cotesta è buona traccia, e sicur sentiero, seguilò, che sarem d'accordo, e renderaci cento per vno.

Page 226

B.

[ 10] Ma signore hauete pagato l'Hoste?

F.

Il più bello, che resta al passaggier, e'l far conto con l'Ho∣stiero.

B.

Ogni volta, che giogno à questo punto, iosudo, e gielo nell istesso punto.

F.

Non già paghi del tuo?

B.

Però tanto più temo.

F.

[ 11] Altrimente fanno molti altri, che tenendo la borsa de lor padroni, subitò si vestan di seta, e se la borsa è ricca, e'l pa∣dron è cieco, e sciocco, agiongan campi à campi, et à case palaggi; et altri ritrouandosi in compagnia, dican alla bri∣gata; stiamo allegramente, che la naue mete vela al vento della gran borsa.

B.

Chiunque troua buona borsae, e poco senno, certo ritroua, buona mondana ventura; ma iddio scoprendo ogni secreta frode, i debiti che seguan, e la diminution d' un ricco stato, chiaramente ci manifesta costi esterui sol proprio interesse, difetto di zelo del ben del suo suignore, et vt è spresso man∣camento d'un buon gouerno.

F.

Non sai che'l mondo è di chi ha rete da pigliarlo? ma ve∣niamo al quia, come farai per hauer il conto del mio de∣bito?

B.

Io chiederò la nota.

F.

[ 12] Hor noto, che ben non hai ancor notato, come si nuoti in si∣mil acque: Non è picciol difetto, andar semplicemente con falsa, e'inganatrice gente, ma l' vsar con essi arte, et esser cauto, e sagace, è gransapienza, e preuenir vn mali∣tioso con malitiae, non è mediocre ingegno, che doue non è veruna conscienza, costi fan profession di palliata conscien∣za, e doue non è veruna honestade, costi dimostran sempre di star sopro l'honesto, e sol di viuer sopra il lor credito, e nel fauellar con diuotione, spesso nominano iddio, ma al fin col qual il tutto siconosce, col opre, scoprano di portar Dio nella bocca, e nel cuore tutto l'inferno, e tra de questi ogni passaggier mi disse li capo mastri esser l' hostieri, suoi serui,

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poco menche tutti quelli, ch' affitano alloggiament, o camere àforestieri: però l' hostolano scriuendo il tutto contra con∣scienza, per dimostrarsi da bene, e persona d' honore, ne per non scemar, l'vn, ne l'altro, nō ostante qual si voglia a cortesia vsatali (persuadendosi il passaggier esser obligato vsargli og∣ni cortesia, e loro ogni discortese villania) per post pasto t'im∣boccano con Pilato. Quod scripsi, scripsi: il conto non si puo mutare: ma da più, mira, ode, tace & osserua con qual fierino vuolto dice l' hosteriere à quel mendico, se tu non hai danari; va con dio, Logica bene, che se non hai ancor ap∣parato, in ver cotesto ti puo far saputo.

B.

Misera è la pecora, ch'intoppa in vn affamato Lupo, & in∣felice l'huomo, che cade nelle mani dell' huomo.

F.

Essendo dunche il mondo tale, Cum sancto, sanctus eris, et cum peruerso peruerteris.

* 1.106Chi prende diletto d'ingannar altrui, Non si lamenti se l' altri ingannan lui: oltra che: Ne si fa inganno, à cui l' inganno piace.

Quattro hore prima volpeggiando col hostolano, gratiosa∣mente entra in proposito, e fagli vna narratiua d'vna af∣fettione, ch' io li porto (ma non miràr la figlia) del pro∣fitto, che andando, e ritornando souente per questa via, gli posso recare, lodando l' alloggiamento suo, inuiargli molti miei richi amici, et eglino altri; indi dopò, come t' ho detto, ritorna à lui, e digli, hauerti, detto, che dimanimi voglio partire, e chiedegli il mio conto in scritto.

B.

Auertite signore, ch'io non son Poeta per ritrouar belle inuentioni, ne dialettico per sottilizzare, ne Re∣thorico, per fauellare, e persuadere aguisa d' un Tul∣lio: ne men legista in inuentar tiri, per sopir ognira∣gione: e cotesta gente col garrir stancaria ogni com∣mune.

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F.

Nonti atterrire, ne attergare, che doue abonda parolle, c' è carestia di ragione, e chifauella senza ragioue, tosto re∣stà confuso, doue è ragione.

B.

Più pon quattro, che vna sol lingua.

F.

Se vogliano, à lor costume, vincerti di parolle, e con bug∣gie, lasciali fauellar à lor voglia, sin che, con li pseudo profeti di Balaan, sputino il sangue, che al fin vna valente risposta condita co'lvero, e la ragione, confonde il tutto.

B.

Tal gentaglia difede mortaviui, non si curan del vero, ne men conoscan la ragione.

F.

Credemi maneggiando ogni tuo affare, et imboccando l'huo∣mo con li termini della conscienza, dell honore, del suo pro∣fitto, ò della speranza d' esso comporrai vna tal pasta, che come quella della noce metello imbalordisce il pesce, così con questa abagliarai ogni vno.

B.

[ 13] Maiscusatemi signore, non è maggior honor d' vn gentil' huomo rimettersi all hostolano?

F.

Sol non mifainausea, ma mi aueneni il cuore, volendo col∣locar l' honor nellasciochezza.

B.

La liberalita, e'l splendor, o magnificenza pur propria è del nobile.

F.

Cotesto io affermo, masappi tu, che anchor non sai, come camina il mondo, che se Christo fece raccoglier, e conser∣uare i ramasugli, come non necessarij da consumarsi, per che l' huomo, che altro non è, ch'vn verme, sarà scialac∣quatore de doni della fortuna?

B.

Ma doue il costume del paese altrimente richiede, tal che, chi non spende, e spande resta additato?

F.

Altri non sileuan à volo, e pur han a le: nulla dimeno sappi. Che chi vuol volare,* 1.107 indiarno spiega l' ali. E però volendosi elenar, cadan con Icaro: chiunque segue l' abuso, al fin resta e

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confuso, dalla corte si ritira alla villa, e dalla villa nella città in priuato stato, e dal palaggio alla capana; il sa∣uio discretamente va temporeggiando; il magnifice, e liberale, conforme alle sue rendite spende con giuditio senza miseria: il prodigo fa spese eccessiue senza rispar∣mio, e'l tutto consumma senza verun honore, e fuor d'ogni propositò l' auaro per cumular, tanto è tenace, che niega il debito sussidio à bisognosi; e nel contrario eccesso, è così vitioso il prodigò, che consumando più, che non puole, per non mancar alle vanità mondane, cosi resta indebitito, che inhabile è à souenir à poueri, all' opere caritatiue, et apartenenti al culto diuino, e al honore del proprio stato.

B.

Ma se tanto spirito, ò vento han nelle cose terrene, co∣me via più non hauran nelle diuine?

F.

[ 14] Semplice che tu sei: ancor non hai aperto l' occhi: la lor fede è satisfar al mondo in apparenza, & ancor spesso ingannarlo, dalla vanità son eglino cosi accie∣cati, che in essa affatto perdano il senno, e col senno la fede, e co la fede l' anima gia n'era ita: donde restano cosi acciecati, che verso d' iddio del tutto sian più che tenaci, e col mondo omninamente in alcune co∣se prodigi.

B.

Ma non volete, padron mio, che qual e'l gentil huomo distato, e nome, tal egli sia ancor in fatti?

F.

Deh che pel tropo spronar la fuga è tarda. Tu meno sai di quel, ch'io credo; bastare, parmi, ti deue, quanto s'è di sopra detto; nulla di meno aggi∣ogno, il gentil huomo douer, conseruarsi nel suo stato, come disse il testo: Sta in gradu tuo: il che mai egli farà, volendo satisfar alla vorecita del mondo: oltra che ogn' vn sapendo quanto fruttifichino i suoi campi, et osseruando le superflue spese, dinanti

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Phonorano, e dopo le spalle di lui si ridano, et in tal cre∣credito lo tengano, che nulla fidarebbano alla sua fede, pur sonente lodandolo delle belle, e riche liuree, della lauta tauola, per le noue inuentioni, capriciose foggie, e pel ho∣norato seguito l'imbarcano pel vltima sua rouina, e spesso co'lricco Epulone, per inferno.

B.

Iscusatemi signore, per vn sol colpo vn alto Pino non resta atterrato.

F.

Vna sola sciagura, ò le continue mal regolate, ò le rade, ma accessiue spese pon rouinar vn nobile, vn Duca, ò Im∣peratore, per l'accessiui taglioni, e noue angarie, inchietar, e por à periglio, co se stesso, tutto il suo imperio, non po∣tendo durar, chi con ragion non si misura: Quindi Sala∣mone, chi non istima il poco, a poco, a poco cade, e al fin suanisce. Oltra che, li scialacquare con spese nell' hosterie, mezzo mai fù appo gli saui, d'acguistar ho∣nore, se non tra la ciurma.

B.
Assai conosco, et esseguiro il suo intento:
F.
[ 15] Crede, mai schermitor non fu si accorte * 1.108Aschifar colpo, ne nocchier si presto A volger naue da gli scogli in porto, Come de i passag gier in ogni punto.
B.

[ 16] Cosi conuien in vero; parendo ogn'vno al mal fare sol es∣ser nat, sol nodrirsci difrode, quello, in cui l'hum più si fida, via più esser falace; e tal par santo, che non crede in Christo, tal che, chi non si fida, non sarà gabbato▪

F.
* 1.109Questa vita terrena è come un prato, Ch'l serpente tra fiori, e'l herbe giace, E se d'alcun sua vista all' occhi piace, E per lasciar l'animo più inuescato
B.

Qual senno dunque sarà cosi sagace, che non si spauenti, ò tropo credendo à se stesso, non resti al fin ingannato?

F.
Per non celar, ma riuelarti il vero, Dopo che sotto il cielo mai cosa vidi

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* 1.110Stabile e ferma, quasi sbigotio, Mi volsi, e dissi; guarda in cui ti fidi; Pur sol mi fido in colui, ch'l mondo regge, Che mai fallito, Non ha promessa à chi si fida in lui.
B.

Il fidarsi in dio, ha assai del pio, ma confidarsi ne l'huomo, assai del sciocco.

F.
Essendo l'huomo s'instabile, e proteruo; Del tutto è cieco, ch' in lui sua speme pone: Tal che quando mi metto à peregrinare in strane contrade, Il pie và inanzi, e l' occhio ritorna adietro: nulla dimeno prima ben prouisto, fra di me stesso ì dico. Che valera il saper à chi si sconforta? Prudenza, e patienza superà il tutto.
B.

Il passaggiere principalmente debbe proporsi, disoportare, non viaggiare.

F.
Alpassagier prouar spesso conuiene Cose, che à riccordar reccan, gran noia. E à dirle, è nulla vn hora, e breue vn anno.* 1.111 Cerchiam il cielo, se qui nulla si piace.

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DIALOGO. IIII.

Fra il Signore Falsorino Italiano, Bulugante Inglese seruidore,
Datiari, Hospiti, Barcaroli, & il Patrone, e fante insieme fauellando, vsano le necessarie frasi a vi∣aggiare, allogiare, pigliar camera, annolar caualli, o Naue, o Barca, o Felluca, e con varij faceti motti, e diuersi necessarij auisi, e Poeticamente ragio∣nan della bellezza d' Italia, e delle brutezza delle sue angarrie.
Bulugante.

[ 1] SIgnore gli piace di bere, ò di far colatione prima ch' ella si parti?

F.

Parmi non troppo sano il manucar per tempo, tutta via hauendo patito la not∣te passata vna gran sete, voglio pigliare vn popò di pane, e bere un buon tratto del meglior vino, che sia nell hosteria per corroborarmi il stomaco.

B.

Io vado per esso, hie cora l'hauerete.

F.

Ma dimi prima; hai satisfatto l' Hosto?

B.

Signor si.

F.

E' egli contento?

B.

Contentissimo, benedice vosignoria per mille volte.

F.

Egli fa contra mia voglia, dio mi preserui dalla benedittione di cotal gnte.

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B.

Aspetta vosignoria in breue.

F.

Sta bene. Quando io ci ritorno, à riuederci; ma al tuo discorso eran forsi presenti la madre, e la figlia?

B.

Amendue v'erano, e quando io depingneua con ogni bella gratia all' hostiere l'affetione, che Ʋ. S. gli porta, la fi∣gliuola con la lingua, aguisa di gatta, si polliua, è arrubi∣nauca le labra, col fazzoletto si lisciaua le gotte, ninando, e mirandosi d'intorno si faceua tutta accetatuccia, indi drizandosi in linea retta, sotto voce cantando versi amorosi, spasseggiaua per la camera, souente interponendo alcuni singhiozetti, e cordiali sospiri, indi miraua la madre, e lei la figlia.

F.

Oh, oh, son vecchie noue: la vacca è ruffiana, la vitella putana. Ma doue son le selle, e valigetta?

B.

Gli caualli son già sellati, e la valigetta è presta sopra il cauallo nella stalla.

F.

Il seruo, che è di suo capo, rado s'menda: chi è auisato uon si puo iscusare: credi tu quando io ti parlo, facci, per pas∣sar il tempo? il mio auisarti, è vu comandarti: non ti am∣menti di quanto io ti dissi? hor vedendo, che far vuoi à tuo senno conuien, che tu appari alla tue spese: io ti protesto, che se perderai qualche cosa del mio, mi satisfarai del tuo.

B.

Farò come il cane spellato dall' acqua bollente, che teme ancor la freda.

F.

Stringe le cinghie, progimì la mia bacchetta, e tien la staffa, che hora io ascendo nol nome di dio.

* 1.112Chi ben comencia hà la metà de l'opra, Ne si commencia bense non dal Cielo. E fortunato fin non puo sortire, Se non la scorge il Ciel, mortale impresa.
B.

Comandate niente altro padrone?

F.

No, ascendi ancor tu, ma prima dimmi, dimandasti à che parte debbiamo andare, e voltare?

B.

Ho scritto per ordine, li nomi delle ville, delle castella, le miglia, e la distanza dall'vn, all' altro luogo.

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F.

Osserua quanto diletteuole sia in questa calda stagione, il caualcar nella fresca aurora.

B.

[ 2] Cosi altresi io gusto, ma' l ciel c' aiuti con tanti riuolgimenti di strade, quali dubitò, tutte esser cattiue.

F.

* 1.113Può, credo, il cielo ageuolar la strada.

B.

Qui c' è vna croce, dalla qual nascàn tante le vi, che hor mai ogn' vn resta in tal guisa abbaccinato, che non sa di cer∣to, per quale caminar sicuro.

F.

Non la croce, ma gli huomini col lor variare, fan gli altri variare, ma sia come sia voglia, per qualcheduna caualcar bistogna: à che temi?

* 1.114Nonsai tu, con quante forze iddio m'aiuti?

B.

Ma se per quella, che in ver parmi più si cura, larga, e battuta, niun ci vedo caminar in verò, ma sol in appa∣renza?

F.
* 1.115Non ti shigottire, che Scorta non manca a Pellegrin, ch' ha lingua.
B.

Ma se fosse vna de quei, che aguisa di Mercante, cercasse, non solamente di viuere, ma di arichirsi co la sua Mercan∣tia, e con magralogia mi persuadesse la tale esser la più sicu∣ra, e molto meno, ch' io ei la conoscesse, e se pur volpeggiando simulasse esso andar per essa, inuiando me verso la faticosa & erta, che non si vede, se non per fiato, egli à tutta briglia sempre tenendo al basso, osseruando io che fugge in vero, ciò che con nude parolle ei per ver m'insegna, credetemi, ch'io non gli credo.

F.

Tutta via egli è pur necessario, che ce ne sia vna buona per noi, se non vuoi dire

* 1.116Che solà è vna salute Al disperato, il disperar salute.
Sei tu nuohiero? de' mirando il cielo sta di bona voglia; via, segue senza interesse, quella che per le vere norme ti par più vera.

B.

[ 3] Ma mititubà il core, che niun si vede.

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F.
Non dubitare: * 1.117— Che vertù al valososo vnqua non manca; e * 1.118Chi smarrito ha la strada, tornia dietro, Chi non ha albergo, stia in su'l verde, Chi non ha oro, ò lo perde, Spenga la sete con vn bel vetro.
B.

[ 4] Dunque ne l' auenir più debbo esser audace.

F.

* 1.119Si audace si, ma cautamente audace.

B.

Ma che diresti signore, se restando noi al sereno, à suo buon caso, et a nostra rea fortuna, sopra giongesse vn' affamato Lupo?

F.
Faressimmo contra il contiglio del Poeta. * 1.120Non rimaner à l'orba notte alcuna, Sotto il pouero ciel, luce ci Luna: Ma bisogna mirar più inanti, che * 1.121A notte rea, giorno più reo succede — pur non ti sco∣mentire, poscia che: * 1.122Ogn' vn dal di che nasce, ha sua ventura.
B.

[ 5] Cosi parmi d' osseruar, ma pur si dice, ogn'vno esser archi∣tetto della sua sorte.

F.
* 1.123Più souente aduien, che'l saggio, e forte, Fabro à se stesso è di beata sorte. [ 6] Ma ancor non bai prouato, che quando io voglio, * 1.124Ho'l spauento ne l'occhi, e in man la morte — oltra che in vero nulla mi puo terrire, che più, che souente ho già prouato. * 1.125Iuarij assalti, e'l fier horror di morte, Ei graui giochi del caso, e della sorte — e pur, quando mo∣rir douesse: * 1.126Ʋorrei morendo ancor parer non vinto. Ma à che ridi? * 1.127Creddi, che sarebbe opera più di furor, che di speme.
B.

Confessiamo il vero, senza hauer noi cenati, presti gli sa∣remmo per vna lauta cena, è cotesto parmi la mondana prouidenza tanto essaltata, co l' estrema miseria di molti, beatificar vn solo, però meglio è per fuggir il pericolo, affret∣tar [ 7] i passì.

F.
* 1.128Ogni rischio al valor sempre è si curo: * 1.129Nella vertù è ripisto ogni mio bene.

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Il valor dalla vertù, la vertû dalla fede scaturisce, e però tu temi, per che nella fe vacilli, e Che di là non comenci, onde conuiene, * 1.130Confida in quel signor, ch' a pij souiene, * 1.131E con la gratia i preghi altrui preuiene, Ma che badi? de scende, che lasciaren ripossar le bestie, fin che soprauenga qualche disperato, che ci mostra la via, ò buona, ò rea, che sia.
B.

[ 8] O che belli, vistosi, & artificiosi campi, nel mirar la lor vaghezza, si mi ringiouenisce il core.

F.
* 1.132Nouo fauor del ciel in noiriluce. Ʋedesti vnqua tu aira cosi serena? * 1.133O belli paesi, ò diletosi fiumi, O vagi colli, Lieti fiori, felici, e ben nat'herbe, Amorose, e pallide violete, Ombrose viti, oue percote il sole, Che vi fa co suoi raggi alte, e superbe:
B.
Certo, se nel mondo v' è paradiso, questo è quell'vno:
F.
Zefiro ritorna, e bel tempo rimena, * 1.134E fiori; e l' herbe sua dolce famiglia, E garrir Progna, e pianger Filomella, E prima vera candida, e vermiglia, Ridàno i prati, e'l ciel sirasserena, Gione s' allegra di mirar sua figlia, L'aira, il' acqua, e la terra è d'amor piena: * 1.135S' ammoliscan le scorze, e si rinuerde Più lietamente in ogni pianta il verde, * 1.136Raddopian le colombe i baci loro, Ogni animal d' amor si riconcilia, Par che la dura Quercia, e'l casto Alloro, E tutta la frandosa ampia famiglia, Par che la terra, e l' acqua, e forme, e spiri Dolcissimi d'amor sensi, e sospiri.
B.

O che diuin paese, ò che belle contrade.

F.
V'è l'aura molle, e'l cielo sereno, e lieti Gli alberi, e i prati, e pure, e dolci l' onde;

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Oue, fra li amenissimi Mireti Sorge vna fonte, e vn fiumicel diffonde, Piouàno in grombo l' herbe, i suoni queti Con vn soaue mormorio di fronde, Cantan l'augelli; i marmi, io taccio, e l'oro Marauigliosi d'arte, e di lauoro. Olmi mariti, à cui tal hor s'apoggia La vite, e con pie torto al Ciel sen poggia.
B,

L'aria, l'odor, il refrigerio, e l'ombra, & ogni cosa par che a voi s'inchina.

F.
Per dirti il miò pensier miò Bulugante, * 1.137Io vo pensando, e ne'l pensier m'assale Vna pietà si forte de me stesso, e * 1.138Tra pensier vari, non so doue m'impiegi, Passo pensoso i di, pensoso, e mesto La notte, e pria ch'al ciel scia l'aba accesa Ne già rimane in me tanta virtute Che à discerner le cose, hor io sia presto.
B.

Coraggio padrone per tutto è buona stanza.

F.
* 1.139In ogni paese in ver, è bona stanza; * 1.140Ed ogni stanza al valent buomo, è patria. * 1.141Ma non son, come a tepar, le ragion pari, * 1.142Ne il perduto ben mai si raquista. * 1.143Egli è soaue cosa à chi del tutto Non è priuo di senso, il patrio nido, Che diè Natura al nascimento humano Ʋerso'l caro paese, ou'altri è nato, Vn non so che di non intenso affetto, Che sempre viue, e non inuecchia mai. Come la calamita, anchor che lunge Il sagace nocchier la porti errando, Hor doue nosce, hor doue more il sole, Quell' occulta Vertù, con ch'ella mira La tramentana sua, non perde mai, Cosi, chiva lontan da la sua patria, Benche molto s'aggiri, e spesse volte In peregrina terra anco s'annidi,

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Quel naturale amor sempre ritiene, Che pur 'inchina à le natie contrade: O da me più d'ogn' altra amata, e cara, Più d' ogni altra gentil terra d' Italia; Che col pie hor tocco, e con la mente inchino; Se ne confini tuoi madre gentile, Fusse io gionto à chiuso occhi, anco t'haruei Troppo ben conosciuto: così tosto M'è corso per le vene, vn certo amic Consentimento incognito, e latente, Si pien di tenerezza, e di diletto, Che l' hà sentito in ognifibra il sangue; Tu dunque Bulugante, che del camino Mi sei stato compagno, e del disagio, Ben è ragion, che nel gioire ancora Delle breui dolcezze tu mi accompagni.
B.

Breue in vero è ogni terren contento, nulla dimeno parmi il godere cotanto felice patria, che ogn' altro ecceda.

F.
Che con mio dolor, io ne sia priuo, Sappi, ch' è di Fortuna, e non mia colpa * 1.144Duro mio cor, se non ti spezzi, e frangi: * 1.145Pianger ben merti ogn' hor, s'hora non piangi. * 1.146Ah Fortuna rea à me sempre nimica; Non veloce a lo schermo io son cotanto, Che più tu rea non si pronta a l'offesa. E se pur schernendo risposta rendo, Di nuouo m' affronti, e se riccadi, Incrudelit à all' hor via più m' offendi. Sorte, io tiresisto, ma non è senza Segno di fuga homaile resistenza; Ʋano trofeo d' abandonata terra: Pur fa quanto tu puoi, che nulla temo: * 1.147Fortuna fortuneggia quanto sai, Che peggio non mi pifar, che fatto m'hai.
B.

Bisogna padrone mio il tutto pigliar in bona parte, e co'l essempio de l' aliri, conslarsi.

F.
Prendo essempio d' altristati rei,

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* 1.148Facendomi profitto l' alturì mali, In consolar i casi, e dolor miei.
B.
Picciol, ò grande, ogn' vn portail suo sacco:
F.
* 1.149Poiche dispietata mia fortuna M'ha dilongato dal maggior mio bene, Lagrimar sempre è'l mio sommo diletto, Il rider doglia, il cibo assentio, e tosco, * 1.150Le mie vedoue notti, i giorni tristi, * 1.151Le notti affano, e'l ciel seren m' è fosco, E duro campo di battaglia il letto: * 1.152Ne c' è pur vn, ch' al mio doler, si doglia: e Quanto più il fin bramo, ei via più fugge:
B.

Deh signor mio, mi par cosa da sauio, viuer quanto si può, et esser più tosto humano vso il bramar la morte, ch'vn de∣liberato, e fermo desiderio dimorire.

F.
* 1.153So, che egli è vso commune, & arte Di ciaschun, ch' ama, minacciarsi morte, * 1.154Ma rade volte vedian seguir l' effetto: M' à quel ch' odo, ancor ben non mi conosci: Il mondo sprezzo, i mortali, sprezzo la morte.
B.
Chi il tutto lascia, di nulla si cura, ne si lamenta,
F.
Bulugante mio è pur troppo vero: * 1.155Pur par ch' il mio doler, m'areca gioia; Quindi souente, io cosifauello: * 1.156Signor, che in questa carcer m' hai rinchiuso, Signor, che veddi ogni pensier aperto, Ho di mio corso gia passato il mezzo, Sta mane era fanciullo, & hor son vecchio; * 1.157Torno canuto onde parti gia biondo, * 1.158Siamì signor del tuo fauor non paro, * 1.159Tu me vedi signor non pur mortale, Ma gia morto à diletti, al dul sol viuo; * 1.160Dopo mia stella, e la mia dura sorte, * 1.161E sciagura mi spinse in luog hi strani, Fa che non abusa la tua pietate:

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* 1.162Mi trouo stanco, non che di viuer lasso, * 1.163Et ogni di il sentier parmi più erto, * 1.164Dal nauigar per queste horribil onde, Ʋeggio al mio nauigar turbati i venti, Veggio fortuna in orto, e stanco homai Il mio nocchior, e rotte l' arbore, e sarte: * 1.165So, qual nocchier, che da marini inganni Ridotti ha i legni à desiati porti; Raccor dourei homai le sparse vele, Ne fidarmi di nuouo al mar crudele.
B.

* 1.166Auertete padrone mio, il sperare, e'l tolerare esser opra virile.

F.
So, e spero, ch'l malfa tregua Tal'hor, se speme in me non si dislegua Spero, ch'l sol cadente anco rinasce, E'l ciel quando men luce, L' aspettato seren spesso riduce: Ma Bulugante mio sappi di certo, * 1.167Ch'i son si stanco sotto il fascio antico Delle mie colpe, e de l'vzzanza ria, Che temo forte dimancar per via, E di cader in man del mio nimico; La somma mia, è di mia morte rea: * 1.168Perdente, e vincente Dio mi pucifare, E nelle auerse mie molte fortune, Farmi vià più maggior, che quando i vinco.
B.

Deh signor mio, che già, mi persuadeuate esser tutto cuore, donde tanto cordoglio? costi d' intorno predicano, hauer podestà, co'l fiato, e co le dita, di piegar il cielo, et aprir l'in∣ferno.

F.

Falsorino mio, cosi t'appello, poscia che me Falsorin tu segui.

* 1.169Religion contaminar non si conuiene: * 1.170Io son de la caligine del mondo, E de la carne già di modo asperso, Ch' l Nilo, o'l Gange, ó l' Ocean profondo, Non mi potrebbe far candido, e terso:

Page 256

Sol la gratia del cielo, quanto ho d' immondo Può render puro: al cielo dunque conuerso Riuerente perdon richiedo, e spiego Le mie tacite colpe, e piango, e prego.
B.

Signore meglio è, che se ne andiamo per ralegrarui, che mutandosi loco, si mutera pensiero.

F.
[ 10] So, ch'l souerchio dolor puo far insanno, * 1.171Nulla dimeno tener non mi posso. * 1.172Alma mia che pensi? alma che fai? Pensar non poì di tornar adietro, Ne sperar deui, che ritornar non lice, Ed è sano consiglio * 1.173Tosto lasciar quelche tener non puoi: Ah: Italia mia sol sto sospiro ardente Sia in verace testimon del core, Spronato fui à farti vn tal honore, Dal fonte di Pietà chieddo perdono; * 1.174E spero ancor signor, che dopo tante Fatiche vn giorno tu mi ristori à pieno, * 1.175E cosa diuina sarà per certo, Che preceda à seruigi il guidardone.
B.

[ 11] Padrone fa di mestiere in questa vita esser buon cortigiano, e con l'esterna allegrezza coprir l'interna doglia, e pel con∣trario.

F.
* 1.176Cesare poi ch'il traditor d'Egitto Gli fece il dono de honorata testa Celando l'allegrezza manifesta, Pianse per lo'cchi fuor, si come è seritto. Et Anniball qnand' â l' imperio afflitto, Ʋide farsi fortuna si molesta, Rise fra gente lagrimosa, e mesta Per finger il suo acerbo despitto: E cosi auien, che l'animo ciascuna Sua passion sotto il contrario manto Ricopre con la vista, hor chiara, hor bruna, Però, s'alcuna volta io rido, ò canto, Faccio'l, perche non ho se non quest'vna Ʋia, da celar il mio interno pianto.

Page 258

B.

Cotesta parmi esser, quasi vna commun arte, talche mai potiamo conoscer l'intento d'una cupa mente.

F.
[ 12] Ma mira il Ciel, e come è bel il sole. * 1.177Che à se par c'inuiti; e ne console, * 1.178Altre cure, altra pensieri, e * 1.179Mostra che altri pensieri, altri lamenti. Dunque Per più alta cagione il tempo chiede, Che hor non pensa alle mie antiche colpe: Ogni trista nouella dunche si lascia, E pongasi in obliò l'andate cose. * 1.180Non più io spero di vedar sto Cielo Per Volger d'anni, o per cangiar di pelo: * 1.181Quantunque spesso (per confessarti il vero) Io tema, e mi rimorda tal' hor il cuore Sdegno, vergogna, conscienza, amore.
B.
[ 13] Ma con licenza hor conosco Ben gran cose signore, e longo corso * 1.182(Mirabil passaggier!) già hauete scorso, ma

Dio ci mandi buona ventura, che gente è quella, che ci vien incontro?

F.
O buona, ò rea, non conuien fuggire. * 1.183Che tutte quello, che c'incontra, O di bene, ò di male Sol di la sù derriua, come fiume Nasce da fonte, ò da radice pianta, E quanto qui par male, Doue ogni ben col molto malo, è misto,

E ben la sù, doue ogni ben s'annida. Ma che fai? Con ciuiltà dimandagli la via.

B.

Per cortesia Signori insegnatemi la diritta strada per Napoli.

F.

Che t'ha rispost: che seguitiam la piú calpestraa? ma quante miglia ci sono?

B.

Mi son dimenticato, di dimandargli.

F.

Auisa il Sole: egli è hora di pranso.

B.

Pur troppo il miro, ò troppo egli mi mira.

F.

Certo di te ei è inuaghito, ti vuol rubinare, far sudare, boglire, imbrunire, & abbruggiare, per suo amore.

Page 260

B.

Il commun mali reca minor noia, s'io son rosso, ne anco e miei vicin son pallidi.

F.

S' Africa pianse, ne anco Italia rise: ma è uui altro di n∣uo; ho vna gran fame, e sai.

S'al passaggier tra via il cibo manca, * 1.184Conuien per forza, ralentar il passo Scemando la vertù, ch' l fià gir presto.
B.

Io prouo, che sacco vuoto non puo star in piedi: ho dimanda∣ta à colui della testa piana, e caluezzata, ò calueggiata, quanto sia di qui alla Città prossima; ma, ò muto, ò mato che sia, non m' harisposto, ma suspirar non bisogno inanti il tem∣po, ecco che colà si scopre vn buon villaggio.

F.

Ʋatene inanti, e senza induggio cautamente vede, doue potiam vallare per rinfrescarci.

B.

[ 14] Credo, ch'ogni hosteria ci seruira per vn sol pasto.

F.

Si sta assai peggio, et via più costa vn cattiuo albergo; fa senza replicà, quanto io ti commando. Perche pria, ch'io ti fauella, io c'appenso, et il pensier communico con la ragione, e'l senno. Quantunque il ben preueder sempre nō ben suc∣ceda.

B.

Io vado, e teste ritorno.

F.

Eche cosi presto vieni? che porti di nuouo?

B.

La Villa è pouera, e piena di scalza cani.

F.

La necessità non serua legge, bisogna seruiere al tempo, ac∣comodarsi al luogho, et alle persone.

B.

Egli è vero, pure dalle pietre, non si puo cauar latte, ne dalle spine se non punture.

F.
Amico come si dimande questo vollaggio. Malporto.
F.

Notasti colui? dubitò, ch'l demonio lo componesse.

B.

Ese no lò porti ancora: ecco l' hosteria vnica Fenice in que∣sta terra.

F.

O dicasa: niun risponde; dubito, che fia l' albergo di pipi∣strelli, ò delle nottule, ne che ci sia cener calda.

B,

Più tosto il non hauer risposta, e' vn tacito diuin auiso, che tosto ci n' andiam condio.

Page 262

F.

O ecco vno col mal anno, ch' Dio li dia, con tutta la sua compagnia.

Che di mandate signore.

F.
Hauete nulla da manucare? Smontate se vi piace, e dimanderò alla padrona.
F.

[ 15] Ʋa, e ritorna hotta a hotta amico. Che ti ne pare? poco sennuto, credimi, è quel nocchiero, ch' in periglioso mare, lascia la cura a feminil ingegno.

B.

Ma doue tale e'l commun vso?

F.

Sia doue si voglia, essendo per legge di Natura, e ancor di Dìo, capo della donna, s'ella fà, fa, non come sua maestra, ma sua ministra; e se pure tali' hora auienne, che l' huomo si sotto ponga al donnesco giudicio, chiaramente dimostra, ò dal senso esser acciecato, o esser di senno inferior della fe∣mina. Il che appo i sauij sempre fù, e sarà non picciol scorno al nostro sesso.

Signore non c' è per hora, cosa veruna presta, eccetto che cruda carne in copia.

F.

Fa spasseggiar vn popò gli caualli, poscia instalali in buona, e sicura stalla, dindi ferma la porta con la chiaue, e lasciati vedere. Dio vi salui, con licenza amico, sederò vn tanto∣lino per riposarmi.

B.

Eccomi signore.

F.

Ʋedo ben hora, che la fame, e' l bisogno, ti metan l' ale à piedi: ma doue sono le bestie, e valigetta?

B.

In vna stalla circondata di mura de mattoni, con vna buo∣na porta chiusa cola chiaue, qual io conseruo. Ma ecco vn sobrio, e pouero disnare.

F.

Ma doue e' l vino?

B.

Il fante lo porta.

F.

Non riempir il bicchiero, porgimi quell amolà, ò guastada co la bocca stretta, che mi voglio spegner la sete: va à ma∣nucar nell' altra camerà.

B.

[ 16] Eccomi signore, vogliamo andare?

F.

Fati dar il conto per noi, e la caualcatura.

Page 264

B.

Signore l'hostelano è comparso, e m'arreccato questa nota in seritto.

F.

Che persona è egli?

B.

Male nouelle certo: ha poco ciera d'huomo, e nel proceder è tutto bestia, di corpo dalla Natura mal composto, zoppo, gobbutto, e quel che è peggio, di nation Calabrese.

F.

In poco tempo, egli ci puo dar poco trauaglio, lasciàmiveder la lista, ma come puo stare, che per cosi pouero pasto sia cosi gran nota?

B

Vosignoria meglio di me sa il tutto.

F.

O che conscienza da lupo, ò che lingua infernale? Diman∣da per la biada vn scudo, per quella pocca, e pessima carne di succido porco, qual io non tocai, vn scudo e mezzo, pel vino, otto bolognini per l'oua, ò che bestia bestialissima cornuta? ' è l'ultima partita, ch'io non intendo, ne men ca∣pisco, leggi tu, che mi vien l'humore, et ascende lasmania al capo,

B.

Che legerò forsi io?

F.

Sei diuenuto sordo? guarda, che l'innocente non patisca per il peccatore.

B.

Item, per la figliuola dieci scudi.

F.

Le bestie à nostri giorni, comencian à fauellare: Che dice della figlia?

B.

Di già la lessi, ma non osaua di motteggiar sopra di ciò co V. S. credendo, che ella, che più inanti, ch'io ha studiato, intendesse li termini di tal lettione.

F.

Anzi io peggio, che tu: vatene à quella lingua infame, e digli, che gli voglio spellare la barba à pello, a pello.

B.

Auertite Signore siamo Passaggieri, ridotti in vn mala villa, capitati in peggior hosteria, e sottoposti ad vn pessi∣mo hostiere.

F.

Tanto peggio per esso, non dubitare, fagli dicchiarare l'ulti∣ma partita de scudi dieci.

B.

Dice per hauer goduto la sua figliuola, il che negando, soggionse, che se non l'hauete goduta, non della donna,

Page 266

ne del padre, ne men della madre, ma vostra è stata la colpa, però essendo in ciò voi sol colpeuole, a voi solo conien pagar la pena.

F.

Che ti par di cotal tiro? coteste son le conscienze hostolane: questo m'è tirocinio, e più che nuouo.

B.

Siamo gionti tra l' vscio, e'l muro, fra, Hoste, e pu∣tane.

F.

Ci mancav scolare, vn veturino, vn sbiro, vna spia de dazzi, vno che dia camere locande, ed vn barcaruolo, che peggio non si potria aggiognere.

B.

Non vi sia molesto patrone hoggidi apparar da me questa regola. Con le donne honorate, bisogna. Che l'huomo non men honestamente, che honoratamente proceda, ma con le meretrici, ò anegarsi senza morire, o come dalla peste star le lontano.

F.

Tu dici il vero, ma parli troppo tardi, essendo già noi gionti alla trappola.

B.

Che faremo signore, il sole tende all' occaso, mi disse, che più non gli ritornassi con parolle, altrimente che gettato à terra l'vscio, ci leuara ij caualli.

F.

Che mi narri tu? relligione non c' è nel mondo, sol che per forma, piglia, e pagalo, e dagli cetesto giulio di più per api∣carsi, e andiancine con Dio.

B.

Io ispedirò tantosto.

F.

Sciolto è il nodo? l' arpia è satisfatta? sono otturate le fauci del cane infernale? che disse egli?

B.

Mormorando, e bestemmiando come vn demonio, intascò l'argento, dicendo, che in sua conscienza, ci hauea compassi∣one, per esser noi passeggieri.

F.

Haraggione, ci mancan le busse per achetarlo.

B.

Di gratia non facciam mentione di busse, Dio voglia, che quindi si partiamo senza esser prima, ben, ben bus∣sati.

F.

L'innocenza, e verità non sai, che vince il tutto? e doue co∣teste macan, il valor supplisce.

Page 268

B.

Mirate il mondo, leggete l' Historie, e toccarete con mano, che la minor forza sempre resta confusa?

F.

Cotesto è legge di natura. Fa bere gli caualli, imbrigliali, et adiancine, che mi par esser nel fuoco.

B.

Piace à Ʋ.S. d' ascendere.

F.

* 1.185Tiemi la staffa: ma doue è cotesta bestial gente, Vota d'ogni valor piena d' orgoglio.

B.

Proprio è del reo fugire la luce: non voglian esser riconos∣ciuti altroue; ma ecco due, che vengam, dimandarògli quanto sia à Napoli?

F.

Chi ne dubita?

B.

Allegramente, ci sono sol quattro miglia.

F.

Cosi mi pensauo, è meglio che andiamo ripossattamente, acciò gli caualli possino stallare, se vogliano, e rinfrenscarsi pria che noi valliamo; ma che ti pare del nostro buon hoste? credo che costandotinulla, il tutto aguisa di fumo, ò sonno sia già suanito.

B.

Suanito ah? aguisa d' vn bue, ò capro andauo il tutto ro∣minando.

F.

Chi scampa vn punto, ne fuge cento, e meglio impara.

B.

Sono coteste certe lettioni, certo d' apparare senza Arte di memoria.

F.

[ 17] La borsa serue per Arte: Mase in breuita io ti narrassi, con ch' Arte putanesca da genetori mandata, meco vsaua la me∣retrice, turideresti.

B.

Apresso à poco m'auuiso il tutto.

F.

Di prima adopraua ogni Ʋolpina malitia, acciòche per cotesta notte costi io cortcassi.

B.

Pensauan di comporui vna salata notte? ma pur vosignoria douea, esser almen buon scolare del Tiraquello: che il par∣tito, che debbe piglior l'huomo in simil caso.

Ci l' insegna Natura, e ci la addita.
F.

Si dipingneua vna citella, vna colomba senza felle, vna santa Nafissa, vna vergine vastale, giusto vna disciplinata monaca.

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B.

Si, ma forsi del monestrio di S. cresceinmano.

F.

Io che nell intrar in camera fissatole l'occhi da capo a piedi, alla conciatura del capo, al liscio della faccia, alle vsti, all' affettate creanze, alla forma di girar l'orchi, e pullir le labra, persuadeti, che senza bilancia io la squadrai sino vna minima onciacia, quantò pesasse, e di sotto li panni quanto putisse.

B.

Bono è hauer guiditio, ma meglio è pratticarlo.

F.

Ella osseruando, che col suo vuolpeggiare atta non era à farmi passare ij termini honesti, ne che facea l'intrante, ne venea alla prese, ne al gioco della lotta, ne come persona graue, col profrile oro, ouero argento, non mi acostaua al qui di fargliscuoter la coda, sapendo il tatto esser molto piu efficace, che le parolle, e l'atti, comenciosi ad accostarmi.

B.

Col fucco la carne assai ben bolle nell' olla. E bene che più?

F.

S'i con vn solcchio la miraua, ella con amndune, s'io la toccaua, più si mi aicinaua, se con vna palpebra le acen∣naua, co amendune mi respondeua, con li più arloteschi atti, che mai io viddi.

B.

O, O, ella è robbazza da dazzio: pur al passaggiere spesso conuien pigliar qual, che egli pule.

F.
* 1.186Prmi aguisà d'un consilier fallace, Con tue lusinghe al van piacer m'alletti. * 1.187Custodita era la rocca del mio core. Donde aguisache l'onde si spezzan, percuotendo vn duro scoglio, cosi al mio stabile proponimento il tutto suaniua▪
B.

Cotesta è rara Virtù, però tanto più rara.

F.

Pensaua certo di trattenermi per farsi padrona del mio cuore, qual mai puote tanto abassarsi, che seruisse, ò si dase in preda di qual si voglia donna, ne sepelersi in tal calamitade.

B.

Ch' il cuore possiede, possiede il tutto, e chi per

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breue piacer sene priua, del tutto come folle, certo si priua, e sempre tardo si pente, ò a sua vltima rouina mai si ripente.

F.

Tu finalmente, chiamandomi à quel herboso pranso, e parco discinare, vedendosi gionta (come candella alla cera verde) per vsar l'estremo forzo, e dar l'ultimo assalto, accostò corpo à corpo, e a faccia a faccia si congionse, e ponendomi le braccia sopra gli fianchi, ed incrociando le mani sopra li lombi, e sentendo che l'instrumenti di bot∣tega eran gia presti, con arte feminile, che sopramonta in ciò ogni altra frode, s'ingegnaua di farmi nella meta natu∣rale scocare il dardo.

B.

Pochi descendenti d' Adam sarian stati, che con esso gusta∣ti non hauesser di qualsapore era quel fico.

F.

Ma io lasciandola su l' asciuto con vn sol baccio, datole per cortesia senza mal fine, pensa come assalita d'vn graue parocismo, ò cordial sincope, restò la putanesca verginella.

B.

Ʋirginella ah? si forse della nostra età, di nome, e di ce∣rimonie: ma la Ʋacca era for si vistosa, e bella?

F.

[ 18] Era bellissima, non perche mi piacesse, ch'l mio giuditio auttorità non ha di diffinire, ma perche tal era in vero: e so, sol la bellezza, e la mal vzanza del suo paese, la fa∣ceua più del douer superba, e audace. Era giouene, e fresca, di bella, e leggiadra statura, di sua natura ragio∣neuolmente morbida, co crini biondi, con fronte assai alta, e spaciosa, in cui l'occhi non men viui, che neri, e vaghi e proportionatamente grandi impressi hauea, lè ciglia ar∣cate col naso in bella forma, bianche, e vermiglie le gotte, l'orechie picciole, le labra mediocri, gratiose, vine, e ru∣biconde, con le puzzete nel mezzo delie angeliche guan∣cie, e nel mento, ij denti bianchi come l'auorio, ò più tosto aguisa di neue, ed vna lingua, che non penetraua, ma sa∣ettaua il cuore. Nel remanente tanta ben composta,

Page 274

come formatada vna diuina mano, nata in conchiusione per impreggionare ogni incauto huomo, eà incatenar sol, ch' è priuo d' ingegno.

B.

Ricordateui signor di Dauid, e del sauio Solomone, e tac∣cio, per breuita, l' altri.

F.

Lieua cosa è, àchi vuole, vsar industria, la disciplina della lingua, conuien Filsofar co fatti. Non dalle risposte, ma dalle vere marche, dall opre, e dal fine si misura l'huomo, ma sia come si voglia, io mi rimetto al vero: basta che restian instrutti à fuggir il male, e sue occasioni.

B.

Ma come cotesto potremo discernere; dalnome, e dalla fa∣ma forse?

F.

Il nome, la fama, e l' honore cosi incerto, e fallace noncio ci aporta, come l' orina al medico; anzi credimi, che non fa∣uello senza ragione, peggiori al mondo spesso trouerai, quel∣li, ch' han meglior nome, et ascedando à gran stato, ciò spesso procedendo non da vera vertù, ma souente d' abondanza di malitia, che di palliato Virtù vestita, vera Virtù à ciechi apare: che propria è del vitioso mondo (se ben l'osserui da quel Principio, ch'in scritto reccar cipuò l' humana me∣moria) non poter tolerare, però sbandire, atterrare, & an∣nullare, se può, la Ʋirtù, e co la Virtù, sepelire la verità, di cui proprio è cercar il cielo, e disprezzar la terra, e troua∣mi hoggidi, se puoi.

* 1.188Ʋn Regolo, che amò Roma, e non se stesso.
B.

Questo parmi insegnarci l' essempio di giusti senza malitia humana, de Profetti, e del nostro saluatore, quali mai fù possibile. che scribi, e Farisei, Pontio Pilato, e l' aliri so∣portassero. Ma come, iscusatemi Signore, sarete voi nel numero de cotesti, hauendo voi cercato di fauellar conquella donna?

F.

[ 20] Sappi, che come l' oro si conosce col martello, e paragone, cosi la virtù col suo contrario, però ciò feci sol per prouar qual scintilla della antiqua Virtù in me restasse.

Page 276

B.

Chi non fugge il periglio, di leggieri in esso resta som∣merso.

F.

Ogn' vn piglia la somma conforme alle sue spalle.

* 1.189Se tu il cuor mio hauessi penetrato; I era Anassarco intrepido, e virile, I, Exenocrate più saldo ch'vn sasso, Che nulla forza il volse ad ato vile.

Peuso che alloggiraemo tardi, e chi tardi agiogne, di rado alloggia bene.

B.

Non dubitate signore, ecco le mura.

F.

O Napoli di sito, di fiori, e frutti tutto gentile, e sol di pa∣rolle, e di proferte tutto ciuile.

B.

Siamo gionti alle porte.

F.

Dunche portati bene.

D.

[ 21] Amico d' onde venete?

B.

Amico, io non ti conosco, dimanda al mio padrone.

F.

Che dimandate soldati?

D.

Di qual luogho venete, e doue andate?

F.

Veniamo dall' hosteria di mal porto.

D.

Di che paese sete?

F.

Ioson Italiano, il mio fante è Inglese.

D.

Hauete denari in quantità, colane, manili, o pietre pretiose: o qualche cosa non ancor vsata?

F.

S' io n' ho, permio vso n' haggio.

D.

Se ne fate mercantia, vi conuien al datiero pagar la datia∣ria, per che cosi è dal Principe datiate, che d' ogni cosa si paghi datio.

F.

Io non son Mercante, ne meno agente loro, ne ho; che peg∣gio è, nulla di nuouo.

D.

Ite signor inanti, e costi badate vnpoco, e tu magna gua∣dagno, di che paese sei.

B.

Io son Inglese.

D.

Come si chiama tuo padre.

B.

Ʋalentino incostantini.

D.

Tua madre.

B.

Madonna Costanza Fregosa.

Page 278

D.

Vatene con Dio: ò là, no tanta fretta; amendune ritorna∣te à dietro.

F.

Che più volete, non siamo ispediti ancora?

D.

Signore bisogna descender da cauallo.

F.

Per esser voi official reggio, v' obedirò, ma ciò mi par via più che strano: e ben che ci resta à fare?

D.

Entrare signor là dentro, ed vno vi vuol fauellare; e tu, che hai nella tasca, sotto il giupone, e nella valigetta?

B.

Già io vi dissi, che solo ci sono cose per vso del mio padro∣ne, ese non micredete, eccouila chiaue, cercate quanto vi piace.

D.

Sei huomo da bene, sei ispedito.

B.

Credo tropo da bene io siae pel vostro profitto: ma il mio pa∣trone è forsi trasperito, ch' io non lo vedo?

D.

No, no: ritornerà tantosto: eccolò che sortisse. Signore do∣ue volete alloggiar sta notte?

F.

Qui son passaggiere, s' io posso alla megliore, e alla più com∣moda hosteria, che sia nolla cittade, sapete voi quale, tale sia in vero?

D.

L'hosteria dell' Angelo, tutta via potete andare douunque vi pare, e piace, et à tal fine eccòuila boletta d' alloggiare, senza cui niuo vipuo accetar in casa.

F.

Vi ringratio, state con Dio.

D.

Ma signore bisogna pagare vn tanto.

F.

Aspetaua ben io, che il tutto non si rissoluesse in far sbor∣sar danari, occòui quanto chiedisti.

D.

Signor cortese ogni gentil'huomo, che passa, ci lascia la buo∣na mano; non vi piace d' esser scritto nel numero di co∣testi.

F.

Per dirui il vero, di ciò poco mi curo; tu hai fatto per tuo vtile quanto doueui, ed io pagato ho quanto chiedesti siamo del pari, a dio.

D.

Io dimando, non per debito, ma per cortesia.

Page 280

F.

Egli è gran discortesia per lege di Natura, vsar cortesia alla discortesia, per hor non mi trouo disposto, à maggior comodita ci riuederemo.

B.

Signore caualcaremo forsi?

F.

Parmi già esser tempo nella mal' hora, che dio teste manda à chi inuenta, e patisce cotante angarie: che t'hanno detto, e fatto cotesta canagliaccia di spie.

B.

Hanno voluto veder, e riueder il tutto, e cercar il pel nel vuouo, e se c'era qualche cosa di nuouo, era perduto. Con Biri, Hosti, è putane, teste che sia possibile, bisogna suilu∣parsi, e stargli da lontano, & imitar colui, che salta sopra la fiamma, che s'egli non fa presto, resta, abbruggiato.

F.

Sei vn marmochio, ma hora parli da sauio.

B.

Ma con licenza signore, che tanto badaste colà dentro?

F.

O diò, che mi dimenticaua di narrarti ili utto; perdirtelà in breue, m'hanno tastato da capo sino, a piedi, e tra l'osso sacro, e'l dattilo, e tra spondei, e per cantartelà in pocchi versi, dubitando, che non fossero di quella gente crudel di Norsa, non mi restò fiato nel ventre, non vn pelo intorno, ne vn quattrino in borsa.

B.

O che vedo, ò che odo io à giorni miei, che enorme vitu∣perio? che l'Italia, quale co la sua Vertù, ualore, e senno, già molto si sottopose cotanti regni, à cui obedi ogni nati∣one, donde la sonora tromba della lor chiara fama, da per∣tutto ribomba, e la lor degna gloria risplenderà in perpe∣tuo: hora del tutto effeminata; poste le sue natie vertù dopo le spalle, e dimenticatasi affatto il viuo, e glorioso es∣sempio de suoi antecessori, fatta è pouera, tributaria, mercinaria, schiaua, non sol à proprij, ma ancor a strani lupi, e quasi hormai peggio, ch'vna vilissima giomenta, è pigro bue in soportare ogni giogo inhumano.

F.
* 1.190Qual esser già soleua libera, e bella, Hor desolata, e serua Questa antica mia terra, ond' io deriuo.

Page 282

* 1.191O veramente sordi, ignudi, e frali [ 23] Poueri d'argomento, e di consiglio, Egri del tutto miseri Italiani. * 1.192Ʋano error vi lusinga, che non vedete, Ch' hauete il freno in becca, il giogo al collo; Ese à me lecedir, quel ch' io ne sento, * 1.193Poco vedete, e parui diueder molto: * 1.194Qual sonno, e qual letargo ha sisopita La vostra virtù, e qual viltà v' alletta? [ 24] Viui viuo specchio del valor prisco; * 1.195Ogn' vn lo sa, splendette in te di Marte * 1.196Già l' honor, la disciplina, el' Arte: [ 25] Deh mira gli aui, il diuulgato honore. Longe precorso in loco erto, e solingo; Tu dietro anco riman lento cursore; * 1.197Mira del roman fonte vetusto I tuoi riui dedur puro, e incorrotto; * 1.198Stan coronati i Principi d' Alloro; Contempla bene le guerre, e i preggi loro: Cose già in picciol tempo han fatto, Che lunghe et à porre in oblio non puote: Ma oue è hora cotal valor antico? L' honor vostro, l' honor commun, l' honor di Christo? Ito è gia il vostro inclitò imperio, La fama è spenta, e segue à longi passi Ʋn dessolate regno. La florida giouentù, ch' altre volte Sol era à vn viuo honor intenta; Hor vaneggia nell' otio, e nell' amore; Sopito è l' honor, la ragion, e l' Arte: Vissi, regnai, non viuo più, ne regno Ben potete dir, fummo; è quasi gionto, pare L' vltimo di, a l' ineuitabil punto. [ 26] Rinoua il prisco honor de li tuoi aui, E mostra al men, che à la Ʋertù latina O poco manca, ò sol la disciplina: Grande sia il desio d' honor, grand'il desire

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Di non tardare in vendicar l'ingiurie, E l' onta, e la vendetta a vn tempo sia; Atto sarà legitimo, & honesto, [ 27] Efarai di valor mirabil opra; * 1.199Per la patria, e liberta è nobil morte, E bel fin fa, chi bn morendo, muore. * 1.200Anzi egli è ben di vita indegno, Chi nega la vita di por inforse, Lasciando che l' altri cosi vilmente Calpesti ogn' hor l'honor di vostra gente; [ 28] Su su te stessa incita al tuo valore; e * 1.201Ricordati auenir, che ne maggior perigli Sono gli più audaci, li ottimi consigli. Susu Italia la vittoria aspetta: Giudice giusto è Dio, di cui le voglie Ministra e serua, è la fortuna, e'l fato. Qual ne l' alpestre selue Orsa, che senta Duro spiedo nel fianco in rabbia monta. E contra l' arme se medesima auenta Ei perigli, e la morte audace affronta: [ 29] Comencia, è questo è la metà dell' opra: Esperando in Dio, buon fin attende; La vittoria, l' honor vien d' ogni parte, Sta dubbia in mezzo la fortuna, e Marte: L' essempio difortuna, d' aui piglia, * 1.202E se ciò timida, fare, non osi. Come, dimi, in ver dir potrà colui: * 1.203Frale madri Latine, e fra le spose Là ne la bella Italia, oue è la sede Del valoruero, e de la vera fede.
B.

[ 30] Deh padrone mio, vano è parlar à chi non vuol vdire.

F.
* 1.204Quanto si parla, ogn' vn, so, osserua nulla, E so il mio parlar esser indarno Alle piaghe mortoli, Che nl bel crpo gran pezzo i veggio.
B.

La ragion d'vn picciol stato imblordisce ogniuno.

F.
Pouera Italia, che i suci par che non senta,

Page 286

Ʋecchia, otiosa, e lenta Dormirai sempre, ne fia che ti suegli? Pur stupida, e pien di meraiglia Sta, che come huom, che non podire Etace, e guarda pur, ch'alr••••l consigli?
B.

Il pretesto di chee, e false pace, è vn certo velo, ch' tal∣hor accieca ogn' uno.

F.
* 1.205L'humana libertà è don del cielo, * 1.206Libert à dolce, e disiato bene, Mal conosciuto à chi tal' hor no' l perde, Quanto gradita al mndo esser tu dei? Da te la vita vin forita, e verde, Per te stato gii so si mantiene, Che sol ci fa simiglianti a l'aliri Dei.
B.

Chi non proua, non conosce, e chi non conosce, non istima, e cotesta è vna gran parte de la nostra reuina.

F.
[ 23] Tu Roma, ogn'un sà, gia trionfante * 1.207Beata vn tempo, hor infelice, e vile, pur Non credo l'antico valor, Ne l' italicò cuore esser mancato; E se ciò è, vero, come soporti quello, Che Natura non vuole, ne si conuiene Per far se ricco, por altri in pouertà.
B.

Deh altro, che versi ci vuole a scacciar vna vecchia volpe da la sua tanna.

F.
[ 33] Ʋadan i superbi, e miserì Italiani, * 1.208Consumando l'un l'atro. e non gli caglia Scuoter dal collo il giogo de Tiranni, Che solo si nudriscan de suoi danni.
B.

Deh padrone mio, dal capo vien latigna: non c' è rimedio, se non si sana il capo.

F.
[ 34] Voi, cui fortuna ha posto in mano il freno, * 1.209Delle belle contrade, Chiechi il tanto accumular, che gioua? Tutti tornate alla gran madre antica, Già il nome vostro à pena si ritroua, E pur nulla pietà, par che vi stringa,

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Graue somma è vn gran fio a mantenerlo: La rabbia vostra al fin sarà diggiuna, Passeran i vostri pensieri, ch' vna hora sgombra, Quel ch' in mill' anni à pena si raguna, E vostra vita, ch' è si bell' in vista Si perdra ageuolmente in vn matino, & E quelche in molti anni a pena si raquista: Misera, in vero, pouera, e cieca gente Che pon qui suo piacer in cose tali Ch'l tempo ne le portasi repente.
B.

[ 35] Quando iddio si desta ogni giocondo riso, si couuerte in infelice pianto.

F.
Se l'ira in giusto petto * 1.210Longamente si cuoce, Quanto più tarda fu, tanto più nuoce: * 1.211O giustitia del Ciel quanto men presta, * 1.212Via più graue sei, non più tardare. Splendi cometa, che per l'aira adusta Suoli variar gli stati, e mutar regni; Si à purpre Tiranni infausta luce, Da pace giusti, guerra à li nimici.
B.

Tutto cotesto parmi vn perder tempo.

F.

[ 36] Non sai come dio opri, tal'hor è tardi nel comenciar, ma nel asseguir è presto, Dixit et facta sunt, mandauit et creata sunt.

* 1.213Destati Italia homai Tempestuoso furor non fu mai l'ira In magnanimo petto, Ma vn fiato sol di generoso affetto, Che spirando ne l' alma, Quando ella è più alla ragion vnita, La desta, e rende alle belle opre ardita: Destati Italia homai. * 1.214L' ingiuria che patisce, non è da scherzo, che * 1.215Non è picciol fallo amaro morso; * 1.216Bl' honor s' acquista in far vendetta * 1.217Non dirò già, là, via, prendete

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Le fiamme, e'l ferro, ardete & occidete; Matra ferro, e ferro aprila strada: S' e vinta è la vergogna dal timore; Fug gi la luce, e va co'l altre belue A incrudelir ne monti, e ne le selue: * 1.218Mase procurerai col tuo valore Stato più sciolto & alma più serena; Prego il ciel ti innalzi, e secondi L' acqua, e secondo l' acqua il vento mandi.
B.

Se l' Italiani sian d' altri vasalli, e (come se estinto in essi fosse il se∣me d' ogni Ʋertù) soportino cotante angarie, ciò, credo, auiene dal freno, di conscienza.

F.

[ 37] Parli tu da douero, ò pur vaneggi? Che altro ci salua, che la conscienza?

B.

La conscienza obligar non ci più à cose ingiuste; oltra che dican, che saluera, (e così credo) ma fratanto tocchiam con mano, che sotto tal manto ogn' vn spella il compagno.

F.

[ 38] Habbi collo di Grue, nel fauellare, si perspicace nel discernere, nel tutto aueduto, & oculato, e ambe due l' orecchie preste per ascol∣tare ciò, che ti apartiene: mentre sei nel mondo, seconda l'onde mondane, co l' alte, inalzati, co le basse humiliati; ma sopra il tutto non mirar troppo alto, che qui è l' errore, che delle lineè d'Apelle, altro che Protegene vuol giudicare, e finalmente tu griccioloso auertrisce, che troppo gricciclando d' vna lancia non diuenti vn fuso, dicendo il nostro Tasso:

* 1.219Che spesso i voli troppo repentini, Sogliano à precipitij esser vicini.
Tutte le cose già furno create buone, & à buon fine.

B.

[ 39] Parmi, (come ogn' vn vede) altre esser buone, altre cat∣tiue.

F.

Vuoi dir t'intendo, che

* 1.220Al principio risponde il mezzo, e'l fine.

Page 292

Ma Bulugante misappi il tutto proceder d'ottima causa, che il tuito fece buono, per chisa bene, come buon, col ben, il ben, al ben disporre, ma la conditione delle cose presenti, è, ò corrompersi col tempo, ò aguisa di saetta scroccata ve∣nir à meno; quindi vediauo la Ʋertù, spesso commutarsi in vitio, gli buoni ordini in gran disordini, e le leggi di pie∣tà, ed equità, in ingiusta crudeltade trafformarsi; e per ac∣costarmi [ 40] al nostro primiero intento, le signorie, l'imperij, le monarchie, e gli principati (come leggiamo) per ben com∣mune, pace, e deffension de popoli furno instituiti; però ne lor commenciamento essendo sol elettiquesli, ch' eran dispi∣rito Heroe, non alla auaritia, ne con altrui danno, al the∣zorizzare, ne co la prodigalità in rouina de popoli al sci∣lacquare, ma sol al gouerno, non solamente alla conserua∣tione del lor stato, ma del ben de suoi sudditi apartenente, eran indrizzati; dauano publica vdienza all'opressi, non restauan abbaccinati da sussurroni, non inganati dall' adu∣latori, ne men da quelli, che cosi il lodare, come il biasimar vendano; ma via più sempre possedeuano vna retta, e non palliata cognitione d' vn ver gouerno: ma hora (essendo proprio del tiranno il temere) intenti sono à fabricar for∣tezze, à munir cittadelle (e più potendo l'oro, che'lferro, e l'huomo) a congregar thesori, e con mille disorbitanti anga∣rie [ 41] a scorticar ogn'vno; e pur leggiamo le gabelle, e dazzi anticamente esser stati vn riscotimento delle impositioni di∣stribuite à sudditi solamente per ornamento, sostentamento, mantenimento, e neruo della republica, e del ben commu∣ne, e tal offitio per vna certa somma di denari s'affitaua à cauaglieri romani (ciòe àsoldati vecchi, che sol col suo valore, e seruitù fatta per la libertà, e gloria della lor pa∣tria, e natione l'haueuan meritato) ma hor, tu vedi, à che vituperosa infamia, aguisa di mal francese stabili∣to, in Italia già sian ridotte; del che si ride ogn' vno, e mormorando, esclama l'vniuerso, pur l'insensati patien∣ti, come pecoroni, con somissa voce, sempre si lagna∣no, ma quanto maggior pietâ, e pregano, e aspetano,

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di di indi via più crescendo gli taglioni, amari frutti di mag∣gior crudeltà sempre riceuano.

B.

Ma Dio voglia, signor Falsorin mio caro, che nell' olla non bolla di peggio.

F.

Meglio è, che peringannar il mondo, habbi (ancor che pazzo sij) più saggia, e santa lingua.

B.

Non ha la verità le porte aperte, per entrar, & vscir quando gli piace?

F.

Correttamente fauella, se non sarai con seuerità corretto, e

[ 42] Del cauto vecchio l' assecutrice ardita * 1.221T'apparera l'entrata, e non l'vscita.

B.

* 1.222Mai hebbe intentione, auegna che gran causa, direprobare quello, che col borioso titolo di santissimo Padre, Vostra Bea∣titudine, Vicario di Christo, successor di Pietro, miracolo del vniuerso, chiauaro del cielo, e del inferno ancora, da tutti riuerito, tremendo appo ogni natione, celebrato dal mondo, tra gli Principi antiquissimo, e nobilissimo, fra gli Re potentissimo, à cui il Giglio, l' Aquila nera, e la bianca ancora, tutta l' Italia, come luògotenonte d' iddio, & infa∣libil o racolo adora, & in conchiusione il grandissimeuolissi∣mo, e Firibiribondississimo arcigigante,

* 1.223Che à suo mal grado di vibrar non cessa, Contra la verita fiàmme disdegno.

F.

Deh quanto dispiace à Dia soto fregi di vani titoli, e con lisci de mendaci nomi contaminar la chiesa, e con falsità ti∣rannizziar l'anime da luiredente: credimi che

Sacro manto indignamente veste. * 1.224Chi per publico ben del suo priuato Comodo non si spoglia.
Non è pastor, ma rapace Lupo, che se, suoi voti, suoi cog∣nati, et aderenti pascendo con ogni inganno studia, di sca∣ualcar san Giorgio, e suestir ogn'vno, soto protesto di ve∣stir San Piero.

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* 1.225Deh quanto poco humana mente sale, [ 43] Che non s'affissa al sol vista mortale, * 1.226E quanto spesso gioua La cecità de gli occhi al veder molto, * 1.227Beato chiunque il fauellar celeste Per dono diuin nel cor riceue.
B.

Iddio illumina chiunque viue ne l'abisso de le tenebre.

F.
[ 44] O cecità de le terene menti, * 1.228In qual profonda notte, In qual fosca calligine d'errore Son le vostre alme immerse, Quando tu non le illustri, ó sommo sole, A che delsaper vostro Insuperbite miseri mortali? Questa parte di noi, ch' intende, e vede, Nonè vostra virtù, ma vien dal cielo, Esso la da come à lui piace, e toglie.
B.

[ 45] Miprurisce la lingua difabolare.

F.

Quello, che non ti tocca, nulla ti prema, sappi, ch'l tempo il tutto acquista, e'l tutto perde.

B.

Parmi di ciò vedar vna certà ombra.

F.

Non ombra, no'l ritratto, ne men la figura, ma l'istessa sostanza appare, non vedi hoggi di alcune famiglie pouere, che altre volte resplendeuan tra le più riche, altre eleuarsi da basso ad alto stato? altresi gli Ducati, gl' Imperij, e Monarchie col mondano girar tall'hor crescano, et altre fiate descendan, e affatto al fin suaniscan: perche ogni cosa, se alla è mortal, soggetta è al fiue, onde il Poeta,

* 1.229Fra magnanimi pochi à chi il ben piace, Ma al fine tempo trionfa i nomi, e'l mondo.
B.

Mi gradisce quanto V. S. dice, per esser vero, ma nella vo∣stra Italia la politia tanto preuale, che il caso per disperato.

F.
O sciocco, che sei, ò come son diuersi, Quegli inacessibili sentieri, Onde scendano à noile vostre grazie

Page 288

* 1.230Da quei fallaci, e torti, Onde i nostri pensieri salgano al cielo.

E se'l tempo non opra, perseueranza esser non puo, doue ne giustitia, ne verità, ma solviolenza regna, che la ragione, aguisa di ferro di lancia abbatte il tutto.

B.

Cotesta ragione assai m' aqueta.

F.

[ 46] Non ti souiene d' Eglon Re di Moab esser slato giusta∣mente occiso da Aod Israelita, qual perciò dimandato fu inclinito Saluatore? d'ognuno con infinita lode, commendato è Filippo Re di Macedonia per hauer fatto leuar la vita ad Eufrate discepulo di Platone, che persuaduto hauea la tirannide al suo antecessore.

B.

[ 47] Meritamente certo, essendo che glimali consilgi sono la co∣ruttione, et sol il veneno de buoni Prencipi, e con la lepra della lor auidità, et ingordigia corompan tutto l' ouile, e sotto manto disouenir al capo, per meglio potersi infarinare, mai s' acchetano, per hauer maggior copia d' ingrassarsi per l' inferno.

F.

Si, ma tutta via sotto l' auttorità del Prencipe promul∣gandosi le leggi, ed à' esse essendo egli anima, ei solo porta l' infamia; quindi non gli consiglieri, ma Dionigio fu scac∣ciato da Dione Siracusano. Astrage del regno spogliato fu dal, nepote Ciro. Busico Re delle Egitij da Hercole. Milon Tirano di Pisa precipitato in mare. Alessandro Ferreo occiso dalla moglie Tebe. Nerone indotto fu à darsi la morte, essendo stató giudicato dal Senato per suo inimico. Caio Caligola in vna congiura, da vn suo soldato rimase occiso. Domitiano fratello di Tiro, da suoi fami∣gliari riceuete la morte nella sua propria camera. Antonio Commodo strangulato; Macrino occiso da Heliogabolo, et cosi se ne andorno nella mal' hora altri infiniti; et pensitu, che viuendo col senno quel medesmo cuor, mani, ed altri mezzi dell' huomo, estinti sian gli mezzi di leuar con le lor Tiranie ij Tirani?

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* 1.231Odi il nostro Ariosto. Ma il populo faceua come ì più fanno, Che obediscan piu à quei, che più in odio hanno; Peroche l'vno all' altro non si fida, E non ardisce di conferir sua voglia; Lo lascian, ch'un bandisca, vn altro occida; A quel l' hauere, a questo l' honor toglia, Ma il cuor, che tace qui, sul cielo grida, [ 48] Fin che Dio, e Santi lle vendette inuoglia; La qual, se ben tarda à venir, compensa L'indugio poi con penitentia immensa.
B.

Il tutto nasce dal mancamento d'vn indebolito cuore, qual non osando, tace la lingua ancora.

F.

Certo tu erri: nel nostro petto e'l medemo cuore, ma qui sta il tutto, non nudri a è la giouentù tra li tam∣burri, e bellicose trombe, ne men essercitata à veder, ne à sparger sangue, se non per follie, e caprici, o per parole di niun rilieuo, ne assuefatta à riportar vittorie, posciache se la osserui, sol si compiace, e sol si pascè di vanita, di mollitia, e ahi? di leggierezza, ma se (co∣me col Tasso dissi di sopra) co la pica in mano a patir il calor della state, et à tolerar il rigor del freddo nel inuerno fosse assuefatta.

* 1.232La carta, che per essa Vezzozamente hor canta Teneri amori, e placidi himenei, Soneria, fatta tromba, arme, e trofei.
B.

Tal esser in ver credo ciascheduno, qual egli alleuato, e d' indi dall' altrui essempio▪ vien ammaestrato.

F.

[ 49] Rittromàmi ne nostri tempi, sopiti dall' angarie, sotte∣rati dalle Tiranie, aciecati da false opinioni, vno, che parte dal proprio valore, parte dall' essempio d' al∣tri inuaghito, in publico ardisca dire con Liberio. Porro Quirites libertatem perdimus.

B.

[ 50] Ma per cortesia mirate sig, che bell cauallo è quello.

F.

Raspe, batte, nitrisce, e si raggira.

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Gonfia le nari,* 1.233 e fumo, e foco spira. Ma finalmente nulla fà, che essercitata disciplina mostra, ne men, che merta lo∣da; non è di legitima razza Italiana, ma abbastardita, in esso puoi sol contemplar vn poco d' aparenza, presontion di se stesso, et estrinseca boria per abbaccinar ogn' vno; lo vor∣rei veder romper ferrate lancie, o suestito di maglie, squan∣tato di ferro, senza secreta in capo, e senza ceremonie fuo∣ri della città, come valoroso combatter a campo aperto con sola spada:

* 1.234Che tanto basta all'huom, s'egli ha coraggio.

B.

Penso, sarà meglio, ch'io'm' informi qual sia la meglior Ho∣steria.

F.

Non sai tu, che'l passaggiere mai debbe perdonare alla lin∣gua in chiedere, ne alla borsa in spendere nelle cose neces∣sarie?

B.

Honorato gentil'huomo insegnatemi per cortesia, qual sia la meglior Hosteria.

H.

Andate all' insegna dell' Angelo, che per commune fama, è giudicata la meglior d'ogn' altra.

F.

E in vero assai bel luogo, ed ha vn vistoso frontispicio, che ci da assai buona caparra.

H.

Pian signore hauete la bolleta d' alloggiare?

F.

Si eccolà.

H.

Sta bene, Ʋ.S. per mille volte, è la ben venuta.

F.

Ʋi ringratio, vatene all' Hoste, e se non v' è, parla all' Ho∣stessa, e pregalà in nome mio a fauorirci di farmi dar vna buona camera in cheto luoco, è ben fornita, ed vn altra per te, et ambidue habbin le chiaui, e ritorna inconti∣nente.

B.

[ 51] Signore stiamo allegramente, ho fauellato col Hostolano, qnàl' è l' istessa cortesia, e gentilezza, in vero per la sua ci∣uile accoglienza, profertè, e compimenti io gli sono restato inamorato affato.

Page 304

F.

O ceruello feminile, ti ha dato nulla?

B.

Nulla per certo.

F.

Per certo dunque con le lusinghe egli da te pretende: ma delle camere, che noua porti?

B.

Ha imposto al cameriero, che venghi subitò, et al nostro gusto ci serua in ogni cosa.

F.

O di che melonaggine pieno e'l tuo capo. Tu non intendi il lor parlar in zergo? il lupo ha predicato alla volpe. Il su∣bito, subito dell' hosterie, ma hanno vn fine.

B.

Ecco, che viene.

F.

Il diauolo se lo porti, accio venghi più tosto.

H.

Signore iscusatemi, s' io l'ho fatto troppo tardare, hor, che mi comandate?

F.

[ 52] Vorrei vna bella, cheta, e ben guarnita camera, che si fer∣masse con la sua chiaue, ed vn altra vicina per il mio fante, n' hauete forse?

H.

Mirate questa: ella è assai pur bella?

F.

Se tua madre fosse stata gratiosa come è questa camerà, cre∣do, che mai haurebbe partorito herede, di gratia non mi stancar col menarmi da Herode à Pilato: to piglia questo per amor mio, e serui mi d'amico.

H.

Li baccio le mani, Ʋ. S. è troppo cortese, e più, che discor∣tese sarrito, se non gli vsasse cortesia. Venete meco, che vi darò vna camera da Prencipe. Come vi piace questa?

F.
Gran pezza fa, assai ben conosco, il tutto ottenersi co denari. Si pon fermar l'uscij di queste camere?
H.

Le megliori porte, come le più vili di questo albergo, da chi sa fare, di giorno, e di notte spingendo il ditto grosso inanti, si pon chiauar benissimo.

F.

Sta bene: tu vatene à veder li caualli, indi ritorna per le∣leuarmi le sopra vesti.

B.

Eccomi presente.

F.

Che forestieri son nell' histerià, hai tu di mandato, ò osser∣uato?

B.

M'han deto mercatanti, e gentil huomini.

F.

Va, e prega l'hoste, che mi auisi nell' hora di cena.

Page 306

B.

Dice, che non manchera.

F.

Fa portar vn poco di storace, legno aloe, con vn popò di am∣bra, e di zibetto per prfumar la camera.

B.

Iscusatemi S. questa è la più delicata città di tutta l'Europa.

F.

Cosi io credo, tutta via l' odore assai mi conforta il spirito. Ma dimi ci sono buone stalle, fieno, paglia, biada, e luogo per adacquare li caualli?

B.

C'è quanto è dibisogno con ogni comodità oportuna.

F.

Ma che aspetti, e badi? sei presente in potenza, ma non in atto.

B.

Io sono imbalordito dal sole, mi gira il capo.

F.

Prepara ogni cosa per arredarmi, indi distiuallàmi, spaz∣zamì il capello, e tutto il rimanente.

B.

N'hanno ben dibisogno.

F.

Ricordati nell' auenire di fare, quanto ti si conuiene, se vi∣uer vuoi alla mia borsa, hor vatene alla stalla, e riccordati, che l'occhio del padrone, ingrassa il cauallo.

B.

Hor io me ne vado.

F.

Si ma ritorna à seruirmi alla tauola, e guarda di non lasci∣ciarmi, come vna ciuetta sopra la ferla.

B.

Signore alcuni gentil'huomini, e mercatanti desiderano, se à V. S. piace, la sua compagnia à cena, e però l'aspettano.

F.

Io me ne vengo, ferma la porta, è seguimi.

B.

V. S. entri per cotesto vscio a mano destra.

F.

Buona sera à tutti questi signori.

H.

V.S. è la molto ben venuta.

F.

Fra l'altre gratie, per tre particulari hoggi conosco d'esser molto obligato, a ringratiar iddio, prima per hauermi con∣cesso di giogner sano in cosi ricco, e gentil paese, secondo di pater godere, della amenit à, e soaui delitie di Napoli, e terzo che non è il minimo, per ritrouar mi tra cosi honorata com∣pagnia.

H.

Più tosto noi ringratiar la debbiamo per farci gedere della sua, ma perche ella cotanto bada in lauarsi se mani?

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F.

V.S. sùcomencia, ed io la seguo: che delicata acqua è ques la, mi reficià, e tuto mi conforta il cuore.

H.

Sappiate signore, che nell' vniuerso c' è vna sol Italia, e nell' Italia per delicatezze (saluo l'honore dell' altre città) euui, vn sol Napoli.

F.

Cosi mi pare di comenciar, vedere. Ma, che faremo dopo hauer cenato? seguirem forsi il parer de medici col spassegiar sino al tempo del coricarsi?

H.

A chi non è stanco, credo sia molto sano.

F.

Con lor licenza, mi voglio ritirar alla camera mia.

H.

Ʋ. S. vada con ogni auttorità, e ripossa chet amente.

F.

Domatiana anderai à far prouisione di due caualli, et auer∣tisce, che hai da far co vetturini, & Hosti, focina d' ogni buggia, e bottega d' ogni inganno, hai preparato per eua∣cuare?

B.

Il tutto è in ordine costi nel camerino: buona notte signore: iddio gli conceda cheto, e felice riposo.

F.

Ritorna dimattina, ma guarda, s'io dormo, di non destar∣mi.

B.

Buen giorno padrone, è tempo di pransare.

F.

Afe? horsù ispediamolà, vatenè in questo mentre all'Ho∣stelano, ò camaririere, ò più tosto all' Hostessa, e osserua, non dico, se ella si bella, che cio t'insegna la Natura, ma, se sia cortese, e pregalà in mio nome accommodarmi, vn ca∣lamaio, inchiostro, co carta bianca, buona, e bella, e con vn popò di cera, e se t' offerisce penna, di le, ch'io n'ho, perme, e per les ancora, ma non gia reffo da pacchetto, e se non hanno, vanne à comprare, ma fà presto.

B.

Ecco il tutto, che gli mandal' Hostessa, e le sue figlie, che sono in ver tutte gentili, e bactano le mani di Ʋ.S.

F.

Basta, basta: non più parole, credi, ch'io dorma?

B.

Ma altro io ho di nuouo: ho y, cucchi, in tajca.

Page 310

F.
* 1.235Cosi presto? seitu Mercante, ò per auentura Zeroastro, Che fudell'arte Magica inuentore?
B.

Signore se fosti stato presente, mai vedesti, ne men odisti al∣cun, o maritimo, o riuierasco, ouer isulano vsar le più ma∣litiose inuentioni, li più diabolichi inganni, pratticar le più furbesche froddi con botte, e risposte, e con imbrocate da far voltar senza alcuna forza di vento, ogni gran mol∣lino.

F.

Era il comprator sagace?

B.

* 1.236Pensate, egli è studente in legge, e si persuade, che in lui Febo ritroua altro Helicona, e ci habbian le muse, e'l om∣bre, e'l fiume, e'l fonte.

F.

Per esserti dimostrato huomo di conscienza, non posso suspi∣car, che l'habbi aggabbato.

B.

Non vi dubitate signore, par per star piû sicuri, preghiamo ch'l' inferno ingiotisca l'ingannato. E già ho ritrouao due, non caualli, ma caualucci, e rozze: che quanto più son vili, tanto più cari.

F.

Niente più caro è, che vna cattiua robba; va, e fatti dar la lista delle spese.

B.

[ 51] Eccòla; nell' entrare l' Hostiere facea del gatto, hor ei è ri∣troso come vna Tigre.

F.

Non ancor conosci le frappature hostesche?

B.

L'hosti, li bottegai, mercanti & vsurarij, son quelli, io cre∣do, che altre volte eran Lupi sluaggi, hor dalla mondana curiosità, esensualità fatti sn domestichi; bisogna hauer patienza, ò, come dalla peste, starli lontano.

F.

Chi crederia, che sotto l'humane forme, ò più tosto sotto la figura d'vn celeste spirito stasse vn ver demonio, e sotto l'in∣segna dell' Angelo esser ingannato.

B.

Angelo ah? hor conosco le norme de piedi, co quai camina il mondo: nel comenciamento pensaua l' angelo esserci dife∣lice augurio.

Page 312

F.

Augurio ah? felice augurio è il senno del tuo ceruello, qual se ti manca, ò se lo scemiper legarlo à follie, pregharai senzà maitrouar, chiti esaudisca.

B.

Horsú signore la piagha è senata: gliho dato quanto diman∣da, et ho fatto fare la bulleta per ire à Roma, ò altroue do∣ue li pare.

F.

Ma doue son gli caualli?

B.

Eccoli.

F.

[ 54] O come t'hanno ingannato; veddi che mal arnesè hanno: cotesti vetturini sono la fece d' Italia, come ruggine del fer∣ro, e schiuma de catenaci, quanto più giurano via più men∣tano; mira gli fianchi di coteste rozze, come sian spellati; credimi, son arestiti.

B.

Iscusatemi signore, m' han mille volte giurato esser bo∣nissimi.

F.

Se non han fede, se non d'aggabbare? tu scivn mamau, et essi cuchini, horsù monta, e proua il mio cauallo.

B.

O Dio; che bestia fantastica, iddio sol hoggi m'aiuti; tira de calzi come vna mula, batte de piedi come vn Stallone, come vna cagna spregnata morde co denti, pur son gia mon∣tato contra sua voglia: vedere, et osseruate, si caccia la resta tra le gambe, e va aguisa d'vn grancchio: in vero s'ci puo∣le, mi vuole atterrare.

F.

Non dubitare, tienilò in briglia, chiude, e stringe le genoc∣chia, slarga le calcagna, e no'l toccar co speroni.

B.

Ato, aiuto, che lasella cade.

F.

In vero io dubitauo, ma hor più non dubito, che ti getti à basso.

B.

Non importa, io voleua smontare: ma mi sono sinistrato vn piede.

F.

Fattelò ben stirare: e rimanda questi caualli indietro, ch' io non li voglio a patto alcuno.

B.

Ma ha hauto la capara.

Page 314

F.

Capara ah: capara à vetturini, potiam por le pine nel sac∣co, vatene, e ritroua qualche naue, ò nauicella, ò feluca, che vadi à Genoua, dopo che li cieli non voglian, che andiam à vedere il theatro dell'vniuerso, quella antica, e famosissima città di Roma, le creanze, la polititia, e la sua corte, che sopra monta ogn' altra, quantunque però, doue par maggior ceruello, costi souente regna minor senno.

[ 55] Pel acqua, e'l foco bisogna, che intrepidamente passi, e trapas∣fi il passaggiere, accommodandosi al tutto saggiamente, e con fortezza d'animo, fonte della patienza, virilmente superi ogni cosa senza stancarsi, e come, se fosse muto, senza que∣relarsi.

B.

Sanità, giouentù (chi è sano, altresi, è giouene) e buona borsa, che, chi la perde indarno si lagna, e se piace à Dio, ci doni il resto: ma voglio dimandar à colui, che par hor hora dissoterrato, doue potiam ritrouar commodità per Genoua. Amico, quando vi partite per Zena.

B.

Siamo ispediti, et aspettiamo il vento.

F.

Dimandagli, che compagnia hanno.

B.

Dice donne, e gente d'ogni sorte.

F.

[ 56] Doue, son donne, non ci manca danno, Dio mi guardi d' imbarcarmi seco; sono buldriane putanne, arlote, meretri∣ci, slandre, baiarde, Maccarelle, donne communi, grime, pedrine, cortigime, amiche, vacche, Troie, donne, ò femine da partito, Zaccare, Zaccarete di Zaccare put anazze mar∣cide, ò ruffiane, già state sfondrate in Roma, horvansi à far cerchiar a Genoua, e costi con arte vogliano esser mer∣catantate per citelle; ma che dimori? non senti l' esoso feto∣re? dimanda all'altro: alla fisonomia non conosci, che egli è Genouese?

B.

Mi rispose come l'altro, ma che va aposta per tre gentil' huomini, ed esser di mestieri, che fauelliam con essi.

F.

Cotesta è al nostro proposito, è bene armata per glicorsali: ma come gli troueremo?

Page 316

B.

Dice eglino esser alloggiati all' Hosteria della griffa del Griffone, e sopra gionse, esser quelli, che colà spontano, vestiti di nero, quasi alla spagnuola, con le ghinphe, e che vengano discorrendo insieme per punti delle dittella.

F.

Buona, sta bene: nettami cola punta del tuo capoto li miei stiuali, assetami il mio ferraiuolo intorno, leua via agni co∣succia, o pellucio, che gli fosse sopra, agiustami il mio colare, e dinanti e di dietro, e nelli fianchi, osserua, se ciè cosa ch' habbi del discrepante.

B.

Sette tutto polito come vn sposo, ò vn attilato ambasciadore, quando per apparir al mondo vna gran cosa, alla prima fiata compare in corte.

F.

Ma guarda tu con le tue lordure, di non mi far arros∣cire.

B.

Son pouero, e netto; questo non basta?

F.

Hor andiacene pian piano à ricontrarli col passo del ga∣lante. Dio guardi le signorie vostre.

H.

Parimente lei.

F.

Si come reputò me stesso, cosi penso, chele lor signorie mi ri∣puterano mal creato, in disturbar lisuoiraggionamenti.

H.

Ʋ.S. ci iscusi, ella cifa torto, à cosi giudicar di noi: la sua venuta non areccandoci molestia alcuna, essendo noi sempre pronti à far seruiggio ad ogn' vno, e massime à forestieri.

F.

Cotesto, è per lor natia bontà, dalla quale io hora pigliando fiducia, che douendo io andar à Genoua, ne ritrouando opor∣tunità conforme ol mio gusto, mi reputerò gratiae particulare, ch' elleno dignar si vogliano di fauorirmi in lasciarmi pas∣sar sopra la sua felucca, per cui volentieri pagerò quanto esse mi tasserano.

H.

Ma à che proposito? V. S. copra? che compagnia hauete signore?

F.

Io, ed il mio fante, fan duo: due siamo: ne più, che dua.

H.

Non solamente sopra la nostra nauicella; ma ancora nelle braccia proprie la porteremo: Ʋ.S. se ne vada alla nostra Hosteria, se gli piace; perlei parlaremo al padrone, ed hauera quanto gl'è di mistieri, ma

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fate con ognicautella custodire le vostre robbe, perche sia∣mo tra Hosti, e barcaruoli al litto del mare, doue, altra gen∣te non c' è, che centauri, voragini, et orche affamate.

F.

Io la ringratio per tanta sua cortesia: e ben che ti pare? la cosa non passa bene? chi non si sa aggiutare, et anneghisce, egli è certo infelice.

B.

Chi si accosta à buona compagnia, di rado intoppa in rea fortuna, ma chi seguita cattiua, e maluaggia gente, mai, ò rade volte, ne sortisce netto.

F.

Va incontinente, e comprami vn leticuollo, ò materazzo, con vna, ò due catalogue, gengeuo, & altre conserue stomacali, come di canella, d' arancie, e Cotognato; fa le tue cose con prudenza in fretae, ne ti dubitar, che ti manchi il tempo, perche cotesti dicano teste si partiamo, ne mai si staccano.

B.

Volete altro signore?

F.

Tu sai, ch'l vitto arreccala vita all' huomo.

B.

Signore, che credete d'ingolfarui? andiumo à tera, non ci mancherano cose porrassetaril stomaco, insalata, raeuanelli, scalogne, capari, finocchi dolci, lumache, rane, cittroni, cit∣tronelli, freschi, et in conserua, cocumeriverdi, e nell'aceto, soaui, ottimi meloni, citrangoli, sardoni, sardelle fresche, e salate, enchione, e macharello.

F.

Che zaccarelle, e meateologia, m'hai tu frotollato: coteste cose seruano per antipasto, ò dopo pasto: vatene à quelli gen∣til' huomini, e dimanda gli, se gli piace, che mandi ad essi, ò se eglino vogliano fauorirmi di far mi far auisato quando la fregata sarà presta per partirsi.

B.

Qaei gentil'huomini la rissalutano, e gli bacciano le mani, e la pregano dormire chietamente, che la manderano ad anisarla.

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F.

Stabene: cotesti Italiani in vero sono molto vrbani, ciuili, e cortesi, e più parmi, à forestieri, che à lor compatrioti.

B.

Si, ma c'è di noùo, ho vn secretto da dirgli in secreto.

F.

Se tu non puoi celar, ne tacere, come terrò iò in secreto il tuo secreto? Pur non dubitare (se non come hora fai meco) non ti facci tromba del tuo secreto.

B.

Nella camera di quei tre gentil'huomini, c'era la più giouene e la più vistosa figlia del hosteriere, e quel, che ci recca chia∣rezza del verimile era in camiscia co'l petto, e mammelle bianche come la neue, e la giota, scaltrita, e furbeta puta∣nella non di se, ne di bertoni, ma sol di me forestiere tutta vergognosa, dietro della cortina, o sparauiere del letto si nas∣cose, lasciandomi vn cosi fatto batticore, che tutto mi crucia, e martirizza il cuore.

F.

Conobbi ben io nell' auisarla che era della spetie di quell'oc∣che, che vogliano esser ferrate, con vn trenta vno, quanto più essi sarano stanchi, men satola lei, aguisa d'un bastione resistendo alle connonate, sempre via più fresca, e men satolla.

B.

All'vltimo chiunque in ciò fa più, egli fa men, e peggio.

F.

Veddi, che picchia all'uscio, e che dimanda, e vuole, ne gli aprire se non lo conosci, o prima non habbi acceso il lume.

B.

Voglianò partire, ci pregano, che ce n'andiamo.

F.

Metti ogni cosa all'ordine, e guarda co la prescia, non lasci qualche cosa adietro: sij presto, e insieme accerto, festina lentè

B.

Hor il tutto è presto, andiamo quando li piace.

F.

Bon di Signori, e padroni mici.

H.

Molto ben venuto signore, non più dimoriamo, ma entria∣mo, et ogni vno pigli il luogho, che più l'aggrada.

B.

Ahime padron, ch' io mucio.

F.

O che cuore di lumacha, ò che stomaco di biscia, ch' animo, animetto, animuccia, et animeta hai tu? signori, se c'è perico∣lo de corsali, non vi dubitate, qui habbiamo vn buon soldato

Page 321

H.

[ 59] In questi contorni ecci certo gran pericolo de pirati, quali so∣uente fanno enormi burle à poueri Christiani, e pocchi gi∣orni fano assalireno, e pigliarono vna fregata, spra la quale era vn belissimo giouene, che menaua la sposa altresi formosissima à casa sua, e seco haueuan buona compagnia de lor cognati, quali tutti legati, e come cani da quelli cani posti alla catena, suestita, e nudata la citella, come nacque dal ventre della madre, il Bassà dinantil' occhi del marito, e de l' altri, aperse i chiostri virginali con gran pianii, mag∣gior gridi, et estreme strida della fanciulla, quale, dindi l' vn dopo l'altro trastolandosi, da tutta la zurma fù, se ben vilmente, pure molto ben calcata, qual gioco, tre, e quattro volte il giorno tutti alternando, d'vn picciol came∣rino in breue fecero tal Hosteria, che ageuolmente vscir, e intrar potea qual si voglia gran compagnia.

F.

Ma quindi occorre vn caso non proposto dall' Aretino: fu il sposo propriamente becco?

H.

Hauea le corna, ma non era becco.

B.

Padrone, che hauete sempre ripossato? ecco, che gia siamo à Genouà.

F.

[ 60] Dalla prospetiua, dalla bellezza del porto, dalla magnifi∣cenza del luogo, dall' altezza, e magnifizenza delle case, Palagij, e Giardini tutto resto confuso. Tu doue sei ito, ch'io non ti vedo; shorsa quauto ti comanderano cotesti gentil' huomini, si per le spese, come per la felucca, e dona in mio nome tre reali di più alla ciurma.

H.

Il mio signore hor ci conuien lasciarla, e la lasciamo in vero con gran dolore per restar priui della ciuile, vrbana, e dol∣cissima sua compagnia, consolandoci però con la speranza (se piace à Dio) di riuederla.

F.

[ 61] Io son quello, che con ragione debbomi querelare della rea fortuna, quale à me sempre, più che crudele, tronca, come pessima matrigrina, ò

Page 324

empia Parca, ogni mio contento, ne mai finisce la ribelle di nudrirmi, e contra mia voglia pascermi de suoi amari frutti, pur sol questo restami per conforto, che se elleno si vogliano degnare d'indrizarmi a qualche buona Hosteria, doue hab∣bino amista, lasciandosi vedere, ò facendomi intendere, doue dimorinò, mi sarà di grandissima consolatione il riuederle, e visitarle.

H.

Vosignoria alloggia all' Angelo, che sarà ben trattato.

F.

Iscusatemi, mai più crederò all' Angeli, ne all' Arcan∣geli, basta che assai nel passato m' habbiano aggabatto.

H.

Potrete andar al falcone.

F.

Segno, è di mal augurio.

H.

Alogiate all' insegna di san Giorgio.

F.

Hor bene, prouerò, se in futti è tale, quale in apparenza si dimostra. E con mille, e mille ancor ringramenti qui io le lascio.

H.

Idaio sia sempre con lei, e sempre l'acompagni ne suoi affari.

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DIALOGO. V.

Nel quale vn Cittadino, et vno del paese in∣sieme discorendo, fauellan qual peggior Idolo sia, oil piacer seguito dal Gentil-huomo, o il guadagno dal Cittadino; di più, che il vero ammaestraemento del figliuolo, é la buona vita del padre, e final∣mente della caccia con coretta breuità si fauella.
Cittadino.

[ 1] BƲona notte signor mio.

P.

Buona notte per sempre ancor à lei.

C.

Quando venesti dal contado?

P.

Hier sera pronto per seruirla.

C.

Ʋ. S. era non men desiderata, che a∣spettata, ethor per millè volte, è la ben venuta.

P.

Cotesto è per sua gratia, io la ringratio.

C.

Ma, che sifa, e come la passano li nostri amici, e signori nel paese?

P.

Meglio, ch'io, penso, penetriate il genio humano, senza qual∣che ristoro non poter, varcar le calamità presenti.

C.

Ma il continuo diporto, come l'appellarete?

P,

Vedendomi tutto infangato, parmi più sicur sindicar me stesso, che giudicar alcuno.

Page 328

C.

Come impossibil è con vn occhio mirar il cielo, e col altro il centro, non altrimente seruir non si puo à due signori, quindi comandò Iacob à suo, che lasciassero i falsi Dei, per poter sacrificar al vero Iddio, ne l'istesso Iddìo volse, che l' Arca, e Dagon hauessero vn altare insieme, per a∣maestrarc niuno poter, li presenti piaceri, e Dio seguire, ne attendar alli diletti, et alla sa salute, non hauendo co∣testi cosa commune, però fa di mistieri col martello delle Viriù affatto spegnere l'idolo del piacere, per honorar Iddio, e dar buon essempio all' aliri.

P.

[ 2] Io affermo l'intelletto attualmente ocupato in vna cosa, non poter nell'istsso tempo prfettamente attendar à due cose, quindi m'aprete la strada à farmi conoscere, che quanto più intenso, & via più ardente è 'l idolo de vostro guadagno del piacer della caccia, tanto più meriti d'esser atterrato: essendo che dal ventre sino alla sepoliura, e dalla mane, sino alla sera, mai i cittadini s'achetino per quadagnare, se il cacciator non perdona à fatica, per buscarsi vn popò di diletto meschiato con mille angoscie; essi via più non spa∣ragnano à qual si voglia inganno per cumulare: talche con la bocha souente cantinò in chiesa, e col cuore pensinò àlor profitto: come altre volte Iddio rinfaccio a Fharisei, dicendo: Questo popolo con le labra m'honora, ma il lor cuore è da me lontano: e la verita doue è il tuo tesoro, costi sarà il tuo cuore. E'l padre S. Agostino, l'anima non è doue risiede, ma doue ama.

C.

Il gentil'huomo nella caccia, et àltri suoi diporti, ha per oggetto il diletto, qual' essendo volontario, volendo egli, come nociuo, puo lasciare, ma al cittadino il trafico, non è piacere, ne volontario, ma vn continuo necessario tra∣uaglio, che gli areca vn molesto dispiacere, ne cio fa per passa tempo, ma, si per consernarsi nel stato, in cui

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gia fù eleuato, dal qual decadendo appo il mondo gli sareb∣be vna immortal infamia; si anco per mantener, se, e la sua fameglia, e come buon cittadino per poter fr l'altri, ho∣nestamente, e ciuilmente viuere.

P.

Parlo del troppo; che molti essendo molto men, che priuata∣mente nati, dindi (iddio sa come, non essendo altro le hu∣mane ricchezze, che vna secreta frode) maisi ritrouan sa∣tij, flinche di serui, e d'vsurarij non diuentan signori, non curandosi punto, de qul verissimo canone, Non remittitur peccatum, nisi restituatur ablatum, ne men pel mondo per∣der il ciclo, ne per l' oro iddio, ne l'anima per la robba; ma auanti che muia il corpo, essendo già per vn vil guadgno venduta l' anima, chetamente, senza verum rimorso quin∣di si partano, sol à cotesto pensiero intenti, che il lor smpi∣terno penare, sia prpetuua gioia à posteri suoi, è sopra la lor perditione la lor bassa famiglia, tra l'alire, conricchez∣ze, e titoli ergendo le corna, palesila fucata fronte.

C.

Auertite signior mio, il giudicio humano essendo cieco, spesso ingannarci.

P.

Non solo co la fauella, ma infatti istessi lo prouate; però certo vi credo.

C.

Oltra di cio, si come proprio è del fuoco, efumo l' ascendere, cosi naturale è dell' huomo, e (se egli non siregola co la ra∣gione) di mai satiarsi, ne tali diffender io intendo, ne men io voglio; ma quelli, che con leciti guadagni honestamente si montengano.

P.

Ma tali, salui l' honesti, doue hoggidi sono nell' Europa? che se vno pur mirando più il cielo, che la terra, seguir vo∣lesse honesto profitto, mai farà casa à due solari, ne men con l'vsure allergara i suoi confini, ma ei più tosto fallendo, tra l'altri sarà tenuto vn babuasso; che non vsando contraponti di frodi, ne lauorando con contramine d'inganni, ogn' vno l' intacchera su'l uiuo, ed al fin l'atterra.

Page 332

C.

Proprio è dogn' vno lasciar se stesso, et strettamente essa∣minar l'altrui diffetto, e cotesta è propria marca, e mac∣chia dell hipocrati, ò dell' otiosi, che quando pur l' altri non osseruano, per non ingombrarsi il capo de suoi proprij affari, si danno affatto in preda all'humani piaceri, palesando à ci∣ascheduno hauer ripieno il stomaco di cattiu humori, & il cuor vuoto disperanza di verun celeste bene.

P.

Anzi voi con la continua inquietudine del moltiplicare, di∣mostrate l' ancorà del vostro cuore solamente esser concate∣nata co'l humani interessi.

C.

Pocchi denari, sappiate, ci potrian seruire, ma il permedi∣tare, che oltra à nostrinecessarij, souente si conuien soccorere à vostri superflui et eccessiui bisogni, pompe, e ghiribicci, ci rende nel comprar più scarsi, e nel vender molto più auari; donde ci priuate d' vn ben commune, e dell' interna pace.

P.

Pocchi ah? ne la altiera, donna, ne l'huomo superbo, e vano, aguisa d'hidropico mai spegne la setè, ne aguisa di cisterna, pertugiata maisi riempe.

C.

Come il piacer, cosi la grandezza, commodità, & ho∣nore, venga, ò sia egli vestito come si vogliae, piace ad ogn' vno, ma sinalmente il nostro trafficare, riuscisse in accrescimento di splendore, neruo, e riputatione della republica, ma i vostri piaceri, sceman il tutto: oltra che comencian in piaceri, et in dispiacer finiscano; la lor entrata è col riso, e col pianto, mesta è la lor vscita; come c'è figurato pel la statua di Nabucdonosor del capo d'oro, e piedi di terra; hauendo i vostri diporti vn bel principio, et honorato capo, e più che spesso vn infelice, e dishonorato fine. Credetemi, che pi∣agne sopra di voi, come già piause il saluatore sopra Gierusalemme, che ingannata dalle presenti alle∣grezze, nulla pensaua, ne men preuedeua le sue fu∣ture rouine: donde se alcuna cosa indur vale vn cuor virile al pianto, è il vedere la cecita dell'

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huomo, che non pensi, sola mente finga di pensare, alla coda de vani piaceri, onde in essi si somerge.

P.

E opra più, che leggieri, senza interna virtù, predicar all' altri: so che i terreni diletti a recan vn lauto pranso, & vna amara cena:* 1.237 Anzi sono come Leonida, che à suoi lieto propose,

Vn duro peandio, et vna terribil cena.
Nella mane son freschi, et alla sera secchi; ma pur piacian ad ogn'vno, e spesso tanto caccia il Cittadino, quanto vn gran signore.

C.

Ogni colpa è volontaria, però non ammete iscusa, e se la cuopre l'huomo, la scopre iddio.

P.

Non iscuso il piacer essendo breuissimo, come altresi è la uita, qual con velocissimo corso vien à rincontrare la dura falce dell'implacabil morte, cosi nasciom piangendo, viuiamo in affanni, e con dolor, e lagrime ci partiamo; e per doue, non si sa, ne men si vede.

C.
[ 3] Passan vostri piaceri, e vostre pompe, * 1.238Passan le signorie, passan i regni Ogni cosa mortal tempo interrompe. Che più a' vn giorno è la vita mortale * 1.239Nubilo, breue, freddo, e pien di noia, Che può bella parer, ma nulla vale. Pur qui l'humana speranza e quila gioia, * 1.240Qui miseri mortali alzan la testa E nessunsa, quanto siviua, ò muoia.

Chi à cio pensasse da douero, seruirebbe per vn lucidissimo specchio, nel qual scoprirebbe le miserie humane, gli sa∣rebbe vn timone per condurlo al sicuro porto, et vn effica∣ce paramo che delle vanit à mondane: ma hor io vedo l' hu∣omo ridotto à cotal tepidezza, che le suderte cose re∣putino vn mero, e vano sogno, od ombra, ma li piaceriil corpo.

Page 336

P.

Auertite, tutti non corriamo pella medema posta: nulla dime∣no ci fa di mestiri qualche ventaglio, per scacciar la melancolia.

C.

[ 4] Ottimo rimedio parmi, che ci dasse Platone, dicendo a Dio∣nisio,* 1.241 se tu vuoi vincer la tristezza, vatene intorno alle sepoltu∣re, & hauerai vn oportuno rimedio per le tue passioni, che cosi vedrai l'infelicit à dell' huomini, che olira la poluere non possegan altro che fango, e superbia.

P.

Fa pur di mistieri qualche volta respirare.

C.

* 1.242Anzi Cretese scriuendo ad alcuni suoi amici, diceuaagli: fi∣losofate sempre, non respirate, essendo molto meglio il ben viure, che dalla filosofia procede, che il viuere, che si riceue dal respirare.

P.

Egli è vero, nulla dimeuo l'arco, sempre tirato, non puo durare.

C.

Meglio è bene, e poco viuere, che il molto, e male: quindi l'istess Cretese dir soleua à suoi famigiars: Habbiate cura dell' animo, e del corpo, sol quanto è necessario, dell' altre cose, non tanto, non consistendo la felicita nel piacere, che si prende nelle cose esterne, ma nella virtù, che senza esse è perfetta.

P.

Ogni cosa naturale, diletta ogn'vno, tal e'l piacere, quindi piace ad ogn'vno.

C.

In grande errore inciampia chiunque col essempio del commun errore, cerca di diffender il suo proprio nimico, ciòt il peccato, e con aparenti, e mendicate ragioni abellir la sua bruttezza.

P.

Sappiate signore, che ogn'vn, che caccia ò, piglia altro piacer, più souente lo segue per compiacer all' altrui humore, e no'l suo pro∣proprio, pero non è indegno di scusa.

C.

Sappiate esser maggior pazzia, potendo far altrimente, seruir all' altrui leggierezza, che alla sua propria: ma ditemi di che è de vostri figliuoli, come stano, atendano alle medeme virtù, a quali voi atendete?

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P.

Lodato sia iddio stano bene, e sono alla villa.

C.

[ 5] Ne, la villa, ne la città da se han priuilegio, difar l'huomo virtuoso, ne men vitioso, ma dicendo la legge, e prouandosi perisperionza. Quod conuersatio obligat ad mores: il giouenetto pratticando con vani, altresi diuenta vano, se con dotti, dotto, se con politici, politico, se con guerrieri, buonsoldato, con sapienti, sauio, e discreto, se con virtuosi virtuoso; in noi venendo là virtù con l'esercitio, e con l' es∣sempio, e non à caso, come fa il vitio, quindi il Poeta:

* 1.243Non è à caso virtute, anzi bel Arte.

P.

Egli è vero, nulla dimeno non gli manca buon consiglio.

C.

[ 6] L'essempio, e l'opre dan auttorita alla dottrina, e senza com∣paratione alcuna via più eccita, che qual si voglia saggia, & eloquente instruttione; però Christo maledisse la ficcaia vuota de fruti: e copiosa difoglie, & egli stesso trenta ope∣rò, e predicò tre anni, per dimostrarci più esser efficace l' es∣sempio dell'opre, che la fauella.

P.

Pur il parlare, puo ancor giouare.

C.

Signor maiho voluto sottomettermi al matrimonio, per non mi sotto porre al vischio delle sue frodi, ne alle reti de suoi in∣finiti inganni, che prerogatiua hanno souente di trasmutar vn huomo in vn defforme Satiro, et ancor spesso di farlo vn cornetaio; si ancora per non hauer figlinoli, che conos∣cendomi imperfetto, se non gli hauesse nodrito con vn vir∣tuoso essempio, m'haurebbe persuaduto d' esser lor scanda∣lo, e micidiale, douendo il padre esser voce del figlio, non bastando, che egli, ò per altrui mezzol'esorti, ma bisogna, che egli stesso sia voce, cioè che quello, che dice, prima egli faccia, altrimente sarebbe in felice, e più che morta voce.

P.

L'huomo è ragioneuole, però con la ragione, e le parolle an∣cor si lega.

C.

[ 7] Il cuore ode il cuore, et egli solo muoue il cuore, e le parolle, che sole, e nude escano dalla, bocca non

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passano l'orecchie dell' audiente, ne arriuan al cuore, se dal cuor non scaturiscano; ne ardan, se non sian accese; ne es∣sendo accese, consumar non pono la paglia, ne'l fieno: però chiunque, si com é malo, opra male, e ben fauella, nulla frut∣tifica nell' ascoltanti; biasimano l'erroi, dan buon documen∣ti, ma dormano nelle zozzure, cosi non parlando di cuore, fauellan vn nulla.

P.

[ 8] Dubio non è, che chi disputa de vitij, ne perciò li fugge, ne men glifa resistenza, semina il buon seme tra le spine, e colui che sa molte cose, e non l'osserua, si lieua da vna coposa, e lauta cena tutto affamato.* 1.244 Però diceu il testo beui dell' acqua della tua cistern, e dindi da la à popoli, cosi il padre debb prima riceuer la dottrina, & osseruarla, dindi mini∣strarla al figlio: mase io priuo fosse di virtù, come la potrò ministrar à gli altri? però per far in parte il debito mio gli do buoni documenti.

C.

* 1.245Christo due volte satiò con pocchi pani molti migliaia dhuo∣mini, e prima, che lo distribuisse, lo prese nelle mani, per di∣mostrarci il padre, volendo far profitto co la dottrina pane, e nodrimento dell' anima, douer primamente prenderla con le mani, prima oprare, che insegnare a suoi figliuoli; però Dauid inanzi, che dicesse, che insegnarebbe à cattiui la via, dimandò da Dio, vn puro cuore, e in vn retto principale spirito fosse confermato;* 1.246 non altrimente il padre debbe pri∣ma hauer spirito di amaestrar se stesso, poi l' altri: perche la scienza insegna quanto si debbe fare, ma non recca le forze mancando il spirito.

P.

Negar, non posso, che douendo l' opre del padre esser il vero sentiero del figlio, prima con la virtù deue opera. re, e se egli hafede, ha ancor virtù, qual si dimostra nell'opra, certo egli operara: ma solamente fauellando, farâ come i zopi, e stropiati delle gambe, che stando fer∣mi paiano belli, e sani, ma leuandosi, e caminando si fan

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conoscer per quel, che in vero sono: cosi il padre insegnando al figliuol di caminar in su la vita, ciòe di regolar se stesso, indi nel caminar dando essempio di sregolta vita, getta a∣terra il tutto, più mouendo l' oggetto presente, che non fa l'assente: tutto questo conosco esser vero, e lo confesso; ma pur lasciar non posso il piacer, ne men la caccia, forsi per vn mal habito.

C.

Se conosct, la cognitione chiede l'emendatione nell' emen∣dabile, partorir in voi debbe vn zelo di non ammacchiarl prole col essempio inuitar l' altri, comnciando (come sete) il posce putir dal capo.

P.

Ese corregger io non mi posso?

C.

Se hauete senno, e ragione, et il voler libero, vi deue rafre∣nar il detto di S. Basilio: Magis necessarijs, magis est at∣tendendum; che in vero vn padre di famiglia, non cu∣randosi de necessarij affarri della sua famiglia, ò s' egli fosse persona publica, non del ben commune, ne de necessitosi par∣ticolari bisogni per attendere à suoi passa tempi, non solo di diuina & humana punitione, ma come ingrato à Dio degno è (voglio dire) di perpetua infamia.

P.

Bisogna pur (come vi dissi) qualche volta ristorarsi?

C.

Ogni simile ama il suo simile, vn cuore, e nobil spirito altresi ama cose nobili, et aroscirà di prestar orecchie alle basse Si∣rene, penetrando assai bene, che chi più lo loda, via pi l'inganna, e se ingannato non l'ha, lo vuol ingannare.

P.
Io vorrei far diffesa, e non ho armi; Quel ch'fo, veggio, e non m'inganna il vero, Io conosco il fallo, e non lo scuso; * 1.247Io veggio il meglio, & alpeggiar m' appiglio.
C.

L'huomo di sna Natura libero, non può esser tirato contra sua voglia, ese dice il Guirino, Che la libertà, è vn don del cielo, Che non fa forza à chi riceue forza: aice anco il

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testo, trahit volentem, sforza quello che vuole, non perche propriamente sforza, ma perche Dio vsa cotanti mezzi per saluarci, che la volontà dall'vso, e senso corrota seguita la gratia, e camina conforme al spirito, tutta via libera∣menta opra: ma circa al nostro intento, il tutto sta in non acconsentire alli assalti di primi pensieri, quali sonente senza veruna ragione vengano, & occupano l'otiosa mente, ò si sono proposti da gente, che fauella à caso, ne in noi più po∣tendo il senno, che la ragione, non auertiamo esser falso ogni parere, che si ricea dalla volontà, prima che non sia essa∣minato dall' intelletto.

P.

Confesso cotesto esser il scoglio d'ogni nostro errore, ma qui sta il punto, se non ci vado, sto incheto, e tutto mi crucio.

C.

* 1.248Chi s'arma di Virtû, vince ogni effetto, dunche ciò prouien dalla virtù che manca, che chi si netta il cuore dalle vanità del mondo, e sozzure del snso, sar cheto: ne sarà turbato da pensieri chi ha virtù di cacciarli, quali non cacciando, da essi vien cacciato, e come inquieto bisogna altresi che se stesso caccia, e se cacciando altresi l'altri caccia, ma più virtuoso sarebbe col spirito dal cuor cacciarle vanità, che ne boschi cacciarle fiere.

P.
Voi dite il vero, pur non ci vedo rimedio, * 1.249Che è per la costanza mia fatto vn costume.
C.

[ 10] Inquieto è ogn' vno, che non cerca Iddio, qual sol puo ache∣tar, però sol vnico rimedio è, attender à Dio di puro, e non simulato cuore: che se voi bramate ricchezze, egli è sola∣mente ricco, se salute, da lui depende, se pace, è re di essa: se honore, vero honore solamente ottiene, chi è suo vero amico: se piacere, fuora di esso, ogni piacere è vano: se gloria ei è signor di essa: ma qui sta il punto, che da douero non si cerca Iddio, ma sol per aparenza, pero scopre Iddio la nostra hipocrisia, & il diffetto interno, quando l'huomo non puote achetaresi, ma solamente attende à continuo piacere,

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proprio interesse, e mondana ragione quanto apartiene alla verità del spirito, si lascia per antipasto à poueri, e à sciolta briglia si segue, il mondo e la carne, e l'vno, e l'altro la morte alfin accoglie, ma cosi passando il negotio, in qual guisa, di∣temi per cortesia, passasti i giorni cosi caldi, che à pensarci mi rissoluo in sudore.

P.

Parte, cacciando le fiere, e in parte l'vccelli.

C.

[ 11] O Dio? che tedioso, faticoso, e periculoso diporto è quello?

P.

Quanto più faticoso, tanto più virtuoso, che come disse il Guirino.

* 1.250Non è sana ogni gioia, Ne mal ciò, che v' annoia: Quel è ver gioire, Che nasce da Virtu dopò il soffrite.
C.

Non dalla fatica, ma dall' eccelenza del sine si misura l'opra.

P.

Se egli è come voi, dite; da maggior guadagno scatorendo maggior ricchezza, e da maggior richezza maggior felici∣tade, e non essendo nulla più desiderabile d'essa felicitade, ni∣ente sarà più desiderabile, ne altresi più eccelente del gua∣dagno, qual tanto voi bramate; ma non essendo tali ponti per me, in cio, à più dotti io mi rimetto.

C.

Douunque all'vtile precede l'honesto, chi otterà maggior guadagno, via più sarà felice; ma finalmente più astuta∣mente, che dottamente rispondesti, non potendosi tra le frondose querci conuersar tra morti.

P.

Istudio ricerca quiete.

C.

E più della mente, qual vien distratta dall' agitation del corpo, quindi procede, (se io non erro) che la maggior parte di noi cotanto pocchi attenda à studij, e pocchissimi in esso fan qualche profitto, e qualche volta quei pocchi son rari.

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P.
Risponderoui a piu bel aggio. Che * 1.251Sempre di verità non è conuinto Che di parolle è vinto.
C.
La colpa non ricchiede iscusa, ma sol emenda, e doue * 1.252Il fatto accusa, ogni difesa offende.
P.

Iddio per sua bontà c' illumini, e ci doni il suo spirito, co la vertù del quale fuggendo il mondo, come suoi veri figli, tendiamo al cielo.

FINIS.

Notes

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